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Esercizio abusivo della professione

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Esercizio abusivo della professione

INDICE

> Normativa

1. Introduzione

2. Bene giuridico

3. Persona offesa

4. Soggetto attivo

5. Elemento oggettivo

6. Elemento soggettivo

7. Consumazione e tentativo



> Normativa

Art. 348 -  Esercizio abusivo di una professione

Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000.

La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell'applicazione dell'interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata.

Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l'attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo.

Procedibilità

D'ufficio

Pena

Reclusione da sei mesi a tre anni

Prescrizione

6 anni (7 anni e 6 mesi in caso di rinvio a giudizio)

Competenza

Tribunale in composizione monocratica

Arresto

Non consentito nel caso descritto dal primo comma, facoltativo nel caso previsto dal terzo comma

Misure cautelari personali

Non consentite nell'ipotesi descritta dal primo comma, consentite nell'ipotesi prevista dal terzo comma

Fermo

Non consentito

1. Introduzione

L'esercizio arbitrario di una professione è un reato disciplinato dall'articolo 348 c.p. e punisce chi esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato senza possedere tale abilitazione.

La pena prevista è la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000.


2. Bene giuridico

Il bene giuridico protetto dalla norma è il normale funzionamento della pubblica amministrazione, inteso come l'insieme delle norme che regolano le professioni.

L'obiettivo principale è riservare l'esercizio di determinate professioni solo a coloro che possiedono una speciale abilitazione, garantendo così che le professioni siano svolte da persone con adeguate competenze tecniche e morali.

Pertanto, la norma tutela il corretto funzionamento della pubblica amministrazione nel suo ruolo di regolamentazione delle professioni.

Va però evidenziato che la norma in esame non mira a proteggere gli interessi corporativi delle categorie professionali, ma l'interesse generale della collettività.

Ed invero, si ripete l'esigenza è che professioni di particolare rilievo sociale siano esercitate da persone la cui competenza è stata valutata attraverso appositi esami di abilitazione, assicurando così la serietà e la competenza del singolo professionista.


3. Persona offesa

Il soggetto passivo del reato di esercizio arbitrario di una professione è lo Stato e ciò in quanto il bene giuridico tutelato dalla norma è l'interesse dello Stato nel garantire che solo persone con adeguate qualifiche e abilitazioni possano esercitare determinate professioni.

Sebbene un risalente orientamento giurisprudenziale negava la possibilità per gli ordini professionali di costituirsi parte civile nel procedimento penale contro gli esercenti abusivi, la giurisprudenza successiva ha cambiato radicalmente prospettiva, ritenendo ammissibile la costituzione di parte civile anche da parte degli ordini e delle associazioni professionali locali, laddove il reato abbia causato un danno, non solo morale ma anche patrimoniale, agli interessi della categoria professionale.


4. Soggetto attivo

Il soggetto attivo del reato di esercizio arbitrario di una professione, come previsto dall'art. 348 c.p., è chiunque eserciti una professione senza avere il titolo richiesto o senza aver adempiuto le formalità prescritte.

In particolare, può commettere il reato in argomento:

  1. chi eserciti una professione per la quale è necessaria una specifica abilitazione, senza possederla;

  2. chi pur possedendo l'abilitazione, non ha adempiuto alle formalità necessarie, come l'iscrizione all'albo professionale;


  3. chi abbia utilizzato documentazione falsa per ottenere l'iscrizione all'albo professionale;

  4. chi eserciti la professione durante un periodo di interdizione o sospensione disposta dall'Ordine professionale di appartenenza.


5. Elemento oggettivo

Perché si configuri il reato, è necessario che il soggetto agente compia uno o più atti propri dell'esercizio della professione protetta.

Questi atti devono essere riservati esclusivamente ai soggetti abilitati e non possono essere eseguiti da chiunque.

Ai fini della sussistenza del reato, l'atto compiuto deve produrre effetti giuridicamente rilevanti.

