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Abuso d'ufficio: persiste la rilevanza penale delle condotte viziate da incompetenza relativa.


Corte di Cassazione

La massima

In tema di abuso di ufficio per violazione di legge, nonostante l'abolitio criminis di cui all' art. 23 d.l. 16 luglio 2020, n. 76 , conv., con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120 , persiste la rilevanza penale delle condotte viziate da incompetenza cd. relativa, ove il potere di adottare l'atto emesso dall'agente sia attribuito ad altro soggetto, in maniera specifica e cogente, da norme di legge o da atti aventi forza di legge. (Fattispecie relativa ad atto di ricognizione di debito emesso dal sindaco di un comune, in violazione di quanto prescritto dagli artt. 50 e 107 d.lg. 18 agosto 2000, n. 267.


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La sentenza integrale

Cassazione penale sez. V, 24/06/2022, (ud. 24/06/2022, dep. 23/09/2022), n.36001

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Milano ha confermato la condanna di B.L.D., M.C., F.S., V.A. e G.A. per il reato di falso ideologico aggravato in atto pubblico, per come rispettivamente contestato ai capi A), B), C), E) e G) dell'imputazione. La Corte ha inoltre confermato la condanna del solo B. per l'ulteriore reato di abuso d'atti d'ufficio a lui solo contestato al capo K) della medesima imputazione e in riferimento al quale il suddetto imputato ha rinunziato alla prescrizione.


1.1 Il procedimento riguarda gli illeciti realizzati dai suddetti imputati nella gestione contabile e finanziaria del Comune di Mozzate. La prima vicenda - cui si riferiscono anzitutto i capi da A) a C) dei quali sono chiamati a rispondere il B., sindaco del menzionato comune, il M., segretario comunale, e la F., responsabile dell'ufficio tesoreria e ragioneria dell'ente - ha ad oggetto l'appostazione nei bilanci consuntivi degli esercizi dal 2010 al 2012 di un residuo attivo relativo al credito di 1.500.000 Euro asseritamente vantato nei confronti della partecipata MPAT s.r.l. e relativo al canone dovuto da quest'ultima per la concessione onerosa di alcuni beni immobili di proprietà del comune. Secondo l'impostazione recepita dai giudici del merito tale appostazione è da ritenersi invero falsa per l'inesistenza del credito sottostante. In tal senso la sentenza rileva che alla delibera di giunta con la quale era stata deliberata la concessione non è mai seguita la stipula del necessario contratto tra la concessionaria e il comune, che, dunque, non poteva ritenersi titolare nei confronti della partecipata di alcun credito certo, liquido ed esigibile idoneo ad essere iscritto nel rendiconto. In merito alla medesima vicenda, ai capi E) e G), analogo addebito è contestato anche al V. ed al G., per aver taciuto, nelle relazioni di loro competenza e nella loro qualità di revisori dei conti dell'ente locale, l'inesistenza del residuo attivo appostato nei menzionati bilanci.


1.2 La seconda ed autonoma vicenda riguarda invece la contestazione al solo B. di aver sottoscritto alcune missive confermative dell'impegno del Comune di Mozzate a pagare le somme vantate da FIS Factoring s.r.l. nei confronti di MPAT a seguito della "fattorizzazione" del contratto di servizio stipulato nel 2009 da quest'ultima con l'ente locale per la gestione del patrimonio immobiliare trasferito alla partecipata.


Dalla sentenza impugnata risulta che il suddetto contratto prevedeva in favore di MPAT un compenso complessivo di 1.200.000 Euro da erogare per quote di 300.000 Euro ciascuna e che nella delibera di giunta con cui era stata approvata la sua stipulazione, la partecipata era stata altresì autorizzata ad emettere documenti rappresentativi del credito al fine di scontarne l'importo, ma solo previa specifica autorizzazione dell'ente locale, effettivamente intervenuta solo per la prima tranche della somma dovuta a MPAT per l'anno 2009. Quest'ultima procedeva, invece, ad emettere anche le fatture relative alle ulteriori quote e comunque cedeva a FIS il credito relativo all'intero importo ed a quello per le successive due annualità, presupponendo che il compenso sarebbe rimasto invariato nonostante il contratto di servizio prevedesse la sua revisione ad ogni esercizio. La cessione dei crediti veniva comunicata da FIS al Comune di Mozzate e riscontrata tramite fax a firma del M. - che ha poi disconosciuto la circostanza - mentre successivamente il B., invece di contestare la pretesa della società cessionaria, aveva inviato alla medesima, tra il novembre del 2011 e il luglio 2012, una serie di missive contenenti il riconoscimento del debito anche per la quota eccedente l'unica fattura di cui l'ente aveva autorizzato l'emissione e per le annualità successive al 2009, sulla base delle quali la società di factoring otteneva l'emissione di un decreto ingiuntivo invano opposto dall'ente locale proprio a causa della ricognizione di debito effettuata dal B..


2. Avverso la sentenza ricorrono tutti gli imputati.


2.1 Il ricorso proposto nell'interesse del B. articola sette motivi.


2.1.1 Con i primi due vengono dedotti vizi di motivazione in merito all'affermazione di responsabilità dell'imputato per i falsi contestatigli ai capi A) e B). In proposito il ricorrente lamenta come la sentenza in maniera meramente assertiva abbia ritenuto che il B., all'atto dell'approvazione dei bilanci del 2010 e del 2011, fosse consapevole della mancata stipulazione del contratto con la partecipata, nonché del disallineamento con i bilanci di esercizio di quest'ultima. In particolare la Corte avrebbe anzitutto ingiustificatamente ritenuto irrilevante la mancata partecipazione dell'imputato all'assemblea di MPAT convocata per l'approvazione del bilancio del 2010, dando per scontato che il vice-sindaco - il quale, all'uopo delegato, invece vi intervenne - lo abbia poi reso edotto della mancata indicazione nel rendiccnto della partecipata della posta passiva corrispondente al credito del comune. In secondo luogo, ignorando la specifica obiezione avanzata in proposito con i motivi d'appello, i giudici del merito non avrebbero considerato lo sfasamento temporale tra la data di approvazione del consuntivo comunale e quella, successiva, in cui è stata invece celebrata l'assemblea di MPAT. La Corte avrebbe poi illogicamente inferito la pregressa conoscenza dell'omessa contrattualizzazione dalla partecipazione l'anno successivo del B. all'assemblea di approvazione del bilancio del 2011 di MPAT, nonché dal fatto che, all'esito della stessa, egli abbia poi sollecitato il M. a perfezionare il contratto mancante, senza nuovamente tenere conto dello sfasamento temporale tra il momento in cui la menzionata assemblea venne tenuta e quello, anteriore, di approvazione del consuntivo dell'ente locale. Secondo il ricorrente la sentenza avrebbe in definitiva fondato la prova della colpevolezza dell'imputato sul canone del "non poteva non sapere" in ragione della sua posizione di vertice apicale dell'amministrazione comunale, omettendo di dimostrare il dolo del reato, che, per quanto generico, non può considerarsi in re ipsa e violando la regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio.


