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Reati di falso

Falso ideologico e dichiarazioni ai medici del Pronto Soccorso: La Cassazione esclude la rilevanza penale

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Avv. Salvatore del Giudice - Avvocato penalista Napoli

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La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. V, n. 7397 del 6 dicembre 2024, ha chiarito un principio fondamentale in tema di falso ideologico e dichiarazioni mendaci rese ai sanitari.

La pronuncia riguarda la simulazione di incidenti stradali per ottenere referti medici falsati, utilizzati successivamente per richieste di indennizzo assicurativo.



Il caso: false dichiarazioni al pronto soccorso e la condanna per falso ideologico

Gli imputati erano stati condannati in primo e secondo grado per falso ideologico in atto pubblico per induzione (art. 479 c.p. in relazione all’art. 48 c.p.), per aver riferito ai medici del pronto soccorso di aver subito incidenti stradali inesistenti. Il referto medico, contenente tali dichiarazioni, era stato ritenuto un atto pubblico fidefacente, e pertanto, l’errata attestazione sull’origine delle lesioni era stata qualificata come falso ideologico.

Tuttavia, la difesa ha impugnato la sentenza, sostenendo che il certificato medico non avrebbe funzione di prova dell’eziologia delle lesioni, bensì solo della loro esistenza e consistenza. Inoltre, si è contestata l’applicabilità dell’art. 479 c.p., in quanto il medico non ha il dovere di verificare la veridicità della narrazione del paziente.


Il principio di diritto: l’eziologia del trauma non rientra nella fede pubblica del certificato medico

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ribadendo che il referto medico attesta esclusivamente la diagnosi e le condizioni del paziente, ma non ha valore di prova sulla dinamica e sulle cause dell’evento lesivo.

Pertanto, una falsa dichiarazione sulla modalità del trauma non integra il reato di falso ideologico.

Secondo la Cassazione, affinché si configuri il reato di falso ideologico:

  • il documento deve attestare fatti destinati a provare la verità con valore legale.

  • il pubblico ufficiale (in questo caso il medico) deve avere il dovere giuridico di verificare la veridicità delle dichiarazioni rese.

  • l’alterazione del documento deve incidere su informazioni che rientrano nella funzione certificativa del medico.

Dal momento che i referti medici certificano la diagnosi e la prognosi, ma non sono destinati a provare con fede privilegiata l’origine dell’evento traumatico, una dichiarazione mendace sull’accaduto non configura falso ideologico in atto pubblico.


Conclusioni

La decisione ha una rilevante portata pratica, in quanto delimita il perimetro della responsabilità penale nelle dichiarazioni ai sanitari. La falsa dichiarazione sulla dinamica di un trauma può, al massimo, costituire un tentativo di truffa assicurativa (art. 642 c.p.), ma non un’alterazione di un atto pubblico in termini di falso ideologico.

Infatti, il reato di truffa assicurativa prevede espressamente che il soggetto “denunci un sinistro non accaduto” per ottenere un indennizzo. In questo caso, la Cassazione ha evidenziato che il certificato medico può essere utilizzato come mezzo per tentare una frode, ma non viene falsificato nella sua funzione propria.


La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 7 dicembre 2023, la Corte di appello di Napoli ha confermato, nei confronti degli odierni imputati, la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 8 marzo 2022 con la quale Ca.Vi. e Ca.Pa. erano stati condannati, rispettivamente, alla pena, condizionalmente sospesa, di due anni reclusione e alla pena di due anni e un mese di reclusione in quanto riconosciuti colpevoli, con le attenuanti generiche, Ca.Vi. del reato di falso ideologico per induzione previsto dagli artt. 110, 61, n. 2, 48 e 479 con riferimento all'art. 476, secondo comma, cod. pen., a lui ascritto al capo K), per avere, Bi. in qualità di istigatore, De.Ca., Ma., De.Fe. e Ca.Vi., in qualità di esecutori materiali, al fine di commettere il reato di cui al capo m), inducendo Ca.Vi. a recarsi e, comunque, conducendolo, al Pronto Soccorso della clinica "(Omissis)" di C per farsi refertare le lesioni dagli stessi cagionategli, meglio descritte al capo M), ed a riferire falsamente al personale medico di esser stato vittima di un sinistro stradale, con inganno indotto in errore il medico del Pronto soccorso in ordine alla natura delle lesioni riportate· e alla effettiva compatibilità delle stesse a quanto dichiarato dal paziente presentatosi presso il presidio ospedaliero, facendogli attestare falsamente nel referto stilato un "investimento stradale in SMCV a seguito di incidente in strada", in C in data (Omissis); e, Ca.Pa., del reato di cui al capo P), perché in concorso tra loro, Bi. in qualità di istigatore, De.Ca., Ma., De.Fe. e Ca.Pa., in qualità di esecutori materiali, al fine di commettere ii reato di cui al capo R), inducendo Ca.Pa. a recarsi, e comunque conducendolo, al Pronto Soccorso della clinica "(Omissis)" di C per farsi refertare le lesioni dagli stessi cagionategli, meglio descritte al capo Q), e di riferire falsamente al personale medico di esser stato vittima di un sinistro stradale, con inganno inducevano in errore il medico del Pronto Soccorso in ordine alla natura delle lesioni riportate e alla effettiva compatibilità delle stesse a quanto dichiarato dal paziente presentatosi presso il presidio ospedaliero, facendogli attestare falsamente nel referto stilato fatti dei quali l'atto era destinato a provare la verità, in particolare facendo attestare "investimento in Casal di Principe a seguito di incidente in strada" giudicate guaribili in giorni 10; in C, il 18 dicembre 2015.


