Indagini preliminari
L’imputazione coatta è uno strumento previsto dal nostro ordinamento processuale, che consente al giudice per le indagini preliminari di ordinare al pubblico ministero di esercitare l'azione penale. Tuttavia, la giurisprudenza stabilisce che tale potere deve essere esercitato nei limiti consentiti dalla legge, altrimenti si rischia di incorrere in una abnormità del provvedimento, con la conseguente invalidità dello stesso.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37751/2024, ha recentemente affrontato un caso riguardante una cooperativa, coinvolta in un procedimento penale per lesioni colpose connesse a violazioni della normativa sulla sicurezza sul lavoro. La Corte ha annullato l’ordinanza del GIP del Tribunale di Savona, che disponeva l’imputazione coatta nei confronti della cooperativa, riconoscendo che il provvedimento fosse abnorme in quanto l’ente era già stato oggetto di un provvedimento di archiviazione.
La questione trae origine da un incidente sul lavoro avvenuto nel 2017, in cui un dipendente di una cooperativa subappaltatrice aveva riportato gravi lesioni. A seguito dell’incidente, erano stati avviati procedimenti penali per violazione delle norme antinfortunistiche sia nei confronti delle persone fisiche coinvolte (tra cui responsabili della sicurezza e dirigenti) sia nei confronti di Coop Liguria in base alla responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. n. 231/2001.
Tuttavia, per quanto riguarda la posizione di Coop Liguria, il pubblico ministero aveva già richiesto e ottenuto un decreto di archiviazione. Nonostante ciò, il GIP, ritenendo insufficienti gli elementi per l’archiviazione, aveva disposto l’imputazione coatta dell’ente. Questo ha portato la cooperativa a presentare ricorso per cassazione, sostenendo l’abnormità del provvedimento del GIP.
La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, ha sottolineato che il giudice per le indagini preliminari, nel disporre l’imputazione coatta, non può eccedere i limiti posti dalla legge, in particolare quando il pubblico ministero ha già archiviato la posizione di un soggetto. L'abnormità, in questo caso, è stata individuata proprio nella contraddizione tra il decreto di archiviazione già emesso e la successiva ordinanza di imputazione coatta.
Il principio sancito dalla Cassazione è che un giudice non può ordinare il rinvio a giudizio se la posizione dell’ente è stata oggetto di un provvedimento definitivo di archiviazione, a meno che non vi siano nuovi elementi che giustifichino la riapertura del caso.
La sentenza ha quindi annullato senza rinvio l’ordinanza del GIP, ribadendo che il potere di ordinare l’imputazione coatta deve essere esercitato nel rispetto dei principi fondamentali del processo e non può andare oltre i limiti imposti dalla legge. La Corte ha inoltre precisato che l’imputazione coatta non può essere utilizzata come strumento per superare un provvedimento di archiviazione già adottata.
La pronuncia riafferma il principio di legalità e il corretto esercizio del potere giudiziario nella fase delle indagini preliminari. La sentenza chiarisce che il giudice non può adottare decisioni che contrastino con provvedimenti precedentemente emessi e divenuti definitivi, come un’archiviazione. La abnormità del provvedimento si verifica, dunque, quando il giudice esercita poteri che vanno oltre le sue competenze, minando il corretto funzionamento del processo.