2.1.2 Ulteriori vizi di motivazione vengono dedotti con il terzo motivo in merito all'affermazione di responsabilità del B. per il reato di abuso d'atti d'ufficio contestato al capo K).


Il ricorrente lamenta in particolare l'omessa confutazione da parte dei giudici dell'appello dei plurimi rilievi formulati con il gravame di merito, osservando, anzitutto, che con i motivi d'appello era stata contestata l'asserita strumentalizzazione del contratto di servizi al mero reperimento di liquidità in favore della partecipata, invece apoditticamente ribadita dalla Corte territoriale senza considerare il prospettato interesse pubblico sotteso all'operazione. In secondo luogo, la difesa aveva eccepito come le somme oggetto del credito ceduto a FIS fossero ampiamente eccedenti quelle invece anticipate da quest'ultima a MPAT, facendo riferimento a prove documentali sostanzialmente ignorate dal giudice dell'appello. Ed in proposito la sentenza impugnata avrebbe altresì pretermesso quanto dedotto in merito al fatto che, sia nelle missive oggetto di addebito, sia nell'incontro con il rappresentante della società di factoring, il B. abbia costantemente fatto esclusivo riferimento alle somme effettivamente anticipate a MPAT e non anche al credito complessivamente ceduto dalla stessa e come, pertanto, le suddette missive fossero funzionali ad una composizione transattiva esclusivamente dell'effettiva esposizione finanziaria della partecipata.


Inoltre, con i motivi aggiunti, era stato contestato l'ulteriore assunto per cui non vi sarebbe stata alcuna prova del fatto che il comune si fosse impegnato con la partecipata anche per le annualità del 2010 e del 2011, documentando la circostanza a confutazione, tra l'altro, delle dichiarazioni rilasciate dal successore del B. invece evocate sul punto in entrambe le sentenze di merito.


Lamenta ancora il ricorrente che con i motivi d'appello era stata censurata in maniera articolata l'affermazione per cui i documenti sottoscritti dal M. non conterrebbero una ricognizione di debito, ma il mero riscontro da parte dell'ente locale dell'avvenuta cessione del credito. Affermazione che la Corte territoriale ha ribadito ignorando, ancora una volta, le deduzioni difensive, nonostante queste ultime fossero idonee a disarticolare il ragionamento per cui l'imputato, attraverso le missive inviate a FIS ed oggetto dell'addebito, non si sarebbe limitato a porre rimedio alla vertenza insorta con la menzionata società in ragione della già avvenuta ricognizione del debito nei confronti della medesima, ma avrebbe, per l'appunto, proceduto egli stesso per la prima volta al suo indebito riconoscimento.


Infine, con riguardo alla pronunzia con la quale il Tribunale di Bergamo ha rigettato l'opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da FIS, il gravame di merito avrebbe invano eccepito trattarsi di decisione non definitiva e comunque fondata su di una piattaforma cognitiva incompleta.


Sempre con il motivo in esame il ricorrente lamenta inoltre l'omesso esame delle censure difensive relative all'impossibilità di attribuire alle missive oggetto di addebito la capacità di impegnare l'ente locale sul versante della spesa ed all'atipicità della condotta contestata all'imputato alla luce delle modifiche apportate dalla L. n. 120 del 2020 all'art. 323 c.p..


2.1.4 Con il quarto motivo vengono denunziati vizi di motivazione in merito alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato. In proposito vengono anzitutto ripresi i temi, già trattati nei motivi precedenti, dell'ingiustificata esclusione del valore ricognitivo del debito dei moduli sottoscritti dal M. e dell'erronea interpretazione del contenuto delle missive inviate dall'imputato, nelle quali non sarebbe menzionato l'intero credito ceduto a FIS, ma esclusivamente l'effettiva esposizione di MPAT nei confronti di quest'ultima a causa delle anticipazioni ricevute sulle fatture emesse, come peraltro confermato dal teste Palmerini, le cui dichiarazioni sarebbero state trascurate dai giudici del merito. Le lacune motivazionali della sentenza su tali punti rendono pertanto apodittico il ragionamento della Corte per cui il B. avrebbe agito all'esclusivo scopo di salvaguardare il meccanismo di reperimento di liquidità per la partecipata causando un danno ingiusto all'ente locale. Scopo che comunque risulterebbe strumentale a consentire la continuità del servizio reso da MPAT e dunque funzionale alla realizzazione di un interesse pubblico, risultando così incompatibile con il dolo intenzionale di danno o di profitto necessario per la sussistenza del reato. Contraddittoriamente, inoltre, il giudice dell'appello avrebbe tratto la prova della volontà dell'imputato di riconoscere illegittimamente il debito nei confronti di FIS dal fatto che egli era consapevole dell'anomalo comportamento della partecipata, avendo formalmente contestato alla medesima già nel 2009 l'emissione senza autorizzazione della seconda fattura.


2.1.5 Con il quinto motivo viene ribadita e ulteriormente sviluppata sotto il profilo dell'erronea applicazione della legge penale l'obiezione relativa alla sopravvenuta irrilevanza penale della condotta contestata alla luce delle modifiche apportate all'art. 323 c.p. dalla L. n. 120 del 2020, delle quali la Corte non avrebbe minimamente tenuto conto. Con il sesto motivo vengono invece dedotti vizi di motivazione in merito alla commisurazione del trattamento sanzionatorio. In proposito lamenta il ricorrente che la Corte avrebbe ritenuto congrua la pena base di due anni per il falso di cui al capo B), ritenuto il reato più grave, in quanto stabilita in misura prossima al minimo edittale, senza considerare che quest'ultimo, una volta neutralizzata l'aggravante del capoverso dell'art. 476 c.p. nel giudizio di bilanciamento con le riconosciute attenuanti generiche, deve individuarsi in quello di un anno. In maniera contraddittoria, invece, sarebbe stato giustificato l'aumento per la continuazione determinato per il reato di abuso d'ufficio. Ulteriori vizi di motivazione vengono dedotti con il settimo ed ultimo motivo con riguardo alla conferma della provvisionale stabilita in riferimento alla condanna per il reato di cui al capo K), in quanto fondata sull'erroneo presupposto del passaggio in giudicato della decisione con la quale il Tribunale di Bergamo ha respinto l'opposizione del Comune di Mozzate al decreto ingiuntivo emesso in favore di FIS.


2.1.6 Infine il ricorrente ha proposto ai sensi dell'art. 612. c.p.p., richiesta di sospensione della condanna al pagamento delle provvisionali.


2.1.7 In data 8 giugno 2022 il difensore dell'imputato ha depositato motivi nuovi. Con il primo, a sostegno di quanto eccepito con il terzo motivo del ricorso principale, evidenzia come successivamente al deposito di quest'ultimo è intervenuta la pronunzia in grado d'appello nel procedimento civile di opposizione al decreto ingiuntivo dalla quale si evince che la Corte ha riconosciuto l'esistenza di un impegno di spesa da parte del Comune di Mozzate nei confronti di MPAT anche per le annualità successive a quella del 2009. Con il secondo motivo nuovo e sempre con riferimento alla sentenza succitata il ricorrente insiste nell'accoglimento del settimo motivo, atteso che la Corte civile ha accolto l'appello dell'ente locale riducendo sensibilmente la somma dovuta a FIS, il che evidenzierebbe la sproporzione della provvisionale comminata all'imputato. 2.2 Il ricorso proposto nell'interesse di M. articola due motivi.


