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Abuso d'ufficio: sussiste se utilizzato denaro pubblico per finalità diverse da quelle previste


Corte di Cassazione

La massima

L'utilizzo di denaro pubblico per finalità diverse da quelle previste integra il reato di abuso d'ufficio qualora l'atto di destinazione avvenga in violazione delle regole contabili, sebbene sia funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati, anche di interessi pubblici obiettivamente esistenti e per i quali sia ammissibile un ordinativo di pagamento o l'adozione di un impegno di spesa da parte dell'ente, mentre integra il più grave reato di peculato nel caso in cui l'atto di destinazione sia compiuto in difetto di qualunque motivazione o documentazione, ovvero in presenza di una motivazione di mera copertura formale, per finalità esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la condanna per peculato del presidente di un'azienda pubblica, rilevando che l'accertata violazione della normativa per la scelta della ditta appaltatrice e la mancata osservanza delle norme di contabilità, in assenza della prova della non corrispondenza dell'importo erogato al valore delle opere realizzate, avrebbero potuto integrare al più il reato di abuso di ufficio.


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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 23/09/2020 , n. 27910

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Firenze riformava parzialmente la pronuncia di primo grado del 13 ottobre 2017, riducendo la entità della pena inflitta all'imputato, e confermava nel resto la medesima pronuncia con la quale il Tribunale della stessa città aveva condannato P.P. in relazione al reato di cui all'art. 314 c.p. per avere, tra il 19 gennaio e l'11 marzo 2009, quale presidente dell'ASP - Azienda pubblica Servizi alla Persona (OMISSIS) (poi divenuta ASP (OMISSIS)), disposto la vendita dei titoli appartenenti a tale ente pubblico per effettuare il pagamento di quanto preteso dalla ditta G. per lavori di manutenzione eseguiti sugli immobili dell'azienda, così appropriandosi delle relative somme di denaro di cui aveva la disponibilità in ragione del suo ufficio.


Rilevava la Corte territoriale come le emergenze processuali avessero dimostrato la colpevolezza del P. in ordine al reato ascrittogli, che correttamente aveva qualificato i fatti accertati; come il prevenuto, che, in ragione del positivo comportamento processuale, potesse beneficiare di una riduzione della pena finale irrogata, ma non fosse meritevole del riconoscimento delle attenuanti generiche; e come l'entità dei danni che l'imputato era stato condannato a risarcire in favore dell'azienda pubblica costituita parte civile, fosse stata determinata in via equitativa.


2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il P., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti cinque motivi.


2.1. Vizio di motivazione, per contraddittorietà e illogicità, per avere la Corte distrettuale ingiustificatamente confermato la condanna dell'imputato, dapprima sostenendo che la "condotta distrattiva" fosse stata comprovata dal carattere generico delle fatture emesse dalla ditta G., contenenti indicazioni del tutto indeterminate o ripetute, ovvero importi "gonfiati", per poi asserire che due di quelle fatture avevano certamente riguardato spese riferibili al P. di natura esclusivamente personale: senza che fossero stati chiariti quali erano stati i risultati delle indagini espletate dai militari della guardia di finanza in merito ai lavori realmente eseguiti dalla impresa edile e al collegamento con i pagamenti di corrispettivi che la stessa aveva ricevuto.


2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 314 e 323 c.p., per avere la Corte di merito omesso di considerare quanto accertato dallo stesso Tribunale di Firenze in ordine alla mancanza di prova circa una destinazione esclusivamente personale dei soldi impiegati dall'imputato, invero utilizzati per soddisfare esigenze pubblicistiche dell'ente: con la conseguenza che, nel caso di specie. si sarebbe potuta solamente ipotizzare una violazione della disciplina circa le modalità di scelta dell'appaltatore dei lavori e le correlate modalità di spesa, dunque al più il reato di abuso di ufficio e non anche quello di peculato.


2.3. Violazione di legge, in relazione alle norme di diritto penale sostanziale contestate, per avere la Corte periferica asserito che la condotta dell'imputato fosse stata sostenuta dal necessario elemento psicologico, laddove le carte del processo ne aveva dimostrato l'assenza, avendo il P. - soggetto sfornito di specifiche cognizioni contabili - agito sempre "alla luce del sole", con iniziative controllate dal personale amministrativo dell'ente, dunque tenendo un comportamento al più valutabile come colposamente imprudente o superficiale.


2.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 62 bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte fiorentina erroneamente affermato che non vi fossero le condizioni per riconoscere all'imputato le attenuanti generiche.


2.5. Violazione di legge, in relazione all'art. 539 c.p.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte toscana condannato il P. al pagamento di una somma a titolo di provvisionale in assenza di prova certa in ordine all'entità del danno cagionato, sulla base, perciò, di una valutazione espressa in termini esclusivamente equitativi.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte che il ricorso vada accolto, nei limiti e con gli effetti di seguito precisati.


2. Il primo e il secondo motivo del ricorso - strettamente connessi tra loro e, dunque, esaminabili congiuntamente - sono fondati.


Costituisce espressione di un consolidato orientamento interpretativo di questa Corte il principio secondo il quale l'utilizzo di denaro pubblico per finalità diverse da quelle previste integra il reato di abuso d'ufficio qualora l'atto di destinazione avvenga in violazione delle regole contabili, sebbene sia funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati, anche di interessi pubblici obiettivamente esistenti e per i quali sia ammissibile un ordinativo di pagamento o l'adozione di un impegno di spesa da parte dell'ente; mentre, integra il più grave delitto di peculato l'atto di disposizione del denaro compiuto - in difetto di qualunque motivazione o documentazione, ovvero in presenza di una motivazione meramente "di copertura" formale - per finalità esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali dell'ente (così, tra le altre, Sez. 6, n. 41768 del 22/06/2017, Fitto, Rv. 271283).