2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione Ca.Pa. a mezzo del difensore di fiducia, deducendo tre distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.


2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 48,479 cod. pen. in riferimento all'art. 476, secondo comma, cod. pen. Secondo la Difesa dell'imputato il delitto di falsità ideologica commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefaciente sarebbe nella specie insussistente in quanto l'atto in questione, costituito dal certificato medico, sarebbe destinato ab initio alla prova e, dunque, a garanzia della pubblica fede, unicamente della diagnosi ivi riportata. Pertanto, la refertazione non riguarderebbe l'eziologia del trauma, ma la sua sussistenza e consistenza, nonché la sua compatibilità con le dichiarazioni del paziente; di modo che, la veridicità della dichiarazione del paziente, concernente appunto l'occasione del trauma, che il sanitario si limiterebbe a recepire pedissequamente, senza avere su di essa alcun dovere o potere di verifica o controllo, sarebbe estranea all'esercizio del potere certificativo. Dunque, il fatto contestato avrebbe dovuto essere qualificato ai sensi dell'art. 642 cod. pen., in relazione al quale, nella specie, mancherebbe però la querela.


2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 132 cod. pen. quanto all'applicazione del minimo della pena, che la Corte di appello, nonostante lo specifico motivo di gravame, non avrebbe analizzato.


2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 62-bis cod. pen., per non avere la Corte di appello analizzato il motivo di gravame diretto a ottenere il minimo della pena.


3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione anche Ca.Vi. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Guglielmo Ventrone, deducendo tre distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.


3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 110,61 n. 2, cod. pen., nonché degli artt. 546, comma 1, lett. b) e 192, commi 2 e 3, cod. proc. pen., l'omessa valutazione di prove a discarico, documentali e testimoniali, necessarie ai fini della decisione e il travisamento della prova, nonché l'inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 48 e 479 con riferimento all'art. 476, secondo comma, cod. pen. e in relazione all'art. 483 cod. pen. quanto alla configurabilità del "falso ideologico per induzione", in luogo della "falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico". I Giudici di merito trascurerebbero la motivazione della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 1135/2017, acquisita al fascicolo per il dibattimento e oggetto dei motivi di gravame, la quale verterebbe sui medesimi fatti e sulle medesime circostanze di luogo e di tempo, e che avrebbe assolto i coimputati per il capo K) perché il fatto non sussiste. L'omessa valutazione del punto sollevato dalla difesa configurerebbe un vizio della motivazione. Come osservato da tale pronuncia assolutoria, la condotta ascritta all'imputato non sarebbe sussumibile nella fattispecie contestata, atteso che il referto medico contenente le false informazioni sulla eziologia del trauma, avrebbe avuto ad oggetto la sussistenza e consistenza di quest'ultimo e, al più, la sua compatibilità con le dichiarazioni del paziente. Dunque, l'incidente stradale dallo stesso riferito non sarebbe oggetto della potestà certificativa del medico, con conseguente insussistenza del delitto contestato. Il contrasto tra la decisione impugnata e quella non valutata avrebbe dovuto essere risolto applicando l'art. 669 cod. proc. pen. e, dunque, adottando la soluzione più favorevole per l'imputato.


3.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 54 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'omessa valutazione dello c.d. "stato di necessità".