2.2.1 Con il primo motivo vengono denunciati vizi di motivazione della sentenza in merito all'affermazione di responsabilità dell'imputato. Il ricorrente ritiene che tale affermazione sia conseguenza dell'erronea interpretazione da parte dei giudici di merito delle competenze del M.. In particolare viene evidenziato che, ai sensi degli artt. 151 e 153 TUEL - come del resto ammesso dalla stessa sentenza impugnata -, spettava alla F., in qualità di responsabile del servizio finanziario, il compito di esprimere il parere di regolarità contabile e di corretta attestazione di copertura finanziaria, ricoprendo infatti il ruolo di preposto all'accertamento della veridicità di quanto appostato in bilancio. Inoltre l'art. 97, comma 2, TUEL preciserebbe che il segretario comunale svolge solamente compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alla normativa vigente ed esprime il parere di cui all'art. 49 dello stesso TUEL, e cioè di regolarità tecnica, economica finanziaria o contabile, solo nel caso in cui l'ente non abbia responsabili dei servizi, eventualità che per l'appunto non ricorrerebbe nel caso del comune di Mozzate. A detta del ricorrente, la circostanza dunque che il M. non avesse specifiche competenze in materia di bilancio sulla base della normativa degli enti locali sopra richiamata escluderebbe la sua responsabilità. Si aggiunge poi che non risulterebbe dagli atti alcuna comunicazione formale a firma dell'imputato relativa all'appostazione nel rendiconto del resAuo attivo ritenuto inesistente, mentre dalla documentazione in atti risulterebbe che queste provenivano esclusivamente dall'impiegata Saibeni. Circostanza questa confermata anche dalla F., sebbene questa abbia affermato che ciò sarebbe avvenuto, secondo la sua opinione, sulla base di un presunto accordo intervenuto con il M., di cui peraltro non sussisterebbe evidenza alcuna. Peraltro la suddetta comunicazione non sarebbe nemmeno oggetto del reato contestato. Da ultimo il ricorrente rileva che se anche l'imputato avesse effettivamente sollecitato alla Ragioneria l'appostazione del residuo attivo nei bilanci, tale comportamento sarebbe rimasto privo di valore giuridico (oltre ad essere estraneo alla contestazione), essendo di precipua spettanza della Ragioneria stessa accertarne la veridicità e non già del segretario comuna e. Infine, sulla base delle medesime argomentazioni, il ricorso evidenzia il difetto dell'elemento soggettivo del reato.


2.2.2 Col secondo motivo di ricorso vengono denunziati vizi di motivazione in merito al denegato riconoscimento della prevalenza delle pur concesse attenuanti generiche. In proposito il ricorrente si duole che i giudici del merito abbiano confermato il giudizio di equivalenza tra circostanze di segno diverso, come per gli altri imputati, equiparando in maniera immotivata la responsabilità del M. a quella della F., nonostante questa fosse la titolare del servizio deputato all'attestazione del bilancio. Non di meno la Corte non avrebbe tenuto conto dell'incensuratezza dell'imputato e del fatto che egli all'epoca dei fatti seguiva anche altri comuni.


2.3 Il ricorso proposto nell'interesse della F. articola tre motivi.


2.3.1 Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. In tal senso, lamenta anzitutto che la Corte avrebbe erroneamente interpretato l'art. 179 TUEL ed i principi contabili, dando per scontato, contrariamente a quanto invece disposto dalla norma, che i controlli e le verifiche inerenti alla procedura annuale di riaccertamento dei crediti dell'ente gravino anche su soggetti diversi dal responsabile del procedimento a cui si riferisce il residuo attivo, che nel caso di specie era il M., in quanto preposto all'accertamento delle entrate dell'area di gestione di competenza, nonché alla comunicazione scritta circa il loro mantenimento ovvero la loro cancellazione. La norma citata, come quella di cui all'art. 153 TUEL - anch'essa erroneamente applicata dalla Corte -, attribuirebbero invece al responsabile del servizio finanziario solamente doveri di verifica formali, nonché di coordinamento e verifica procedimentale, conseguenti all'accertamento della sussistenza del residuo attivo, che sarebbe, per l'appunto, di diretta attribuzione del responsabile del procedimento. Osserva la ricorrente che, peraltro, nello stesso senso disponeva il Regolamento di Contabilità ed Economato del Comune di Mozzate, il quale prevede che spetti al responsabile del servizio procedere alle operazioni di riaccertamento dei residui attivi e passivi in relazione alle entrate ed alle spese di propria competenza. Conclusione che sarebbe peraltro asseverata dal D.Lgs. n. 118 del 2011, sebbene entrato in vigore successivamente ai fatti per cui si procede. Per tali ragioni la motivazione della sentenza impugnata è per la ricorrente del tutto illogica, tanto da risultare apparente nell'attribuire alla F. doveri di verifica sostanziali, invece gravanti sul solo M., il quale ha formulato l'atto di accertamento apponendo il parere di regolarità amministrativa. Conseguentemente costituirebbe una mera petizione di principio l'affermazione della Corte per cui l'imputata sarebbe stata consapevole dell'insussistenza del credito, posto che alla stessa spettava esclusivamente l'obbligo di verificare l'esistenza della relativa attestazione proveniente dal segretario comunale. Peraltro la F. nemmeno avrebbe avuto gli strumenti per verificare eventuali discordanze o disallineamenti con il bilancio dela partecipata, posto che nel 2010 e nel 2011 non era ancora in vigore l'obbligo introdotto dal D.L. n. 95 del 2012 di acquisire il documento ufficiale di riconciliazione tra poste attive e passive redatto dal Presidente del collegio sindacale delle partecipate. Ancora una volta erronea, infine, sarebbe l'affermazione per cui i contratti degli enti locali necessiterebbero di forma scritta, sebbene alcuna disposizione di legge lo imponga e comunque lo stesso articolato ragionamento giuridico svolto dai giudici di merito per sostenere tale conclusione comproverebbe il difetto del dolo dell'imputata.


2.3.2 Col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta vizi di motivazione della sentenza nella parte in cui ha affermato la responsabilità della F. per aver falsamente mantenuto il residuo attivo relativo al credito nei confronti di MPAT anche nel bilancio consuntivo dell'anno 2012, approvato dal Commissario prefettizio nell'aprile del 2013. In particolare, la ricorrente ritiene che, avendo i giudici del merito, rilevato che la gestione del bilancio nel periodo di commissariamento imporrebbe accertamenti e valutazioni differenti rispetto ad un periodo di gestione ordinaria, sarebbe contraddittorio ritenere la F. responsabile anche per tale reato.


