La massima
Cassazione penale sez. un., 25/10/2018, n.20808
La valorizzazione dei precedenti penali dell'imputato per la negazione delle attenuanti generiche non implica il riconoscimento della recidiva in assenza di aumento della pena a tale titolo o di giudizio di comparazione tra le circostanze concorrenti eterogenee; in tal caso la recidiva non rileva ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato.
SOMMARIO:
6. La decisione
5. I precedenti interventi delle Sezioni Unite in tema di recidiva
A seguito della novella del 2005, sia la Corte costituzionale che le Sezioni Unite sono più volte intervenute in relazione al nuovo regime della recidiva al fine di mitigarne il rigore, individuando il fondamento dell’istituto nella più accentuata colpevolezza e nella maggiore pericolosità del reo e prospettando la facoltatività di tutte le ipotesi di recidiva.
In linea con la interpretazione elaborata dalla giurisprudenza costituzionale, volta ad escludere la conformità ai principi costituzionali di qualunque lettura dell’art. 99 cod. pen. basata su forme di automatismo tali da elidere la discrezionalità del giudice (sent. n. 192 del 2007, ord. n. 409 del 2007, n. 33 del 2008, n. 90 del 2008 e n. 193 del 2008, n. 257 del 2008), la Corte di cassazione ha ribadito con chiarezza la natura discrezionale della recidiva pluriaggravata e reiterata di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 99 cod. pen.
Può ad oggi, infatti, ritenersi consolidato l’orientamento interpretativo secondo il quale non può affermarsi la conformità ai principi fondamentali in tema di ragionevolezza, proporzione e funzione rieducativa della pena enunciati dalla Carta Costituzionale di una concezione della recidiva quale status soggettivo desumibile dal certificato penale che formi oggetto di mero riconoscimento da parte del giudice, chiamato soltanto a verificare la correttezza della sua contestazione. In tal senso, Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247839, ha specificato che ‹‹l’interpretazione che ritiene l’obbligatorietà della recidiva qualificata e degli effetti commisurativi della sanzione ad essa riconnessi finisce per configurare una sorta di presunzione assoluta di pericolosità sociale del recidivo reiterato ed un conseguente duplice automatismo punitivo indiscriminato – dunque foriero di possibili diseguaglianze – nell’ an e nel quantum (previsto in misura fissa), operante sia nei casi in cui la ricaduta nel reato si manifesti quale indice di particolare disvalore della condotta, di indifferenza del suo autore alla memoria delle precedenti condanne e in definitiva verso l’ordinamento, di specifica inclinazione a delinquere dell’agente, sia nei casi in cui, al di là del dato meramente oggettivo della ripetizione del delitto, il nuovo episodio non appaia concretamente significativo in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, ed avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133 c.p. sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo’’.
Ad avviso della Corte si impone una lettura omogenea dei primi quattro commi dell’art. 99 cod. pen., sicché nel testo dei commi terzo e quarto il verbo essere è utilizzato con evidente riferimento al quantum dell’aumento della sanzione discendente dal riconoscimento della recidiva ivi contemplata (pluriaggravata e reiterata), ma non coinvolge l’an dell’aumento medesimo, che rimane affidato alla valutazione del giudice secondo la costruzione dell’ipotesi base di cui al primo comma.
Le figure di recidiva ivi contemplate non costituiscono invero autonome tipologie svincolate dagli elementi normativi e costitutivi della recidiva semplice, bensì mere specificazioni di essa dalla quale si diversificano, espressamente richiamandola, esclusivamente per le differenti conseguenze sanzionatorie che comportano, le quali sono state previste con la riforma, diversamente dal precedente regime, in misura fissa anziché variabile fra un minimo ed un massimo.
Per quanto riguarda poi, in particolare, la recidiva reiterata di cui al quarto comma dell’art. 99 cod. pen., questa opera quale circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole di natura facoltativa dovendosi escludere che la novella abbia operato una sorta di ripristino del regime di obbligatorietà della recidiva.
Il giudice ha dunque il potere discrezionale di escluderla motivatamente e considerarla tamquam non esset in relazione al trattamento sanzionatorio, all’esito di una verifica in concreto sulla reiterazione dell’illecito quale indice sintomatico di riprovevolezza e pericolosità, da effettuare tenendo conto della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.
All’esito di tale verifica al giudice è consentito negare la rilevanza aggravatrice della recidiva ed escludere la circostanza, non irrogando il relativo aumento della sanzione.