Secondo la Corte territoriale, Ca.Vi. avrebbe potuto sottrarsi alla minaccia ricorrendo "alla protezione dell'Autorità". Tuttavia, essa non avrebbe spiegato come egli avrebbe potuto sottrarsi al costringimento fisico e psicologico di cui era vittima e richiederne l'intervento, considerato che egli sarebbe stato continuamente minacciato anche durante la permanenza ospedaliera, come emerge dalla testimonianza di Si.Ba. e dall'interrogatorio dinanzi al Pubblico ministero dello stesso Ca.Vi. in data 4 aprile 2017. L'affermazione dei Giudici di merito, secondo cui le sue condizioni fisiche non fossero talmente gravi da escluderne l'autodeterminazione, non terrebbe conto dell'intensità delle minacce, perpetrate anche mentre si trovava ricoverato, e del fatto che Ca.Vi. sarebbe arrivato al pronto soccorso in gravi condizioni, con le gambe fratturate e con una lesione al tendine della mano prodotta proprio mentre egli cercava di parare i colpi che gli venivano inferti.


3.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 61, n. 2, e 133 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione sia all'erronea applicazione dell'aggravante, incompatibile con la continuazione, sia alla mancata applicazione del minimo della pena senza che sia stato esplicitato il percorso logico utilizzato per individuare la ritenuta gravità del reato e senza soffermarsi sulla capacità a delinquere dell'imputato.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati nei termini di seguito indicati.


2. Preliminarmente giova osservare che nessun dubbio residua in ordine alla ricostruzione dei fatti, compiuta dai Giudici di merito con motivazione assolutamente congrua e del tutto logica.


2.1. Come sottolineato dalla sentenza impugnata, il presente processo è originato dallo stralcio di un più ampio procedimento a carico di altri imputati, le cui posizioni sono state definite con rito abbreviato, che ha consentito di accertare l'esistenza di un'associazione volta alla commissione di truffe assicurative realizzate cagionando volontariamente lesioni fisiche a soggetti consenzienti, tra cui gli odierni imputati, e simulando che le stesse fossero conseguenza di un infortunio stradale; e ciò al fine di conseguire il relativo premio dalle compagnie assicurative coinvolte. I soggetti partecipi di questo illecito sistema (tra cui Bi., De.Ca. detto "(Omissis)" e Co.An.), dopo avere procurato le lesioni ai loro complici, compensati con esigue somme di denaro, li accompagnavano al pronto soccorso, ove essi dichiaravano ai sanitari di avere subito un sinistro stradale, ottenendo una certificazione medica che veniva, poi, utilizzata per istruire la pratica assicurativa e riscuotere il premio.


2.2. In tale contesto, è stato anche accertato, in base ad alcune intercettazioni telefoniche e alle dichiarazioni rese dal teste Si.Ba., che Ca.Vi., dopo essere stato violentemente percosso con una mazza di ferro da De.Ca. e da un suo complice, si era recato al Pronto soccorso ove aveva dichiarato che la lesione era da imputare a un sinistro stradale (capo K).


Quanto a Ca.Pa., è stato del pari accertato, alla stregua delle investigazioni svolte dalla Compagnia Italiana assicurazioni Spa e dell'attività di intercettazione, che egli aveva reso dichiarazioni false ai medici del pronto soccorso circa l'origine delle lesioni riportate, asseritamente causate da un investimento stradale mentre era a bordo della sua bicicletta (capo P).


3. La difesa di Ca.Vi. ha dedotto, con il secondo motivo del ricorso, violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al mancato riconoscimento dello stato di necessità nell'ipotesi prevista dall'art. 54, comma terzo, cod. pen., per avere l'imputato commesso il fatto a causa dell'altrui minaccia, attuale e assolutamente grave, sì da incidere sulla sua libertà di autodeterminazione.


3.1. Sul punto va premesso, che il primo comma dell'art. 54 prevede che "non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo". Mentre il terzo comma stabilisce che non è punibile colui il quale agisca "in stato di necessità determinato dall'altrui minaccia"; fermo restando che, "in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo".


Mentre nel primo caso si è in presenza di una scriminante, idonea a determinare la liceità penale del fatto (salvo l'obbligo civilistico di provvedere, ai sensi dell'art. 2045 cod. civ., alla corresponsione di un'equa indennità del soggetto a carico del quale sia stato commesso il fatto in stato di necessità), nella seconda ipotesi (comunemente definita di "coazione morale") si è in presenza di una scusante, che elide, sul piano soggettivo, la responsabilità dell'agente, ma non fa venire meno l'illiceità del fatto, del quale risponde l'autore della minaccia. Tuttavia, dal momento che anche il terzo comma richiama, pure per l'ipotesi ivi prevista, la nozione di stato di necessità, si ritiene che i presupposti previsti dal primo comma debbano ricorrano anche nell'ipotesi della cd. coazione morale.