2.3.3 Col terzo motivo di ricorso viene infine dedotta erronea applicazione della legge penale, lamentando l'omessa qualificazione del falso come "innocuo" stante la sua inidoneità concreta ad incidere sulla genuinità del bilancio consuntivo dell'ente pubblico. A detta della ricorrente, infatti, l'interesse tutelato non potrebbe essere commisurato al risultato dell'esercizio, il quale, al contrario di quanto avviene per le società private, in alcun modo può rappresentare il risultato di gestione di un ente pubblico, la cui finalità non è la produzione di un utile. L'unico dato rilevante sarebbe invece solo quello relativo all'eventuale esistenza di un avanzo libero o disponibile, non incidendo le altre componenti dell'avanzo complessivo né sulla rappresentazione esterna fornita dal documento, né sul perseguimento dei risultati dell'ente. Deduce quindi la ricorrente che la scelta effettuata dall'imputata, nella convinzione sia dell'esisteniza del credito quanto del fatto che lo stesso fosse degradato, di rendere innocuo il residuo attivo di Euro 1.500.000 appostandolo nella componente vincolata dell'avanzo di amministrazione avrebbe reso la sua indicazione inoffensiva, perché inidonea ad alterare il significato del bilancio e ad ingannare l'affidamento che i terzi riponevano rispetto al suo risultato, non incidendo sull'entità delle risorse disponibili liberamente dall'ente.


2.4 Il ricorso proposto nell'interesse di G. articola due motivi di ricorso.


2.4.1 Col primo motivo vengono denunciati vizi di motivazione con riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ascritto all'imputato, ritenendo il supporto argomentativo della sentenza sul punto al limite dell'apparenza anche in riferimento al rispetto della regola di giudizio. Nello specifico il ricorrente osserva in primo luogo che, avendo il G. svolto il proprio incarico di revisore durante il periodo in cui il Comune di Mozzate venne commissariato e dunque, per stessa ammissione della sentenza, di "amministrazione non ordinaria", nel corso del quale il suo compito deve ritenersi connotato da dinamiche valutative diverse e quindi non censurabili con l'imputazione di falso. In sostanza, a detta del ricorrente, il G. avrebbe dovuto essere assolto per il solo fatto di aver prestato il proprio servizio in un periodo diverso rispetto a quello degli altri fatti contestati nel presente procedimento. Rileva, poi, che la Corte territoriale avrebbe omesso di seguire un ragionamento logico e coerente con riferimento alla prova della consapevolezza del G. dell'insussistenza del credito appostato nel rendiconto e che avrebbe omesso di specificare quale disposizione l'imputato avrebbe effettivamente violato, considerato che l'art. 239 del TUEL prescrive ai revisori dei conti di vigilare sull'attività contabile solo con tecniche di campionamento e non con una puntuale analisi di ogni singola posta dell'ente. Al contrario, l'obbligo di verifica dell'esistenza del titolo giuridico per ogni singola voce di accertamento sarebbe demandato in prima analisi al responsabile di servizio di competenza, nonché a quello del servizio finanziario, ossia, nella specie, al M. ed alla F.. Inoltre, a norma del citato art. 239 TUEL, il revisore, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza, non avrebbe alcuna funzione di attestazione della regolarità del bilancio. La Corte territoriale, infatti, avrebbe in maniera del tutto illogica ed apodittica attribuito al G. la consapevolezza dell'inesistenza del credito per aver sollecitato nella sua relazione l'amministrazione comunale ad incassare i residui attivi, compreso quello vantato nei confronti della partecipata. In proposito si osserva che, oltre all'erronea identificazione del destinatario della sollecitazione - diretta al Commissario prefettizio e non già all'amministrazione comunale - la circostanza, semmai, sarebbe idonea a comprovare la buona fede dell'imputato, che avrebbe agito ritenendo sussistente il credito rivelatosi poi inesistente. Peraltro, nella sua relazione, l'imputato, in accordo con il Commissario e sulla base di una comunicazione del collegio sindacale della MPAT, avrebbe sollecitato l'ente a porre in essere le necessarie azioni di riconciliazione delle partite debitorie e creditorie vantate nei confronti delle partecipate, previo monitoraggio delle medesime ai sensi del L. n. 135 del 2012, art. 6 comma 4. Non di meno la Corte non avrebbe considerato come il teste M. - amministratore delegato della MPAT all'epoca dei fatti - abbia confermato l'esistenza del credito e l'accordo intervenuto con il Commissario per mantenere il credito in bilancio.


2.4.2 Col secondo motivo il ricorrente eccepisce l'innocuità del falso, riproponendo le medesime argomentazioni svolte nel terzo motivo del ricorso della F..


2.5 Anche il ricorso del V. articola due motivi. Mentre il secondo è in tutto sovrapponibile al corrispondente motivo del ricorso del G. ed al terzo di quello della F., con il primo il ricorrente lamenta vizi della motivazione con particolare riferimento all'elemento soggettivo del reato, anche in riferimento al rispetto della regola di giudizio. Come per il G., la Corte avrebbe in maniera illogica ed apodittica ritenuto la consapevolezza dell'imputato circa l'inesistenza del credito appostato in bilancio. Più nello specifico il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso del tutto di motivare in ordine agli elementi di prova della responsabilità del V. e quale specifica norma egli avrebbe violato, considerato che l'art. 239 del TUEL non imporrebbe alcun obbligo in capo ai revisori contabili di verificare l'esistenza del sottostante ad ogni singola di bilancio, compito di cui sarebbero invece gravati soltanto i responsabili dei servizi di competenza, che infatti, con riguardo agli anni cui si riferiscono le imputazioni, hanno attestato, con le determine poi prodotte dalla difesa, che i residui attivi appostati avevano le caratteristiche richieste dall'art. 189 TUEL. La normativa imporrebbe ai revisori, invece, solo di vigilare sulla regolarità e corrispondenza alla normativa nazionale del procedimento amministrativo e contabile seguito per l'accertamento dell'entrata e il riaccertamento dei residui attivi. Il ricorrente propone poi le medesime doglianze proposte dal G. in merito alla sollecitazione contenuta nella sua relazione ad incassare i residui attivi, sottolineando come, in maniera illogica, la circostanza sarebbe stata interpretata come prova a carico, nel mentre tali ammonimenti dimostrerebbero, al contrario, che il V. riteneva effettivamente esistente il credito.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi proposti dal G., dal V. e dal B. sono in parte fondati, mentre quelli proposti dal M. e dalla F. devono essere integralmente rigettati.


2. Seguendo l'ordine di trattazione della sentenza impugnata devono essere affrontate le censure proposte da tutti i ricorrenti in relazione alle imputazioni di falso di cui ai capi A), B), C), E) e G).


Pregiudiziale è l'esame di quelle - perfettamente sovrapponibili - formulate con il terzo motivo del ricorso della F. e con il secondo di quelli, rispettivamente, del G. e del V., che sono peraltro manifestamente infondate.


In proposito va anzitutto ribadito che, ai fini della configurazione del reato di falso ideologico in atto pubblico, costituisce atto pubblico il bilancio consuntivo di un ente pubblico territoriale, trattandosi di documento anche a valenza esterna, che assolve alla pubblica funzione di illustrare quali siano state le spese sostenute e gli introiti realizzati, al fine di rappresentare non solo il risultato economico dell'ente nell'anno precedente, ma anche gli scopi amministrativi e politici perseguiti dall'amministrazione (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 24878 del 14/03/2017, Minissale, Rv. 270461).