Qualora la verifica effettuata si concluda nel senso del concreto rilievo della ricaduta sotto il profilo sintomatico di una più accentuata colpevolezza e maggiore pericolosità del reo, la circostanza aggravante opera necessariamente e determina tutte le conseguenze di legge sul trattamento sanzionatorio e sugli ulteriori effetti commisurativi e dunque, nell’ipotesi di recidiva reiterata, l’aumento della pena base nella misura fissa indicata dall’art. 99, comma quarto cod. pen.; il divieto imposto dall’art. 69 comma quarto cod. pen., di prevalenza delle circostanze attenuanti nel giudizio di bilanciamento fra gli elementi accidentali eterogenei eventualmente presenti; il limite minimo di aumento per la continuazione stabilito dall’art. 81 comma quarto cod. pen.; l’inibizione dell’accesso al “patteggiamento allargato” di cui all’art. 444, comma 1-bis cod. proc. pen. In tale ipotesi la recidiva deve intendersi, oltre che “accertata” nei suoi presupposti (sulla base dell’esame del certificato del casellario), “ritenuta” dal giudice ed “applicata”, determinando essa l’effetto tipico di aggravamento della pena: e ciò anche quando semplicemente svolga la funzione di paralizzare, con il giudizio di equivalenza, l’effetto alleviatore di una circostanza attenuante.
Qualora, viceversa, la verifica si concluda nel senso della non significanza della ricaduta nei termini più su precisati e il giudice escluda la recidiva (dunque non la ritenga rilevante e conseguentemente non la applichi), rimangono esclusi altresì l’aumento della pena base e tutti gli ulteriori effetti commisurativi connessi all’aggravante. Ribadita quindi la natura facoltativa ed il tipo di apprezzamento che il giudice deve effettuare ai fini del riconoscimento dell’aggravante, la Corte ha affrontato una ulteriore rilevante questione escludendo che la facoltatività della recidiva possa atteggiarsi come parziale o bifasica e dunque operare solo con riferimento all’effetto primario dell’aggravamento della pena e non avuto riguardo ai cd. “ulteriori effetti” commisurativi della sanzione ricollegati dalla legge alla recidiva.
È stato così definitivamente avallato l’orientamento formatosi nella giurisprudenza di legittimità per cui gli effetti commisurativi della recidiva non sono svincolati dalle determinazioni assunte dal giudice in relazione al riconoscimento dell’aggravante ma sono bensì a questo strettamente collegati, nel senso che anch’essi vengono meno quando la circostanza non concorra, sulla base della valutazione del giudice effettuata ai fini e secondo i parametri di cui si è detto, a determinare l’aumento di pena.
Può dirsi quindi definitivamente abbandonata la tesi della “facoltatività bifasica” della recidiva per cui, consentito al giudice di elidere l’effetto primario dell’aggravamento della pena, siano invece obbligatori gli ulteriori effetti penali della circostanza attinenti al momento commisurativo della sanzione. I principi elaborati in tale pronuncia sono stati poi ribaditi da Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664, che ha affermato la natura di circostanza ad affetto speciale della recidiva avuto riguardo al criterio edittale.
Le Sezioni Unite hanno posto in evidenza la natura della recidiva quale circostanza pertinente al reato, che richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra lo status e il fatto, che deve risultare sintomatico, in relazione alla tipologia dei reati pregressi e all’epoca della loro consumazione, sia sul piano della colpevolezza che su quello della pericolosità sociale, respingendo, sulla base di una lettura costituzionalmente orientata, la possibilità di qualsiasi automatismo, inteso come instaurazione presuntiva di una relazione qualificata tra status della persona e reato commesso, e privilegiando, invece, una valutazione discrezionale cui è correlato uno specifico obbligo motivazionale per il giudice.
Con particolare riferimento poi agli effetti secondari della recidiva, riallacciandosi alla ricostruzione dell’istituto elaborata a partire da Sez. U, “Calibè”, anche in tale pronuncia si è ribadita la necessità dell’aumento di pena in concreto o, se del caso, della valutazione di meritevolezza, quale presupposto per l’attivazione delle varie discipline speciali operanti nei confronti del recidivo.
Conseguentemente, anche in tema di computo dei termini prescrizionali del reato, si è argomentato che, mentre prima della sentenza di merito, la più severa disciplina dei tempi di estinzione (art. 157, comma secondo, cod. pen.) opera sulla base della mera contestazione della recidiva, da considerare circostanza aggravante ad effetto speciale (cfr. Sez. 5, n. 35852 del 07/06/2010, Di Canio, Rv. 248502), una volta intervenuta la decisione che non abbia ravvisato una relazione qualificata fra i precedenti dell’imputato e il fatto a lui addebitato (recidiva ritenuta, ma non applicata), la circostanza perde il suo rilievo ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato (Sez. 6, n. 43771 del 07/10/2010, Karmaoui, Rv. 248714; Sez. 2, n. 18595 dell’08/4/2009, Pancaglio, Rv. 244158). Più di recente, infine, le Sezioni unite, chiamate a risolvere il contrasto ermeneutico in tema di applicabilità o meno dell’aumento di pena di cui all’art. 81 comma quarto, cod. pen. in caso di giudizio di equivalenza fra recidiva e circostanze attenuanti, sono tornate sul tema e, con la sentenza Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, Filosofi, Rv. 267044, hanno affermato che il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo di quella stabilita per il reato più grave – previsto dall’art. 81, comma quarto, cod. pen. nei confronti dei soggetti ai quali è stata applicata la recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen. - opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti.