Dunque, accanto alla minaccia esercitata da un terzo, tale da frenare la libertà di autodeterminazione del soggetto coartato (coazione relativa), senza che sia necessario un totale annullamento delle facoltà volitive dell'ingiunto (coazione assoluta, rilevante ex art. 46 cod. pen.), affinché siano integrati gli estremi dello stato di necessità si richiede che il soggetto minacciato versi in una situazione di pericolo - attuale, non volontariamente cagionato e non altrimenti evitabile - e che il fatto sia commesso per effetto dell'intervenuta coazione (cfr. Sez. 3 - , n. 15654 del 02/02/2022, Lomurno, in motivazione). Coerentemente con tale impostazione, si è, quindi, affermato che "lo stato di necessità non è configurabile nel caso in cui il soggetto che lo invochi possa sottrarsi alla minaccia ricorrendo alla protezione dell'autorità, ove tale soluzione alternativa si prospetti come realmente praticabile ed efficace a neutralizzare la situazione di pericolo attuale in cui l'agente o il terzo destinatario della minaccia versa" (così Sez. 1, n. 47712 del 29/09/2022, Termine, Rv. 283785-01; Sez. 4, n. 45139 del 28/09/2023, non massimata).


3.2. Tanto osservato, rileva il Collegio che i Giudici di merito abbiano correttamente escluso l'integrazione della fattispecie prevista dall'art. 54, comma terzo, cod. pen.


È pacifico in atti che l'imputato avesse ricevuto delle gravi minacce, anche in ospedale, perché mantenesse l'impegno di dichiarare il falso sulla origine delle lesioni, come riferito dallo stesso Ca.Vi. nel suo interrogatorio del 4 aprile 2017 dinanzi al Pubblico ministero e, soprattutto, dal teste Si.Ba. (il quale ha descritto l'atteggiamento minaccioso di De.Ca. sull'imputato).


E non pare contestabile, né le sentenze per la verità avanzano dubbi in merito, che l'intensità delle minacce fosse tale da condizionare pesantemente la volontà dell'imputato, inducendolo a mantenere fede all'accordo illecito con i suoi complici.


Tuttavia, con accertamento fattuale, non censurabile in questa sede, le sentenze di merito hanno ritenuto che le condizioni del ricovero di Ca.Vi. non fossero certamente tali da precludergli la possibilità di richiedere l'intervento dell'autorità, a cominciare dalle Forze di polizia del drappello ospedaliero, sicché il pericolo era altrimenti evitabile. In proposito, le censure difensive hanno natura essenzialmente rivalutativa e controfattuale e, come tali, non sono scrutinabili in sede di legittimità. Fermo restando che le sentenze hanno anche ritenuto insussistente un ulteriore elemento della fattispecie invocata, ovvero la non volontaria causazione del pericolo, posto che le gravi minacce cui Ca.Vi. era stato sottoposto da De.Ca. erano all'evidenza conseguenti alla sua iniziale adesione al progetto criminoso concordato. Un profilo, questo, rispetto al quale il ricorso ha omesso qualunque considerazione critica, risultando, sul punto, insuperabilmente aspecifico e, come tale, inammissibile.


4. A un differente approdo deve, invece, pervenirsi con riferimento alla configurabilità del delitto contestato ai due imputati, sostanzialmente identico sul piano dello svolgimento dei fatti e della qualificazione giuridica. Ciò che, evidentemente, consente di vagliare unitariamente le censure proposte.


4.1. Va premesso che l'art. 479 cod. pen. sanziona il fatto del pubblico ufficiale che, ricevendo o formando un atto nell'esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che il fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l'atto e destinato a provare la verità.