In secondo luogo deve puntualizzarsi che, in tema di falso inoffensivo, è necessario distinguere tra le diverse ipotesi del falso "inutile o superfluo", del falso "irrilevante" e del falso "innocuo" in senso proprio inteso. Il primo ricorre quando il risultato perseguito avrebbe potuto essere conseguito anche in assenza della falsificazione, giacché il dato che ne costituisce l'oggetto non è richiesto dalle disposizioni che disciplinano la formazione dell'atto. Il secondo sussiste quando la falsità cade su di un profilo estraneo ovvero ininfluente alla funzione dell'atto, cioè su di un profilo ultroneo rispetto al contenuto tipico dell'atto in relazione al quale è predisposta la tutela della pubblica fede. Il terzo qualora, per la sua grossolanità, il falso risulti inidoneo ad ingannare la pubblica fede.


Alla luce di queste consolidate coordinate esegetiche è escluso che la falsa e ripetuta rappresentazione nei rendiconti del comune di Mozzate dell'esistenza di un residuo attivo possa ritenersi inoffensiva solo perché la relativa somma sia stata vincolata evitando così che il consuntivo evidenziasse un avanzo disponibile di pari entità al credito asseritamente non incassato. Ed infatti, per costante insegnamento di questa Corte, perché il falso possa essere considerato inoffensivo è necessario che non esplichi alcun effetto sulla funzione documentale che l'atto è chiamato a svolgere, che è quella di attestare i dati in esso indicati, con la conseguenza che l'innocuità non deve essere valutata con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto (ex multis Sez. 5, n. 5896 del 29/10/2020, dep. 2021, Bresciano, Rv. 280453; Sez. 5, n. 35076 del


21/04/2010, Immordino, Rv. 248395). In altri termini falso non è inoffensivo laddove incida sulla verità di fatti rilevanti dal punto di vista giuridico destinati ad essere documentati a fini probatori nell'atto pubblico (Sez. 3, n. 34901 del 19/07/2011, Testori, Rv. 250825). E' dunque irrilevante che attraverso l'apposizione del vincolo sia stata neutralizzata l'eventualità che l'ente potesse disporre liberamente di un avanzo di esercizio, posto che la stessa falsa attestazione del residuo attivo era idonea ad ingannare i terzi, compromettendo la funzione del rendiconto di provare la veridicità dei dati in esso riportati.


3. Il primo motivo del ricorso del M. e quello corrispondente del ricorso della F. possono trovare trattazione congiunta ancorché formalmente in antitesi. Nella sostanza, infatti, entrambi i ricorrenti respingono l'accusa di essere concorsi nella realizzazione dei falsi loro contestati addossando all'altro l'esclusiva competenza all'accertamento della posta oggetto di addebito, sollevando dunque la questione del contenuto delle attribuzioni degli imputati e facendone discendere, in definitiva, la loro inconsapevolezza della falsità dell'appostazione nei rendiconti dei residui attivi.


Le due tesi difensive sono invero infondate al limite dell'inammissibilità, proponendo una lettura non condivisibile e comunque parziale delle disposizioni del D.Lgs. n. 267 del 2000, nonché omettendo di confrontarsi compiutamente con la motivazione della sentenza impugnata.


3.1 E' ovvio, anzitutto, che le stesse già a priori non possono essere entrambe fondate, escludendosi a vicenda. Ciò peraltro non significa, però e per l'appunto, che almeno una delle due sia corretta. E' vero che il M., nella sua qualità di segretario comunale, non aveva la responsabilità del servizio finanziario cui era demandata la redazione del rendiconto di gestione, poiché il comune di Mozzate si era dotato - nella persona della F. per l'appunto - di un responsabile di tale servizio. Il ricorso omette però di confrontarsi con l'art. 179 del citato decreto - puntualmente evocato invece dalla sentenza impugnata - e sui doveri gravanti sul responsabile del procedimento nella formazione dei bilanci dell'ente locale, né contesta l'assunto per cui in relazione alla contrattualizzazione della concessione rilasciata alla partecipata egli fosse effettivamente investito di tale qualifica. Una lettura coerente del comma 3 della disposizione da ultima menzionata impone infatti di concludere che il responsabile del procedimento è tenuto a trasmettere a quello del servizio finanziario indicazioni veridiche e verificate sul contenuto delle voci di propria competenza da appostare. Ed analoghe considerazioni valgono per l'originario testo del comma 3 dell'art. 228 dello stesso decreto, vigente all'epoca dei fatti (e prima dunque delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 118 del 2011 e successive modificazioni e dell'introduzione del regime di "contabilità armonizzata"), il quale prevedeva che, prima dell'inserimento dei residui attivi nel rendiconto dovesse procedersi al loro riaccertamento, attività che coinvolgeva la competenza anche e soprattutto del responsabile del procedimento.


In tal senso del tutto logicamente la Corte territoriale ha quindi valorizzato anche la comunicazione diretta alla F. proveniente dall'ufficio dell'imputato contenente l'indicazione di procedere all'appostazione del residuo attivo. Priva di fondamento è invece l'obiezione per cui tale nota non è stata sottoscritta personalmente dal M., bensì da una impiegata alle sue dirette dipendenze, posto che la stessa è stata inviata proprio in ottemperanza ai doveri di esclusiva competenza dell'imputato e dunque la sentenza ha logicamente ritenuto attribuibile al medesimo la paternità del contenuto dell'atto.


Privo di pregio è altresì il rilievo per cui il comportamento dell'imputato sarebbe comunque stato irrilevante, proprio perché la posta avrebbe dovuto essere verificata dal responsabile del servizio finanziario e successivamente anche dai revisori. L'osservazione prescinde ancora una volta dal contesto normativo di riferimento per cui gli adempimenti gravanti sul M. non sono scindibili dalla procedura di redazione del rendiconto, ma ne costituiscono parte integrante. Non solo, l'obiezione non tiene conto dell'oggetto della contestazione ossia l'esistenza, a norma di legge, del residuo attivo e non v'e' dubbio che il primo ad essere consapevole della non rendicontabilità del credito era proprio l'imputato, essendo colui che avrebbe dovuto contrattualizzare la concessione creando il titolo giuridico necessario per l'appostazione del credito. Quanto alla forma scritta per la stipulazione del contratto correttamente la sentenza impugnata ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui la stessa è necessaria, mentre le censure sul punto del ricorrente risultano del tutto generiche omettendo una reale confutazione dell'argomentazione dispiegata dai giudici del merito.