Questo significa che anche il singolo atto può integrare il reato se è idoneo ad arrecare un danno significativo e non necessita della ripetizione di più atti.

La situazione può variare a seconda del contesto professionale.

Ad esempio, nelle professioni sanitarie, un singolo atto (come la prescrizione medica) può essere penalmente rilevante perché comporta un rischio diretto per la salute del paziente.

Al contrario, nelle professioni come quella forense o fiscale, l'atto unico potrebbe necessitare di una ripetizione continuativa per integrare il reato, poiché di per sé potrebbe non causare danni significativi.

La giurisprudenza distingue tra atto "tipico o riservato", che è esclusivo dell'esercizio professionale e integra direttamente il reato, e atto "caratteristico", che pur essendo relativo alla professione, richiede una ripetizione per avere rilevanza penale.

Ciò posto, si rappresenta che le violazioni delle norme sulla incompatibilità, ad esempio nel pubblico impiego, non integrano di per sé il reato se non sono direttamente connesse con un esercizio abusivo della professione riservata.

6. Elemento soggettivo

L'elemento soggettivo del reato di esercizio abusivo di una professione protetta è discusso sia in dottrina che in giurisprudenza.

Secondo un primo orientamento, che considera l'articolo 348 c.p. una norma penale in bianco, il dolo è limitato alla coscienza e alla volontà dell'agente di compiere atti che sono vietati dalla legge penale (cioè agire "abusivamente").

Le norme extrapenali che disciplinano specificamente l'esercizio delle singole professioni non sono rilevanti per determinare il dolo dell'agente. Questo approccio rifiuta qualsiasi presunzione del dolo e pone un'enfasi sulla necessità di una prova effettiva della consapevolezza e della volontà dell'agente nel compiere gli atti vietati.

Al contrario, secondo un diverso orientamento, l'articolo 348 c.p. viene considerato una disposizione costruita sia attraverso elementi descrittivi (gli atti che configurano l'esercizio abusivo) che attraverso elementi normativi (le norme extrapenali che disciplinano le singole professioni).

Pertanto, ai fini della sussistenza del dolo, sarebbe rilevante anche la conoscenza delle normative specifiche che regolano l'esercizio della professione in questione. In caso di errore sull'applicazione di queste normative extrapenali, si applicherebbe l'articolo 47, 3° comma c.p. che regola l'errore di diritto.

Il reato di esercizio abusivo della professione - Art. 348 c.p.

7. Consumazione e tentativo

Il reato è di natura commissiva, il che significa che si consuma nel momento in cui viene compiuto il primo atto di esercizio professionale abusivo.

Secondo Manzini, il reato può essere considerato come eventualmente permanente. Ciò implica che una volta commesso il primo atto abusivo, il reato può perdurare fino a quando l'attività abusiva non risulti interrotta.

Romano, al contrario, sostiene che il reato non può essere considerato continuato nel senso tecnico del termine, che implicherebbe una pluralità di atti o azioni che continuano a integrare il reato nel tempo.

Romano propone invece di considerare il reato come eventualmente abituale. Ciò significa che, pur non configurandosi come un reato continuato nel senso tecnico, può essere riconosciuto come abituale se l'agente commette ripetutamente atti di esercizio abusivo nel corso del tempo.

Secondo Antolisei, sarebbe ipotizzabile anche la forma tentata del reato di esercizio abusivo di professione protetta.

Tuttavia, questa impostazione non è universalmente accettata nella dottrina. Poiché il reato si consuma con la commissione di un atto abusivo, configurare una forma tentata potrebbe portare ad incriminare fatti preparatori o preliminari che non hanno ancora integrato il disvalore penale completo dell'azione.

 

Fonti: Esercizio Abusivo di Professioni, Trattato di Diritto Penale - UTET

CONTIERI, Esercizio abusivo di professioni arti o mestieri, in Enc. Dir, XV, Milano

MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, V, 5° ed, Torino, 1982,

ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei privati.



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