Nel caso in esame, il falso, materialmente realizzato dal sanitario che aveva redatto il referto, sarebbe stato in realtà integrato da ciascuno degli imputati attraverso le dichiarazioni mendaci che avrebbero indotto in errore il pubblico ufficiale, secondo lo schema delineato dall'art. 48 cod. pen., a mente del quale le disposizioni in materia di errore sul fatto che costituisce il reato si applicano anche se esso è determinato dall'altrui inganno; ma, in tal caso, "del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l'ha determinata a commetterlo". Lo schema normativo risultante dalla combinazione degli articoli indicati viene, così, a configurare una fattispecie particolare di falsità ideologica, che vede capovolto il normale rapporto tra falso e inganno, in quanto è il secondo a precedere il primo. In questi casi, infatti, un soggetto (autore immediato), indotto in errore da altri (autore mediato), si forma ed esterna una falsa rappresentazione della realtà, dando corpo agli estremi oggettivi di un delitto di falso ideologico, di cui non risponde per mancanza di dolo, ma che viene addebitato all'autore dell'inganno. E poiché, sovente, lo stesso inganno consiste di una falsa dichiarazione compiuta dall'autore mediato e supposta vera dall'autore immediato, ne consegue che questa peculiare fattispecie richiede una falsità, quella commessa dall'autore mediato), che sia causa di un'altra falsità, quella commessa, inconsapevolmente, dall'autore immediato (per questa ricostruzione v. Sez. 5, n. 17810 del 07/04/2022, Jaupi, non massimata; per il richiamo all'operatività dell'art. 48 cod. pen., cfr. Sez. 5, n. 11597 del 12/02/2010, Deda, Rv. 246711 - 01; Sez. 5, n. 40785 del 11/07/2013, Meraviglia, Rv. 257202 - 01). Come evidenziato anche dalle Sezioni Unite, dunque, "stante il rapporto di causa-effetto quel fatto attestato dal privato, quale presupposto dell'emanazione dell'atto del pubblico ufficiale, e il contenuto dispositivo di quest'ultimo e stante, altresì la stretta connessione logica tra l'uno e l'altro, la falsità del primo si riverbera sul secondo e diventa essa stessa falsità di questo, sicché la recepita falsa attestazione del decipiens acquista la ulteriore veste di falsa attestazione del pubblico ufficiale deceptus, sui fatti falsamente dichiarati dal primo e dei quali l'atto pubblico e destinato a provare la verità. Si configurano perciò, anche sotto il profilo naturalistico, due condotte riconducibili decipiens: una prima condotta consistente nella redazione della falsa attestazione e una seconda concretatasi nell'induzione in errore del pubblico ufficiale mediante la produzione della stessa ai fini dell'integrazione di un presupposto dell'atto pubblico emanato, con conseguente configurabilità del concorso materiale tra i due reati legati anche da connessione teleologica" (Sez. U., 28/06/2007, n. 35488, Scelsi, in motivazione).


4.2. Orbene, nel caso esaminato, è pacifico che il sanitario, nell'atto di redigere il referto, fosse un pubblico ufficiale nell'esercizio di un potere certificativo e che l'atto redatto avesse natura pubblica fidefacente. E parimenti non contestabile, né in effetti contestato, è la circostanza che le lesioni refertate fossero effettivamente esistenti nonché che l'eziologia delle stesse fosse differente da quella riferita dai due pazienti e riportata nel certificato medico.


In particolare, quanto al primo profilo va ribadito che il concetto di atto pubblico è, agli effetti della tutela penale, più ampio di quello desumibile dall'art. 2699 cod. civ., dovendo rientrare nella relativa nozione non soltanto i documenti redatti da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, ma anche quelli formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato, nell'esercizio delle loro funzioni, per uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, purché aventi l'attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione (Sez. 5, n. 17089 del 17/02/2022, Stifanelli, Rv. 283007-01; Sez. 5, n. 37880 del 08/09/2021, Musso, Rv. 282028-01; Sez. 5, n. 3542 del 17/12/2018, dep. 2019, Esposito, Rv. 275415-01; Sez. 5, n. 9358 del 24/04/1998, Tisato, Rv. 211440-01). Sono atti pubblici, quindi, anche gli atti interni e quelli preparatori di una fattispecie documentale complessa, e relative alla dimostrazione di stati, qualità personali o fatti che siano nella diretta conoscenza dell'interessato dichiarante, compreso il possesso di requisiti per ottenere un determinato beneficio (Sez. 5, n. 15901 del 15/02/2021, Pizzuto, in motivazione).