3.2 Come detto anche le doglianze della F. si traducono nel tentativo di segmentare in compartimenti stagni le fasi della procedura di appostazione delle singole voci nel rendiconto. Tentativo, che come già ricordato, è incompatibile con una lettura razionale delle norme di riferimento. Manifestamente infondate sono poi le critiche mosse dalla ricorrente all'interpretazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 153, accolta dalla Corte territoriale. Invero la lettera della disposizione in questione è inequivocabile nell'assegnare al responsabile del servizio finanziario l'obbligo di verificare della veridicità delle poste, mentre i successivi artt. 179 e 189 non onerano dell'accertamento il solo responsabile del procedimento, che lo stesso articolo descrive come una fase unitaria nella quale vengono integrate le diverse competenze dei soggetti che vi sono impegnati. E' fuori discussione che l'accertamento della posta spetta anzitutto al responsabile del procedimento, ma la successiva trasmissione al responsabile del servizio finanziario della conseguente documentazione è funzionale alla annotazione contabile, attività di esclusiva competenza di quest'ultimo, il quale vi sovraintende con i poteri ed i doveri indicati nel citato art. 153 ed agendo in autonomia, per come recita il comma 4 dell'articolo da ultimo citato. Ed anche in questo caso considerazioni analoghe possono essere svolte con riguardo a quanto previsto dal comma 3 dell'art. 228 del decreto nel testo vigente all'epoca dei fatti con riguardo alla specifica attività di riaccertamento dei residui attivi al fine del loro inserimento nel rendiconto. In definitiva è da respingere una lettura del compendio normativo descritto che esenti il responsabile del servizio finanziario da qualsivoglia onere di verifica della completezza dei dati trasmessi dai responsabili dei singoli procedimenti ovvero che limiti i suoi compiti alla mera verifica del rispetto delle regole procedimentali. Del tutto correttamente, dunque, la Corte territoriale, ha ritenuto che l'imputata, nella sua qualità di responsabile del servizio finanziario, abbia materialmente commesso il falso appostando un residuo attivo privo del necessario titolo giuridico che ne comprovasse l'effettiva sussistenza.


Quanto al difetto del dolo del reato le censure della ricorrente si rivelano generiche. Richiamato quanto ricordato in precedenza sulla necessità della forma scritta per l'attività iure privatorum della Pubblica Amministrazione e rilevato che costituisce una mera speculazione difensiva quella per cui la F. avrebbe ignorato la circostanza, deve evidenziarsi come la Corte territoriale abbia ritenuto la consapevolezza dell'imputata di concorrere nella falsa appostazione in ragione del rilevante ammontare del credito, ma soprattutto dal fatto che la stessa ha cercato di neutralizzarne l'impatto sul risultato di esercizio vincolandolo. Le conclusioni che i giudici di merito hanno tratto da tali elementi fattuali in merito alla consapevolezza dell'imputata dell'irregolarità del residuo attivo indicato dal M. appaiono del tutto logiche e comunque non sono state oggetto di specifica contestazione, avendo - come si è già visto - la ricorrente valorizzato la scelta di vincolare il credito al solo fine di eccepire l'innocuità del falso e non già e per l'appunto la consapevolezza di realizzarlo.


3.3 Inammissibili sono infine il secondo motivo del ricorso della F. e il corrispondente motivo di quello del M.. Quanto all'affermazione della responsabilità dell'imputata anche per l'appostazione del residuo attivo nel rendiconto del 2012, è appena il caso di rilevare come le particolarità della gestione commissariale non giustificavano certo l'appostazione di un dato della cui falsità, per le ragioni già illustrate, ella era consapevole. Con riguardo invece alle censure in punto di trattamento sanzionatorio avanzate dal M. le stesse si rivelano del tutto generiche e manifestamente versate in fatto.


4. Sempre con riguardo ai reati di falso devono ritenersi infondati al limite dell'inammissibilità anche i primi due motivi del ricorso del B. che possono essere trattati congiuntamente.


Contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente la Corte territoriale non ha fondato l'affermazione di responsabilità dell'imputato sul canone del "non poteva non sapere", riconoscendo una sorta di responsabilità di posizione legata alla carica ricoperta dal B.. I giudici del merito hanno invece tratto le proprie conclusioni in ordine alla sua consapevolezza dell'insussistenza giuridica del residuo attivo dalla valutazione complessiva di una serie di indizi ritenuti convergenti nella dimostrazione del risultato probatorio assunto a fondamento della condanna dell'imputato.


In tal senso la sentenza ha valorizzato le ridotte dimensioni dell'ente locale anche in rapporto al valore del credito appostato, il fatto che l'imputato avesse partecipato all'approvazione della delibera con la quale era stata decisa la concessione e che, fino a dopo l'assemblea della partecipata del 2012, non si fosse mai attivato per sollecitare la stipulazione del contratto e per la riscossione del credito pur essendo edotto che questo non era stato mai pagato ricomparendo sotto forma di residuo attivo nei rendiconti approvati dal consiglio comunale in sua presenza.


Il percorso argomentativo seguito dalla Corte deve ritenersi coerente alle regole di valutazione probatoria poste dall'art. 192 c.p.p., comma 2 e tutt'altro che illogico. Irrilevante ai fini della sua tenuta è peraltro la questione relativa alla mancata presenza dell'imputato all'assemblea della partecipata nel 2011, così come quella dello sfasamento temporale tra l'approvazione dei rendiconti del comune e dei bilanci di MPAT. Ed infatti la conclusione logicamente raggiunta dalla Corte Oe' che il B. sia stato sempre consapevole della mancata contrattualizzazione della concessione e ciò a prescindere dal fatto che egli sapesse del disallineamento tra i primi e i secondi. Che la sentenza abbia valorizzato anche tale circostanza presumendo che il vice-sindaco lo avesse reso edotto della stessa dopo averlo sostituito all'assemblea del 2011 è dunque ininfluente ai fini della tenuta del ragionamento probatorio, così come il fatto che la Corte non abbia risposto specificamente all'obiezione relativa ai diversi tempi di approvazione dei documenti contabili.


Conseguentemente deve rilevarsi che in definitiva il ricorrente ha omesso di confrontarsi con quello che risulta essere l'effettivo apparato argomentativo della sentenza impugnata, seguendo un approccio atomistico e lacunoso nella critica della sua motivazione che contrasta con il corretto metodo di valutazione globale di un più ampio compendio indiziario seguito dai giudici del merito.


Ne' può dirsi, come eccepito, che la Corte non abbia fatto buon governo della regola di giudizio. L'obiezione è invero generica nella misura in cui, nuovamente, omette il confronto con tutte le evidenze considerate e dunque non precisa in che termini, alla luce delle medesime, possa ritenersi ragionevole il dubbio sulla consapevolezza da parte del B. della falsità dell'appostazione del residuo attivo.


5. Colgono invece nel segno le censure proposte con i ricorsi del V. e del G. con riguardo alla sussistenza dell'elemento soggettivo dei reati di falso ideologico loro rispettivamente contestati e che possono essere trattate congiuntamente. Fondate sono in particolare le critiche mosse dai due ricorrenti al percorso argomentativo attraverso cui la Corte ha ritenuto raggiunta la prova della consapevolezza dell'insussistenza del credito appostato nei rendiconti dell'ente.


In proposito va anzitutto ricordato che, come propriamente dedotto dagli imputati, il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 239, lett. c) elenca tra le funzioni dell'organo di revisione la "vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione relativamente all'acquisizione delle entrate, all'effettuazione delle spese, all'attività contrattuale, all'amministrazione dei beni, alla completezza della documentazione, agli adempimenti fiscali ed alla tenuta della contabilità" da svolgere "anche con tecniche motivate di campionamento".


