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Reati tributari

Evasione IVA all'importazione: la Cassazione conferma la natura permanente del reato e chiarisce i tempi di prescrizione

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evasione iva importazione

Il reato di evasione dell'IVA all'importazione è regolato dal D.P.R. 633/1972, che disciplina l’imposta sul valore aggiunto per l’introduzione di beni nel territorio italiano.

In ambito doganale, il mancato pagamento dell’IVA costituisce un illecito fiscale che può assumere una connotazione rilevante per la durata della permanenza della condotta illecita. La Cassazione, nella sentenza n. 53319 del 2018, si è espressa sulla natura permanente del reato di evasione IVA all'importazione, stabilendo un importante principio per la determinazione del termine di prescrizione.


La vicenda processuale

La sentenza in questione riguarda T.F.A. e altri coimputati, accusati di aver evaso l'IVA all'importazione in relazione a uno yacht di lusso, dichiarato come destinato ad attività commerciale, ma utilizzato prevalentemente per scopi diportistici personali.

Tale dichiarazione consentiva di beneficiare di un’esenzione IVA, prevista per i beni destinati all'attività commerciale marittima.

La questione centrale ruotava attorno all’utilizzo effettivo dell'imbarcazione, che secondo l'accusa, veniva utilizzata a fini personali, in contrasto con quanto dichiarato in dogana.

La Corte d’Appello di Genova aveva confermato la condanna degli imputati, ritenendo che l’esenzione fiscale per l’uso commerciale fosse stata indebitamente applicata.

Il ricorso in Cassazione verteva su più questioni, tra cui la decorrenza della prescrizione del reato, legata alla natura giuridica della condotta.


Il principio di diritto: natura permanente del reato di evasione IVA

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 53319/2018, ha confermato la condanna degli imputati e ha stabilito un principio di diritto fondamentale: "Il reato di evasione dell’IVA all’importazione è un reato permanente, poiché la condotta antigiuridica dell’evasione dell’imposta permane fino a quando il bene importato continua ad essere utilizzato senza il pagamento dell’IVA".

Ciò significa che la permanenza della condotta illecita non si esaurisce al momento dell’introduzione del bene in territorio italiano, ma si protrae fino a quando il bene rimane sottratto al controllo fiscale e viene utilizzato senza regolarizzare il debito IVA.

Tale continuità della condotta antigiuridica implica che la prescrizione del reato non decorra dal momento dell’importazione, ma solo dal momento in cui il bene cessa di essere utilizzato in modo irregolare, ad esempio mediante il sequestro o il pagamento dell’IVA evasa.

Nel caso specifico, lo yacht era rimasto registrato in un Paese extra UE, sottraendosi così al pagamento dell’IVA italiana, ma utilizzato per scopi personali in acque territoriali italiane, configurando una condotta evasiva protratta nel tempo.


La prescrizione del reato: criteri di decorrenza

Una delle questioni più rilevanti sollevate dagli imputati riguardava il decorso della prescrizione.

Gli imputati sostenevano che, essendo l’importazione avvenuta nel 2005, al momento della sentenza la prescrizione avrebbe dovuto essere ormai maturata, portando all'estinzione del reato.

La Cassazione ha rigettato tale eccezione, spiegando che il reato di evasione dell’IVA all’importazione, in quanto reato permanente, prosegue nel tempo fintanto che il bene importato viene utilizzato in condizioni di evasione fiscale.

Pertanto, la prescrizione inizia a decorrere non dal momento dell'importazione, ma dal momento in cui cessa la condotta illecita, ovvero con il sequestro del bene o il pagamento dell’imposta dovuta. In questo caso, la permanenza del reato è cessata solo al momento in cui lo yacht è stato posto sotto sequestro e non al momento dell'importazione, con la conseguente applicazione dei termini di prescrizione a partire da tale momento.

La Corte ha quindi confermato che il sequestro dell’imbarcazione aveva posto fine alla condotta antigiuridica, facendo scattare da quel momento il termine per la prescrizione del reato.


La divergenza tra il giudizio penale e l’accertamento fiscale

La Cassazione ha anche affrontato un tema delicato riguardante le differenze tra la quantificazione del debito tributario in sede amministrativa e quella risultante dal processo penale.

La Corte ha chiarito che, pur essendo il giudice penale autonomo rispetto agli accertamenti amministrativi, la definizione della pretesa fiscale in sede di transazione con l’Amministrazione finanziaria è vincolante ai fini della quantificazione del debito.

In altre parole, una volta che l’Agenzia delle Entrate accetta il pagamento delle somme in base agli accertamenti effettuati, non è possibile mantenere pretese ulteriori in sede penale senza elementi di fatto nuovi o maggiormente attendibili.



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