Nell’affermare il principio, il Supremo collegio, dopo aver evocato, in motivazione, i precedenti approdi di Sez. U, “Calibè” e “Indelicato”, sopra passati in rassegna, ha osservato come la recidiva richiede, da parte del giudice, un accertamento complesso e articolato, inerente la maggiore colpevolezza e l’aumentata capacità a delinquere, che solo se negativo esclude ogni conseguenza e che, invece, permane e sopravvive comunque alla valutazione comparativa operata nel giudizio di bilanciamento.
Le Sezioni Unite hanno esaminato in particolare la questione relativa alla individuazione del corretto significato del verbo “applicare” utilizzato dall’art. 81, quarto comma, cod. pen., verificando, quindi, quando la recidiva possa dirsi “applicata” dal giudice. Richiamando quanto già messo in evidenza nella più risalente pronuncia Sez. U, n. 17 del 18/6/1991, Grassi, Rv. 187856, la Corte ha dunque osservato che la circostanza aggravante deve ritenersi, oltre che riconosciuta, anche applicata, non solo quando esplica il suo effetto tipico di aggravamento della pena, ma anche quando produce, nel bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti, un altro degli effetti che le sono propri, cioè quello di paralizzare un’attenuante, impedendo a questa di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena da irrogare, precisandosi che, ogniqualvolta il giudice abbia operato in termini positivi l’accertamento inerente la maggiore colpevolezza e l’aumentata capacità a delinquere del reo, la recidiva è stata già riconosciuta ed applicata, essendole stata attribuita quell’oggettiva consistenza che consente il confronto con le attenuanti concorrenti: attività successiva, questa, rimessa alla discrezionalità del giudice.
Conseguendone che, all’atto del giudizio di comparazione, l’azione dell’applicare la recidiva deve ritenersi già esaurita, perché altrimenti il bilanciamento non sarebbe stato necessario: la recidiva ha comunque esplicato i suoi effetti nel giudizio comparativo, sebbene gli stessi siano stati ritenuti dal giudice equivalenti rispetto alle circostanze attenuanti concorrenti, in assenza delle quali, però, la recidiva avrebbe comportato l’aumento di pena.
6. La decisione
Con decisione assunta all’udienza del 25 ottobre 2018, le Sezioni Unite hanno dato risposta al quesito riportato in apertura affermando che “la valorizzazione dei precedenti penali dell’imputato per la negazione delle attenuanti generiche non implica il riconoscimento della recidiva in assenza di aumento della pena a tale titolo o di giudizio di comparazione delle concorrenti circostanze eterogenee; in tal caso, la recidiva non rileva ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato”. Il Supremo collegio ha dunque condiviso il primo degli orientamenti in contrasto escludendo che la recidiva possa dirsi implicitamente ritenuta dal giudice che si sia limitato a dare conto dei precedenti penali al fine di escludere le circostanze attenuanti generiche. Pur dovendosi attendere il deposito della motivazione della sentenza per verificare le ragioni poste a fondamento della soluzione prescelta, pare comunque potersi affermare che le Sezioni unite hanno preso le mosse proprio dai principi già affermati sul tema, ponendosi in linea di continuità con la ricostruzione ermeneutica elaborata nei precedenti arresti sopra passati in rassegna, volti ad escludere che la recidiva possa ritenersi produttiva di effetti qualora il giudice non ne accerti i requisiti costitutivi dandone congruamente atto e conseguentemente procedendo all’aumento della pena principale o ad un giudizio di comparazione con eventuali concorrenti circostanze eterogenee.
Indice delle sentenze citate Sentenze della Corte di cassazione Sez. U, n. 17 del 18/6/1991, Grassi, Rv. 187856 Sez. 5, n. 37550 del 26/6/2008, Locatelli, Rv. 241945 Sez. 1, n. 26786 del 18/6/2009, Favuzza, Rv. 244656 Sez. 2, n. 18595 del 08/04/2009, Pancaglio, Rv. 244158 Sez. 2, n. 106 del 04/11/2009 – dep. 2010 –, Marotta, Rv. 246045 Sez. 6, n. 43771 del 07/10/2010, Karmaoui, Rv. 248714 Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247839 Sez. 5, n. 35852 del 07/06/2010, Di Canio, Rv. 248502 Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664 Sez. 2, n. 35805 del 18/6/2013, Romano, Rv. 257298 Sez. 6, n. 38780 del 17/06/2014, Morabito, Rv. 260460 Sez. 6, n. 39849 del 16/9/2015, Palombella, Rv. 264483 Sez. 2, n. 2731 del 2/12/2015 – dep. 2016 –, Conti, Rv. 265729 Sez. 2, n. 48293 del 26/11/2015, Carbone, Rv. 265382 Sez. 6, n. 16109 del 31/03/2016, Capacci Sez. 2, n. 46297, del 13/07/2016, D’Onofrio Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, Filosofi, Rv. 267044 Sez. 4, n. 45833 del 19/07/2017, Lucchetti Sez. 6, n. 54043, del 16/11/2017, S., Rv. 271714