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Abuso d'ufficio: concorre con il falso se la condotta non si esaurisce nel compimento dell'atto


Corte di Cassazione

La massima

In tema di rapporti tra abuso d'ufficio e falso in atto pubblico, sussiste concorso materiale, e non assorbimento dell'abuso d'ufficio nel più grave reato di falso, qualora la condotta di abuso non si esaurisca nel compimento dell'atto falso, essendo quest'ultimo strumentale alla realizzazione del reato di cui all' art. 323 c.p., costituendo una parte della più ampia condotta di abuso.

Fonte: CED Cassazione Penale 2020



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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 18/12/2019 , n. 3515

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 5/06/2019, il Tribunale di Palermo, parzialmente accogliendo l'appello del Pubblico Ministero, ha riformato il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo aveva applicato a P.V.G., relativamente ai reati ex art. 110 c.p., ex art. 81 c.p., comma 2, art. 61 c.p., n. 2 e art. 479 c.p. (in relazione all'art. 476 c.p.) descritti nei capi 54 e 55 delle imputazioni provvisorie) per lo stabile asservimento di pubblici ufficiali ai suoi interessi privati favorendo l'impresa di cui il ricorrente era amministratore di fatto, la misura cautelare interdittiva del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione e, ravvisando gravi indizi di colpevolezza anche per il capo 53 riqualificato il fatto ex art. 323 c.p. - ha sostituito la precedente misura con l'obbligo di dimorare nel Comune di residenza e il divieto temporaneo di esercitare, anche di fatto, imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un anno.


2. Nel ricorso presentato dal difensore di P.V. si chiede l'annullamento dell'ordinanza deducendo: a) violazione di legge e vizio della motivazione circa la configurabilità del reato di abuso di ufficio trascurando la clausola "salvo che il fatto non costituisca più grave reato" che riconduce la condotta a quelle descritte nei capi 54 e 55, perchè non risulta conferente il richiamo operato dal Tribunale all'omesso controllo da parte dei pubblici ufficiali nell'ambito delle attività di esecuzione dell'appalto; b) inosservanza e erronea applicazione dell'art. 275 c.p.p. e vizio della motivazione nell'applicare una misura interdittiva in contrasto con i criteri di adeguatezza e proporzione delle misure cautelari.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Non sussiste il concorso formale tra il delitto di abuso d'ufficio e quello più grave di falso materiale in atto pubblico quando la condotta addebitata all'imputato si esaurisca nella mera commissione della falsità, stante la clausola di riserva di cui all'art. 323 c.p. - preordinata a evitare la doppia incriminazione - la quale, con riguardo a un unico fatto, impone di applicare esclusivamente la sanzione prevista per la fattispecie più grave, sebbene oggetto di questa sia la tutela di un bene giuridico diverso da quello tutelato dalla disposizione con pena meno severa (Sez. 6, n. 13849 del 28/02/2017, Rv. 269482; Sez. 5, n. 27778 del 19/05/2004, Rv. 228681).


Invece, sussiste concorso materiale, e non assorbimento, tra il reato di falso in atto pubblico e quello di abuso d'ufficio nel caso in cui la condotta di abuso non si esaurisce nella falsificazione, e la falsità in atti è strumentale alla realizzazione del reato di cui all'art. 323 c.p., di cui costituisce una parte della più ampia condotta (Sez. 5, n. 45992 del 07/07/2017, Rv. 271073).


2. Nel provvedimento impugnato si assume che la condotta dei pubblici ufficiali con i quali ha concorso il ricorrente non si è risolta nelle falsità ideologiche oggetto degli altri capi, ma ha implicato anche un omesso controllo per cui il fatto materiale non si sarebbe limitato alle falsità ideologiche descritte negli altri capi di imputazione.


Tuttavia, deve registrarsi Tribunale si è, al riguardo, limitato a osservare che i pubblici ufficiali (responsabile unico del procedimento, direttore dei lavori e direttore operativo in servizio presso il Provveditorato Interregionale per le Opere pubbliche Sicilia e Calabria) minacciarono la rilevazione delle carenze progettuali e esecutive dell'appalto all'impresa amministrata di fatto da P.V. (p. 17), senza specificare in cosa sarebbero consistite le omissioni, mentre nel capo 53 delle imputazioni provvisorie vengono menzionate soltanto condotte attive, tutte risolventisi in falsità.


Inoltre, il Tribunale ha espressamente considerato che il riconoscimento del reato di concorso in ufficio "rende più consistente la gravità dei fatti" a carico del ricorrente così da condurre a sostituire la precedente misura con quella (composita) oggetto di impugnazione in questa sede (p. 18).


Si rende, pertanto, necessario annullare l'ordinanza impugnata con riferimento al primo motivo (che riveste rilevanza assorbente rispetto al secondo) per un nuovo esame che - alla luce del principio di diritto richiamato sub 1 - chiarisca se vi sia stata una omissione di controllo integrante una attività ulteriore rispetto alle falsità già individuate e, su questa base, valuti l'entità delle esigenze cautelari, eventualmente anche con riferimento alla necessità di una misura interdittiva della libertà di circolazione, in considerazione del principi di proporzionalità e adeguatezza delle misure cautelari (Sez. 6, n. 13093 del 05/03/2014, Rv. 259504; Sez. 6, n. 11806 del 11/02/2013, Rv. 255720; Sez. 6, n. 32402 del 16/07/2010, Rv. 248323).


P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo-Sezione per il riesame delle misure cautelari.


Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2019.


Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2020

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