Di tale principio di diritto la Corte di appello di Firenze ha solo in apparenza fatto corretta applicazione, nella parte in cui ha affermato che l'operazione compiuta dall'odierno ricorrente, consistita nel porre in liquidazione una serie di titoli appartenenti all'ente pubblico ASP (OMISSIS) per poter effettuare il pagamento di quanto richiesto dalla ditta edile G. che aveva emesso una serie di fatture per lavori di manutenzione degli immobili pure di proprietà della medesima azienda pubblica, avesse integrato gli estremi del reato di peculato: ciò perchè, si è detto, con riferimento a due di quelle fatture, il versamento era stato eseguito in relazione a lavori eseguiti per conto di una società, la Ancescao, di cui pure il P. era presidente (così per la fattura n. 41) ovvero a lavori eseguiti sull'immobile di proprietà di P.G., figlia dell'imputato (così per la fattura n. 31).


Tale impostazione argomentativa - laddove realmente riscontrata dalle emergenze processuali - avrebbe giustificato in astratto la fondatezza dell'addebito con riferimento al pagamento di quelle fatture, le uniche per le quali formalmente sarebbe stato ravvisabile il compimento di un atto di disposizione del denaro appartenente all'ente pubblico per finalità esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali dell'ente, avendo la stessa Corte di appello espressamente riconosciuto che tutte le altre fatture emesse dalla ditta G. riguardavano lavori di manutenzione eseguiti sugli immobili dell'ente ASP (OMISSIS): con la conseguenza che il denaro versato per il pagamento di tali ulteriori fatture doveva considerarsi utilizzato per la realizzazione di un interesse di rilevanza pubblica e che l'accertata violazione della disciplina amministrativa per la scelta della ditta appaltante, nonchè la mancata osservanza delle norme di contabilità proprie di quell'ente pubblico, avrebbero al più astrattamente integrato gli estremi di un abuso di ufficio (la cui configurabilità andrebbe oggi verificata alla luce delle modifiche all'art. 323 c.p. apportate dal art. 23 del recente D.L. n. 76 del 2020, convertito nella L. n. 120 del 2020).


Tuttavia, la motivazione della sentenza impugnata risulta gravemente deficitaria, in quanto, omettendo di dare una adeguata risposta ai dubbi e alle perplessità formulate dalla difesa dell'imputato con l'atto di appello, la Corte fiorentina ha replicato con una ricostruzione della vicenda in parte contraddittoria e in parte generica.


Ed infatti, dopo aver precisato che la ditta G. aveva realmente eseguito lavori edili di manutenzione sugli immobili di proprietà dell'ente (circostanza che era stata confermata da un tecnico appositamente incaricato dal consiglio di amministrazione della stessa azienda pubblica), i giudici di merito hanno ammesso come fosse rimasto indimostrato se l'importo richiesto dalla ditta appaltatrice corrispondeva al valore delle opere concretamente realizzate, tenuto conto che le fatture emesse avevano tutte un contenuto generico.


Quanto poi all'affermazione, pure contenuta nella motivazione della sentenza gravata, al fatto che taluni dei lavori indicati in quelle fatture non erano stati eseguiti, va rilevato come tale indicazione sia rimasta meramente assertiva, non essendo stata sorretta dalla esposizione di concreti dati di conoscenza che avrebbero consentito di individuare quali e quante fossero le fatture emesse per lavori inesistenti.


In un siffatto contesto argomentativo, caratterizzato da palese indeterminatezza, non è stato affatto chiarito rapporti esistessero tra la ASP (OMISSIS) e la Associazione Nazionale Centri Sociali Ancescao, indicata come proprietaria di uno degli immobili interessati dai lavori di manutenzione appaltati; nè è stato spiegato quale rilevanza avesse avuto la relazione sentimentale che, all'epoca dei fatti, avrebbe legato il P. ad una donna occupante uno degli immobili di proprietà dell'ente pubblico oggetto di quegli stessi lavori.


La Corte di appello ha finito per concludere, in maniera apodittica, che "la condotta posta in essere dal P. si (era) concretizzata di fatto un una vera e propria appropriazione indebita del denaro dell'ente a proprio vantaggio e a quello della ditta esecutrice dei lavori (...) soprattutto perchè l'incarico alla ditta G. era stato conferito al di fuori della normativa fissata nel c.d. codice degli appalti e non era riferibile all'ente, stante l'assenza di qualsiasi deliberazione in tal senso": dunque, sembrerebbe confermando che il reale addebito mosso all'imputato era quello di aver violato regole di amministrazione e di contabilità.


E', perciò, necessario che a tali quesiti sia il giudice di rinvio a rispondere con una motivazione adeguata.


Nell'accoglimento di tali primi due motivi del ricorso rimane assorbito l'esame del terzo e del quarto motivo, riguardanti l'elemento psicologico del reato e il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.


3. Il quinto e ultimo motivo del ricorso è manifestamente infondato.


E' pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che la pronuncia circa l'assegnazione di una provvisionale in sede penale ha carattere meramente delibativo e non acquista efficacia di giudicato in sede civile, mentre la determinazione dell'ammontare della stessa è rimessa alla discrezionalità del giudice del merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto. Ne consegue che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione poichè, trattandosi di statuizione per sua natura insuscettibile di passare in giudicato, destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (così, tra le tante, Sez. 5, n. 32899 del 25/05/2011, Mapelli, Rv. 250934).


5. Segue l'annullamento della sentenza impugnata per le ragioni innanzi puntualizzate, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze che, nel nuovo giudizio, colmerà le evidenziate lacune e aporie motivazionali, attenendosi al principio di diritto innanzi enunciato.


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.


Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.


Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020

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