Sebbene il tenore della norma possa apparire ambiguo e prestarsi a sfasature interpretative, se ne deve ricavare che la legge prescrive ai revisori dei conti di vigilare sull'attività contabile attraverso tecniche di campionamento che non comportano, per tale natura, una puntuale analisi di ogni singola posta dell'ente, compito che, come visto, viene demandato dalla legge al responsabile di servizio di competenza, nonché a quello del servizio finanziario, ossia, nella specie, al M. ed alla F., in un'ottica di sinergica collaborazione tra l'organo di revisione e l'ente. Il non corretto e diligente adempimento degli obblighi incombenti sui componenti dell'organo di revisione economico-finanziaria di un ente locale è sicuramente foriero di responsabilità contabile in capo agli stessi, la quale, però, è ontologicamente distinta da quella penale, necessitando quest'ultima in ogni caso di essere provata nei suoi elementi essenziali. Come noto, infatti, ai fini della configurabilità del reato ex art. 479 c.p. è richiesto quale elemento soggettivo il dolo generico, inteso quale consapevolezza della immutatio veri e cioè la volontarietà e la consapevolezza della falsa attestazione, mentre non è richiesto l'animus nocendi né l'animus decipiendi, con la conseguenza che il delitto sussiste non solo quando la falsità sia compiuta senza l'intenzione di nuocere, ma anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno (ex multis Sez. 5, sentenza n. 12547 del 08/11/2018, dep. 2019, Sirianni, Rv. 276505). Ciò comporta che il dolo deve, dunque, essere oggetto di rigoroso accertamento probatorio, e va escluso tutte le volte in cui la falsità risulti essere dovuta soltanto a leggerezza o negligenza dell'agente, atteso che il sistema penale attualmente vigente non contempla la figura del falso colposo.


Nel caso di specie, la Corte territoriale non ha offerto alcun elemento idoneo a dimostrare la rappresentazione da parte dei revisori della insussistenza del residuo oggetto di contestazione e della loro conseguente volontà di attestarne falsamente la regolare appostazione omettendo di segnalarne invece l'indebito inserimento nei rendiconti. I giudici di merito, in modo del tutto generico ed apodittico, fanno discendere la prova della rappresentazione dell'inesistenza del credito dal fatto che i due revisori, nelle rispettive relazioni, hanno invitato l'amministrazione comunale ad attivarsi per incassare il credito.


Con un evidente salto logico, la sentenza pone tale circostanza al centro del ragionamento probatorio, ma si astiene dallo spiegare perché se ne deve trarre la prova della rappresentazione della falsità dell'appostazione. Ed infatti la soltitazione rivolta all'amministrazione comunale a realizzare un residuo reiteratamente appostato nel tempo non implica necessariamente la prova dell'avvenuta verifica della sua effettività o comunque la consapevolezza dell'insussistenza del credito altrimenti acquisita. L'inconsistenza del processo induttivo è poi acuita dalle già ricordate modalità "a campione" con le quali il revisore è chiamato a svolgere la verifica del sottostante delle voci appostate nel bilancio. Deve dunque rammentarsi che il dolo richiesto ai fini della configurabilità del reato di falso ideologico in atto pubblico non è in re ipsa, dovendo essere in ogni caso dimostrato e non potendo desumersi solo dalla constatazione dell'oggettiva immutatio veri, ma necessitando di elementi estrinseci di valenza univocamente sintomatica che consentano di escludere che la falsità sia dovuta ad una mera leggerezza o negligenza dell'agente.


6. Venendo all'imputazione di abuso d'atti d'ufficio di cui al capo K) contestata al solo B., pregiudiziale è l'esame del quinto motivo del ricorso di quest'ultimo, che è peraltro infondato.


Non è in dubbio che la modifica introdotta coni l D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, ha ristretto l'ambito applicativo dell'art. 323 c.p., determinando l'abolitio criminis delle condotte realizzate mediante violazione di norme generali e astratte dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse, o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità (Sez. 6, n. 13136 del 17/02/2022, Puddu, Rv. 282945). Va in particolare evidenziato che il legislatore è intervenuto sulla fattispecie di abuso di ufficio per violazione di legge, circoscrivendo il fatto tipico alla violazione da parte dell'agente pubblico di "specifiche regole di condotta" e non anche di regole di carattere generale e solo al caso in cui tali specifiche regole siano dettate "da norme di legge o da atti aventi forza di legge", con esclusione, dunque, di quelle di fonte regolamentare ovvero fissate da altri atti normativi di fonte subprimaria. Non di meno è stato precisato che la violazione delle menzionate regole assume rilevanza penale soltanto quando le stesse risultano formulate in termini da non lasciare alcun margine di discrezionalità all'agente, restando perciò esclusa l'applicabilità della norma incriminatrice laddove quelle regole di condotta rispondano in concreto, anche in misura marginale, all'esercizio di un potere discrezionale (ex multis Sez. 6, n. 8057 del 28/01/2021, Asole, Rv. 280965; Sez. 6, n. 442 del 09/12/2020, dep. 2021, Garau, Rv. 280296).


L'intervento riformatore non ha dunque determinato tout court l'irrilevanza penale dell'abuso nel caso in cui questo si traduca in un vizio di incompetenza cosiddetta "relativa" dell'atto, per aver l'agente pubblico, pur nell'esercizio delle sue funzioni o del servizio, esercitato un potere riservato dalla legge ad altro organo. Ciò che rileva, infatti, è che una fonte primaria conferisca in maniera specifica e cogente ad un determinato soggetto il potere di adottare un determinato atto, definendo così i limiti di operatività degli atri agenti pubblici cui analogo potere non viene attribuito.


In tal senso sono allora prive di fondamento le censure del ricorrente, posto che D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, richiamato nell'imputazione, per un verso, definisce espressamente le attribuzioni del sindaco, per l'altro, altrettanto espressamente, rinvia all'art. 107 dello stesso decreto, al fine di dettare un preciso limite all'azione del vertice dell'ente locale. Limite che costituisce la traduzione del principio di separazione tra attività di indirizzo politico ed attività amministrativa in senso proprio cui si è ispirato l'intervento riformatore del 2000.


Il menzionato art. 50 - e soprattutto il suo comma 3 - è dunque tutt'altro che una norma generale ed astratta, contenendo specifiche regole di condotta laddove sottrae al sindaco precise competenze, prima fra tutte quella di compiere atti che impegnino direttamente l'ente verso l'esterno, imponendogli quindi di astenersi dall'adottarli. Condivisibilmente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto tipica la condotta ascritta all'imputato nonostante le modifiche apportate all'art. 323 c.p. dal citato intervento legislativo, rimanendo irrilevante che la stessa non abbia argomentato le proprie conclusioni sul punto, trattandosi di quaestio iuris correttamente risolta.


