di Stefania Riccio
Sommario:
Vuoi sapere di più sul reato di abuso d'ufficio?
1. Abuso d'ufficio: L’evoluzione normativa dell’istituto. Gli elementi di struttura della fattispecie incriminatrice
Tra le fattispecie più tormentate del codice penale, il reato di abuso di ufficio è stato oggetto negli anni di una serie di interventi di riscrittura che ne hanno significativamente mutato l’originaria fisionomia. Con la più recente riformulazione, attuata con la discussa tecnica della decretazione di urgenza ad opera del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, (c.d. “decreto semplificazioni”), convertito nella legge 11 settembre 2020, n. 120, il legislatore ha significativamente inciso sullo spettro applicativo della fattispecie incriminatrice attraverso la rimodulazione del suo elemento oggettivo, costituito dalla violazione delle regole di azione del pubblico agente. Già la legge 16 luglio 1997, n. 234, aveva inteso assicurare al reato di cui all’art. 323 cod. pen. una più definita tipicità, articolando due tipologie di condotta, qualificando una di esse in termini di violazione di norme di legge o regolamento, prescrivendo l’intenzionalità del dolo e configurando un evento consumativo. Lasciando immutati l’elemento soggettivo e l’evento di vantaggio o di danno, la novella del 2020 - per quel che qui interessa - ha riqualificato le norme che hanno funzione integratrice del precetto, sostituendo nel corpo dell’art. 323 cod. pen. alla indeterminata locuzione di «norme di legge o di regolamento» quella di «specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità» (modifica che non ha investito, come vedremo, l’alternativo segmento di condotta in cui può realizzarsi l’abuso, costituita dalla violazione dell’obbligo di astensione in situazione di conflitto di interessi). Dunque requisiti di struttura anelastici, secondo l’intentio legis di restringere l’ambito del sindacato penale, così da evitare che, attraverso una figura criminosa pensata come norma di chiusura, posta a presidio dei valori regolativi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost., possano operarsi indebiti sconfinamenti della giurisdizione nella sfera della discrezionalità amministrativa, con potenziale pregiudizio del principio della separazioni dei poteri e con effetti distorsivi da “amministrazione difensiva” - come si è detto in dottrina – id est di sostanziale paralisi dell’azione dei pubblici amministratori; requisiti che avrebbero restituito al precetto, sempre nelle intenzioni del legislatore, maggiore determinatezza e tassatività, in conformità ai canoni dell’art. 25 Cost.
2. Abuso d'ufficio: Il contenuto della norma violata: specificità e limite della discrezionalità
Su tali profili del novum, afferenti alla violazione delle norme di azione, si incentra la riflessione di alcuni arresti dell’anno appena decorso (o risalenti all’anno precedente, ma di cui sono state depositate nel 2021 le motivazioni) tra le quali, in primis, Sez. 6, n. 442 del 9/12/2020, dep. 2021, Garau, Rv. 280296 e, in linea di continuità, Sez. F, n. 42640 del 17/08/2021, Amato, Rv. 282268. Si è osservato che, nell’ottica di contenere un uso tendenzialmente espansivo della norma incriminatrice di cui all’art. 323 cod. pen., la violazione penalmente rilevante deve oggi investire regole di condotta poste da norme di legge o da atti aventi forza equipollente, con esclusione delle fonti normative di rango regolamentare o comunque subprimario; e tali regole di comportamento devono avere valenza cogente per l’azione amministrativa, ed essere disegnate in termini completi e puntuali.
A fronte di un archetipo il quale esige che la regola di comportamento abbia connotati di specificità, si è ritenuta “specifica” ogni regola dal cui contenuto precettivo possa «staticamente desumersi il suo contrario, cioè la sua violazione, a prescindere dall’ evoluzione di un determinato iter e dal suo risultato complessivo» (sent. Amato, cit.). La precisazione che deve trattarsi di norme da cui non residuino margini di discrezionalità disvela plasticamente il fine di preservare da responsabilità penale l’azione del pubblico funzionario il quale eserciti la discrezionalità amministrativa, anche tecnica, intesa, quest’ultima, nel suo nucleo essenziale di autonomo potere di scelta, all’esito di una ponderazione comparativa tra interessi pubblici e privati, dell’interesse primario da perseguire in concreto. Se questo era l’obiettivo del legislatore - ha osservato la sentenza Garau - ne consegue che le prescrizioni di cui al nuovo testo dell’art. 323 cod. pen. valgono a condizione che l’esercizio del potere discrezionale non trasmodi in una vera e propria distorsione funzionale, cioè in uno sviamento di potere, rispetto ai limiti c.d. esterni della discrezionalità, che si realizza lì dove risultino perseguiti, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, interessi oggettivamente difformi e collidenti con quelli per i quali il potere è attribuito. Di contro, resta precluso al giudice il sindacato del “cattivo uso” della discrezionalità amministrativa, id est la violazione dei limiti interni dell’attività discrezionale, che attengono alle sue modalità di esercizio. Su questa base ricostruttiva, le sentenze in rassegna si sono interrogate sul se ed in quali termini sia ancora esercitabile un sindacato penale in presenza di uno sviamento di potere. Del resto, come osservato da coeva dottrina, non appare plausibile che un intervento volto a restituire maggiore determinatezza al reato di abuso di ufficio - definito come una delle assi portanti della rule of law, che colpisce la discrasia che patologicamente si manifesti tra potere e funzione, nelle forme dello sviamento della funzione tipica per cui il potere è attribuito - possa valere a sanzionare la sola attività strettamente vincolata dei pubblici agenti, ovvero l’attività meramente esecutiva. Si è allora osservato, nelle più recenti pronunce, che non è luogo a parlare di discrezionalità, ed il reato di abuso è configurabile, allorchè il procedimento sia giunto ad uno stadio nel quale sono stati già predefiniti canoni precisi di azione. Nel dettaglio, Sez. 6, n. 8057 del 28/1/2021, Asole, Rv. 280965, ha affermato che è ipotizzabile l’abuso non solo quando la violazione di una specifica regola di condotta risulti connessa all’esercizio di un potere previsto ab origine come vincolato – di cui il legislatore abbia predeterminato cioè l’an, il quomodo, il quid e il quando - ma anche quando l’inosservanza della regola riguardi un potere che, astrattamente previsto come discrezionale, sia divenuto vincolato per le scelte concrete operate dal pubblico agente.
Tale opzione è in linea con l’esegesi della giurisprudenza amministrativa, la quale, valorizzando il dettato dell’art. 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, ha sancito che il provvedimento amministrativo è annullabile, per violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti, non solo quando sia espressione di un potere vincolato in astratto, cioè disciplinato da disposizioni che non demandino all’amministratore alcuno spazio di discrezionalità, ma anche quando sia esplicazione di un potere, avente in teoria natura discrezionale, ma divenuto vincolato in concreto: vale a dire di un potere che, per le scelte che il pubblico agente ha compiuto nell’ambito di quello stesso procedimento amministrativo, non poteva che essere quello indicato dalla legge, perché oramai caratterizzato dall’avvenuto esaurimento di ogni spazio di discrezionalità (in questo senso, tra le altre, Cons. Stato, n. 4089 del 17/06/2019). In applicazione di tale principio, nella sentenza Asole, cit., è stata ritenuta la responsabilità del comandante di una polizia municipale il quale aveva favorito una società privata, affidandole con procedura diretta il servizio di misurazione elettronica della velocità dei veicoli, in particolare omettendo di inserire in contratto un bilancio preventivo degli (onerosi) costi di servizio in ragione dei quali si sarebbe reso necessario, ai fini dell’affidamento dell’appalto stesso, l’espletamento di una procedura di gara pubblica, stante il patente superamento della soglia di rilevanza comunitaria.