7. Infondate risultano altresì alcune delle censure svolte dal ricorrente con il terzo motivo. In particolare è infondato che le missive trasmesse dal B. a FIS non abbiano impegnato l'ente e che le stesse non costituiscano un atto di ricognizione del debito nei confronti della summenzionata società. Quanto a tale ultimo profilo è anzitutto irrilevante stabilire se la firma apposta dal M. in calce ai documenti trasmessi dalla creditrice costituisse a sua volta una ricognizione del debito ovvero il mero riconoscimento dell'avvenuta cessione del credito da MFAT a FIS. Anche a prescindere dalle conclusioni in proposito assunte dai giudici del merito, deve infatti osservarsi che le missive incriminate comunque contengono un autonomo riconoscimento del debito, che si è eventualmente aggiunto a quello operato dal segretario comunale. Sul piano degli effetti è poi perfino superfluo ricordare che se il riconoscimento del diritto altrui non costituisce autonoma fonte di obbligazione, tale atto esime chi la riceve dal provare il rapporto fondamentale e comunque ha efficacia interruttiva della prescrizione. Si tratta dunque di effetti che comunque l'imputato ha determinato assumendo un impegno giuridicamente vincolante nei limiti ricordati e violando il combinato disposto del D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 50 e 107, disposizione quest'ultima che riserva agli organi amministrativi l'adozione con rilevanza esterna di tutti gli impegni che l'ente si assume e non soltanto di quelli che costituiscono fonte diretta di una spesa.


8. Sono invece fondate le residue doglianze proposte con il terzo e quarto motivo, il cui accoglimento comporta l'assorbimento di quelle articolate con il sesto ed il settimo, nonché con il secondo dei motivi nuovi.


8.1 I giudici dell'appello non hanno anzitutto fornito alcuna risposta alle obiezioni difensive articolate con il gravame di merito in relazione a specifiche risultanze documentali a confutazione dell'assunto per cui alcun impegno di spesa gravava sul comune di Mozzate per le annualità successive al 2009. Tale omissione non sarebbe invero del tutto dirimente, come eccepito, posto che l'addebito mosso al B. riguarda apparentemente anche la ricognizione del debito relativo alle fatture emesse e fattorizzate da MPA senza la necessaria autorizzazione dello stesso comune, profilo che astrattamente prescinde dall'esistenza ed operatività del sottostante contrattuale, giacché investe anche le fatture emesse nel 2009. Il mancato confronto con i rilievi difensivi diviene, però, rilevante nella misura in cui la Corte, ai fini della sussistenza del dolo del reato, ha posto l'accento anche e soprattutto sull'assenza di un impegno di spesa per le annualità successive al 2009.


8.2 E proprio con riguardo alla sussistenza del dolo tipico del delitto di abuso d'ufficio colgono nel segno le censure formulate con il quarto motivo.


In proposito va ricordato che, ai sensi dell'art. 323 c.p., l'elemento soggettivo del reato è integrato dalla coscienza e volontà della condotta e dall'intenzionalità dell'evento, nel senso che il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto devono costituire l'obiettivo perseguito e non solo genericamente incluso nella sfera di volontà dell'agente (ex multis Sez. 6, Sentenza n. 12974 del 08/01/2020, Gedit spa, Rv. 279264). La prova del dolo intenzionale non presuppone l'accertamento dell'accordo collusivo con la persona che si intende favorire, potendo essere desunta anche dalla macroscopica illegittimità dell'atto, sempre che tale valutazione non discenda dal mero comportamento non iure dell'agente, ma risulti anche da elementi ulteriori concordemente dimostrativi dell'intento di conseguire un vantaggio patrimoniale o di cagionare un danno ingiusto (ex multis Sez. 6, Sentenza n. 52882 del 27/09/2018, Pastore, Rv. 274580). L'intenzionalità del dolo non è peraltro esclusa dalla compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, dovendosi ritenere necessario, perché venga meno la configurabilità dell'elemento soggettivo, che il perseguimento del pubblico interesse costituisca l'obiettivo principale dell'agente, con conseguente degradazione del dolo di danno o di vantaggio da dolo di tipo intenzionale a mero dolo diretto od eventuale (Sez. 6, Sentenza n. 51127 del 17/09/2019, Camastra, Rv. 278938; Sez. 2, Sentenza n. 10224 del 23/01/2019, De Marco, Rv. 276094).


8.3 Di questi oramai consolidati principi la Corte territoriale non ha fatto buon governo, finendo per desumere l'intenzionalità del dolo del B. dalla mera illegittimità della sua condotta. Anzitutto i giudici del merito hanno apoditticamente escluso che l'imputato abbia perseguito anche o soprattutto un interesse pubblico, disattendendo senza alcuna effettiva confutazione i rilievi difensivi sul punto tesi ad evidenziare l'intenzione del B. di assicurare la funzionalità della partecipata e del servizio gestito dalla medesima nell'interesse della comunità, nonché quella di contenere le azioni del creditore e le conseguenze che dalle stesse potevano derivare per l'ente. In proposito la Corte si è sostanzialmente limitata a ricordare come il perseguimento anche di un eventuale interesse pubblico non sia incompatibile con il dolo intenzionale dell'evento del reato, senza peraltro chiarire se abbia o meno ritenuto fondata la prospettazione difensiva di tale interesse. Principio che come si è detto è corretto, ma la cui applicazione richiede di soppesare il rilievo che tale obiettivo ha svolto nel processo volitivo dell'agente, giacché la mera rappresentazione ed accettazione del vantaggio o del danno determinato dalla condotta non integra il dolo intenzionale richiesto dalla norma incriminatrice. E' dunque necessario stabilire quale sia stato il motore primario dell'agire e tale accertamento deve essere ovviamente supportato da adeguata motivazione, del tutto mancante nella sentenza impugnata.


Ma anche qualora non sia riscontrabile il perseguimento di un concorrente interesse pubblico, ciò non comporta automaticamente che il dolo dell'agente sia connotato dalla necessaria intenzionalità, che, si ripete, deve cadere sull'evento e non già sulla condotta di abuso (talché il fatto, pure valorizzato in sentenza, che il B. fosse consapevole dell'anomalo comportamento della partecipata non assume carattere decisivo ai fini della prova dell'intenzionalità dell'evento). E di tale connotazione il giudice ha l'onere di fornire idonea dimostrazione, non potendo, come per l'appunto avvenuto nel caso di specie, desumerlo dall'illegittimità dell'atto posto in essere. La Corte avrebbe dunque dovuto precisare - come invece non ha fatto - perché abbia ritenuto che l'imputato abbia agito con l'intenzione di favorire FIS ovvero sé stesso o altri o, ancora, di danneggiare l'ente da lui diretto, nonché evidenziare quali indici fattuali consentano di raggiungere tale conclusione.


9. Alla luce delle riscontrate lacune motivazionali la sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano nei confronti di B.L.D., limitatamente al reato di cui al capo K), e nei confronti di G.A. e di V.A.. Nel resto il ricorso di B.L.D. deve invece essere rigettato, così come i ricorsi di M.C. e di F.S., i quali devono essere condannati al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori di legge. Spese di parte civile al definitivo nei confronti di B.L.D..


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B.L.D.; limitatamente al reato di cui al capo K) e nei confronti di G.A. e di V.A. con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso di B.L.D.. Rigetta i ricorsi di M.C. e di F.S. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati M.C. e F.S. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori di legge. Spese di parte civile al definitivo nei confronti di B.L.D..


Così deciso in Roma, il 24 giugno 2022.


Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2022

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