La Corte ha rilevato, nello specifico, la violazione delle regole di condotta poste dal disposto combinato degli art. 125 e 29 del d.lgs. aprile 2006, n. 163 (c.d. “Codice degli appalti”), che, ratione temporis, disciplinavano il metodo che l’ente pubblico appaltante avrebbe dovuto adottare al fine di individuare il soggetto cui affidare l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture; tanto sul presupposto che tali disposizioni vincolavano la stazione appaltante a scegliere il contraente sulla base del risultato di un accertamento tecnico, attraverso il quale definire la soglia di valore del servizio da appaltare; con la conseguenza che, una volta determinata tale soglia, il funzionario responsabile del procedimento non conservava alcun margine di apprezzamento discrezionale.
A ben vedere, il non avere il ricorrente considerato costi che avrebbero avuto sicura incidenza sulla determinazione della soglia di valore fu il frutto non già di discrezionalità tecnica, che pure era riconosciuta alla stazione appaltante, bensì della decisione arbitraria di non osservare le vincolanti prescrizioni di legge che imponevano, esaurito un preliminare accertamento tecnico, di operare la scelta del contraente secondo parametri vincolati.
La Corte ha dunque ribadito che deve escludersi che ci si trovi al cospetto di un potere discrezionale, e che operino i limiti alla configurabilità dell’abuso, nei casi in cui il pubblico agente rinunci ad avvalersi del potere di comparazione e valutazione in cui la discrezionalità si risolve, poiché la scelta di perseguire, in esclusiva, interessi personali costituisce un atto abdicativo di discrezionalità.
Nella vicenda esaminata dalla sentenza “Amato”, in applicazione dei detti principi, la Corte ha ritenuto sussistente il reato di abuso d’ufficio, anche nella formulazione conseguente alla modifica apportata con d.l. n. 76 del 2020, per avere un Sindaco esercitato il potere di requisizione di un immobile ad uso abitativo, pur in assenza del presupposto della “grave necessità pubblica” e dell’ istanza di somma urgenza che legittimano l’intervento surrogatorio del capo dell’amministrazione comunale rispetto all’autorità prefettizia; tanto sulla considerazione che nella specie non venisse in rilievo la verifica del quomodo dell’esercizio della discrezionalità, bensì, a monte, una precisa “regola di esclusione” che inerisce all’attribuzione del potere di requisizione, regola che deve ritenersi trasgredita per il solo fatto che lo strumento ablativo sia utilizzato al di fuori dei casi di grave necessità pubblica. Una simile linea esegetica rimanda espressamente alla distinzione tracciata da Sez. U, n. 155 del 29/9/2011 (dep. 2012), Rossi, Rv. 251498, la quale aveva ritenuto rilevante ai fini del reato di abuso - ancorché con riguardo alla differente formulazione della norma ai tempi vigente - lo sviamento di potere, ovvero la inosservanza della causa attributiva del potere stesso.
Le Sezioni Unite avevano sancito che si ha «violazione di legge, rilevante a norma dell’art. 323 cod. pen., non solo quando la condotta di un qualsiasi pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere (profilo della disciplina), ma anche quando difettino le condizioni funzionali che legittimano lo stesso esercizio del potere (profilo dell’attribuzione) e la condotta risulti volta alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è stato conferito». Conclusivamente, mutuando dalle Sezioni Unite, “Rossi” il riferimento alla nozione di causa attributiva del potere, la sentenza Amato ha escluso che sia dato parlare di ingerenza nella sfera riservata della discrezionalità amministrativa - con la conseguenza che il delitto di abuso è configurabile, purchè sia violata una regola di azione a contenuto specifico - lì dove difettino in radice i presupposti di esercizio del potere discrezionale.
3. Gli ulteriori requisiti della regola di condotta: norme costituzionali e norme subprimarie
Sotto altro profilo, si deve a Sez. 1, n. 2080 del 06/12/2021, Vezzola, (dep. 2022) - pronunciatasi su un’istanza di estinzione del reato per abolitio criminis avanzata al giudice dell’esecuzione - l’avere puntualizzato che, sebbene la riscrittura dell’art. 323 cod. pen., nel 2020, abbia prodotto un restringimento dell’area di rilevanza penale con riferimento a norme di legge generali ed astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che lascino residui margini di discrezionalità, tuttavia il requisito della violazione di legge può consistere anche nell’inosservanza dell’ art. 97 Cost. Il tema non è nuovo. Sez. 6, n. 41215 del 14/6/2001, Artibani, Rv. 253804 e, diversi anni dopo, Sez. 6, n. 12370 del 30/1/2013, Baccherini, Rv. 256003, avevano già rilevato che nel paradigma costituzionale di cui all’art. 97 è pur sempre individuabile un contenuto di immediata portata precettiva, direttamente desumibile dal connotato dell’imparzialità, che non necessita di alcun ulteriore adattamento o specificazione.
La pronuncia “Vezzola”, cit., con cui è stata escluso ogni effetto di abolitio criminis, si pone dichiaratamente nel solco di Sez. 6, n. 22871 del 21/02/2019, Vezzola, Rv. 275985, relativa al medesimo fatto di demansionamento di un dipendente comunale, attuato con intento discriminatorio o ritorsivo (come palesato dal conferimento dell’incarico a soggetto privo di titoli apprezzabili, con motivazione apparente ed in assenza di qualsivoglia valutazione comparativa), posto al vaglio della Corte all’esito del giudizio cognitivo. La pronuncia aveva evidenziato come non sia logico estromettere dalla sfera di operatività della fattispecie norme di rango costituzionale – o convenzionale - purché dotate di specificità in materie soggette a disciplina plurilivello e che, dunque, è suscettibile di integrare il reato di abuso di ufficio anche l’inosservanza dei doveri costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’ amministrazione, ex art.97 Cost, per l’ immediato risvolto applicativo della norma; la quale va letta in sinergia con il principio di cui all’art. 54 Cost - che impone di adempiere con disciplina ed onore all’esercizio di funzioni pubbliche e che detta il divieto per i pubblici agenti di tenere comportamenti connotati da ingiustificate preferenze e da favoritismi e, ancor più, da intenzionali vessazioni o discriminazioni. Anche in tale più risalente arresto, si era rimarcato come il fatto che la concreta espressione di quei principi di rango costituzionale debba realizzarsi nell’esercizio di attività discrezionali non impedisce di enucleare una precisa regola iuris dalla causa attributiva del potere discrezionale, che non può essere esercitato al di fuori dei suoi presupposti. Detti principi, ancorché a contenuto generale, impongono «l’imparzialità dell’azione, la quale non deve essere contrassegnata da profili di discriminazione e ingiustizia manifesta, aspetti di per sé contrastanti con l’intero assetto costituzionale dei poteri amministrativi, come in concreto poi disciplinati dalla legge». Con riferimento al tema contiguo della esclusione dall’ambito applicativo del reato di abuso delle norme regolamentari, Sez. 6, n. 33240 del 16/02/2021, Del Principe, Rv. 281843, ha stimato che, anche a seguito dell’ultimo rimaneggiamento della norma, la violazione di norme contenute in regolamenti può, a determinate condizioni, rilevare ai fini della integrazione del reato. Di fronte al tema del se, in ragione dei rinvii indefiniti derivanti dall’elemento normativo di cui all’art 323 cod. pen., costituito dalla “violazione di specifiche regole di condotta” vi siano ancora margini per attrarre all’interno dei parametri di qualificazione della condotta abusiva anche la violazione di norme sub-primarie, la pronuncia ha ritenuto che tali disposizioni possono valere quali norme interposte, sicché in questi termini è possibile ammettere un livello – comunque minimo - di eterointegrazione da parte della fonte secondaria. È necessario, in sintesi, che tali norme si risolvano nella mera specificazione tecnica di un precetto comportamentale che deve essere già compiutamente definito nella norma primaria, la quale - a sua volta - deve essere conforme ai canoni di tipicità e tassatività propri delle norme incriminatrici. Plasticamente esemplificativa, al riguardo, è la vicenda processuale, in cui si è ritenuto legittimamente operante il meccanismo di integrazione sopra descritto. Con riguardo al conferimento di un incarico di esperto da parte dell’amministrazione comunale, si è evidenziato come la norma di legge violata, costituita dall’art. 7, comma 6, d. l. vo 30 marzo 2002, n. 165, avesse una propria, autonoma e specifica, tipicità descrittiva, richiedendo che i soggetti a cui potevano essere conferiti incarichi dal Comune avessero una “comprovata specializzazione anche universitaria”, mentre l’art. 45 del regolamento di quello stesso comune assolveva ad una funzione di sola specificazione, spiegando cosa dovesse intendersi con la suindicata locuzione.
4. La mancata incidenza della novella sulla violazione del dovere di astensione
Da ultimo, mette conto osservare che la novella non ha inciso sulla violazione del dovere di astensione.
La fattispecie incriminatrice dell’abuso, come detto, si articola in una duplice condotta, contemplando, accanto alla violazione delle norme di azione che regolano lo svolgimento delle funzioni o del servizio, l’inosservanza dell’obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, ovvero negli “altri casi previsti”. In relazione a tale secondo segmento di condotta, alternativo all’altro, non operano le prescrizioni limitative della novella, relative alla natura della norma-fonte.
Non vi è in ciò alcuna disarmonia.
Al di là del chiaro tenore della interpolazione, che non riguarda l’omessa astensione in situazione di conflitto di interesse, la fonte normativa della violazione va individuata nella stessa norma penale, salvo che per il rinvio agli altri casi prescritti; pure per questi, tuttavia, non è pertinente la limitazione alle fonti primarie di legge, giacché - osserva la Corte - il precetto vincolante è già descritto dalla norma penale, sia pure attraverso il rinvio ad altre fonti normative extra-penali, integratrici del precetto, tra cui l’art. 7 del Regolamento recante il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, approvato con d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 ( Sez. 6, n. 7007 del 08/01/2021, Micheli, Rv. 281158 – 03). Va escluso, dunque, con riguardo alla omessa astensione nelle situazioni di conflitto di interessi, l’effetto abrogativo della novella, con le ricadute di favore applicabili retroattivamente secondo il meccanismo di cui all’art. 2, comma 2, cod. pen.
Indice delle sentenze citate Sentenze dalla Corte di cassazione: Sez. U, n. 155 del 29/9/2011, dep. 2012, Rossi, Rv. 251498 Sez. 6, n. 41215 del 14/6/2001, Artibani, Rv. 253804 Sez. 6, n. 12370 del 30/1/2013, Baccherini, Rv. 256003 Sez. 6, n. 22871 del 21/02/2019, Vezzola, Rv. 275985 Sez. 6, n. 442 del 9/12/2020, dep. 2021, Garau, Rv. 280296 Sez. 6, n. 7007 del 08/01/2021, Micheli, Rv. 281158 - 03 Sez. 6, n. 8057 del 28/1/2021, Asole, Rv. 280965 Sez. 6, n. 33240 del 16/02/2021, Del Principe, Rv. 281843 Sez. F, n. 42640 del 17/08/2021, Amato, Rv. 282268 Sez. 1, n. 2080 del 06/12/2021, Vezzola, (dep. 2022)
Fonte: CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ufficio del Massimario Rassegna della giurisprudenza di legittimità Gli orientamenti delle Sezioni Penali Anno 2021.