4.3. Tanto premesso, osserva nondimeno il Collegio che il delitto di falsità ideologica commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefacente viene integrato, come detto, quando il pubblico ufficiale, ricevendo o formando un atto nell'esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che il fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l'atto e destinato a provare la verità. Dunque, esso presuppone, per quanto di rilievo in questa sede (essendo le restanti ipotesi del tutto eccentriche ai fatti oggetto del presente giudizio), che la falsa rappresentazione della realtà riguardi un contenuto dell'atto che quest'ultimo sia diretto ad attestare con fede privilegiata. Ciò ricorre, ai sensi degli artt. 2699 e 2700 cod. civ., in relazione alla provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché ai fatti appartenenti all'attività compiuta dal pubblico ufficiale o caduti (come nel caso delle dichiarazioni di terzi) sotto la sua percezione sensoriale, destinati ab initio alla prova ossia precostituiti a garanzia della pubblica fede e, dunque, ad assumere anche un rilievo giuridico esterno rispetto alla mera indicazione sanitaria o terapeutica (così Sez. 5, n. 7921 del 16/01/2007, Amoruso, Rv. 236518-01; Sez. 5, n. 12213 del 13/02/2014, Amoroso, Rv. 260208-01, quest'ultima relativa a casi di referti medici attestanti traumi da falsi sinistri stradali per consentire lucro a danno delle compagnie assicuratrici, ma in cui i sanitari che li redigevano erano consapevoli della falsità di quanto attestato). E, tra essi, rientra certamente la diagnosi, che pur costituendo un'attività valutativa, può essere certamente oggetto di una falsa attestazione, secondo quanto ormai ritenuto dalla consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 12401 del 01/12/2010, dep. 2011, Langella, Rv. 249633-01). Si è, infatti, affermato, proprio con riferimento alle diagnosi e alle valutazioni compiute dal medico, che anche tali giudizi di valore, al pari degli enunciati in fatto, possono essere non veritieri; sicché, nell'ambito di contesti che implicano l'accettazione di parametri valutativi normativamente determinati o tecnicamente indiscussi, le valutazioni formulate da soggetti cui la legge riconosce una determinata perizia possono non solo configurarsi come false, ma posso rientrare altresì nella categoria della falsità ideologica che allochi il giudizio e faccia riferimento a criteri predeterminati, in modo da rappresentare la realtà al pari di una descrizione o di una costatazione, sicché è ideologicamente falsa la valutazione che contraddica criteri indiscussi o indiscutibili e sia fondata su premesse contenenti false attestazioni (Sez. 5, n. 15773 del 24/01/2007, Marigliano, Rv. 236550-01; v. anche, in ambiti diversi da quello sanitario, Sez. 5, n. 18521 del 13/01/2020, Primerano, Rv. 279046 -02; Sez. 3, n. 46239 del 12/07/2018, Marciano, Rv. 274207-01; Sez. 3, n. 30025 del 04/12/2017, dep. 2018, Scrudato, Rv. 27369-01; Sez. F, n. 39843 del 04/08/2015, Di Napoli, Rv. 264364-01; Sez. 1, n. 45373 del 10/06/2013, Capogrosso, Rv. 257895-01; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, Platamone, Rv. 254305-01; Sez. 5, n. 39360 del 15/07/2011, Gulino, Rv. 251533-01; Sez. 6, n. 23978 del 13/02/2008, Di Bello, Rv. 241702-01; Sez. 5, n. 49025 del 12/11/2004, Margarina, Rv. 231284-01; Sez. 6, n. 8588 del 06/12/2000, dep. 2001, Ciarletta, Rv. 219039-01; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215744-01; Sez. 5, n. 3552 del 09/02/1999, Andronico, Rv. 213366-01; Sez. 5, n. 1575 del 11/11/1997, dep. 1998, Marinone, Rv. 209993-01).


Tuttavia, nel caso in esame, la falsa rappresentazione non riguarda l'esistenza e consistenza delle lesioni, né la compatibilità del trauma con le dichiarazioni del paziente, che le sentenze non hanno messo in dubbio, né tantomeno il fatto storico che i pazienti avessero reso le dichiarazioni indicate nel referto, anch'esse, a quanto emerge dal testo dei provvedimenti, riportate in maniera fedele. Essa, al contrario, concerne il dato relativo all'eziologia del trauma, certamente non rientrante nel potere certificativo del medico.


In proposito, la casistica giurisprudenziale ha condivisibilmente ritenuto integrato il delitto previsto dall'art. 479 cod. pen. nel caso del soggetto che, lamentando patologie inesistenti, tragga in inganno i sanitari sulla veridicità di quanto viene loro esposto, inducendoli a redigere certificati medici che, in quanto riportanti sintomi idonei a fondare una diagnosi errata, devono ritenersi ideologicamente falsi (così Sez. 6, n. 896 del 01/07/2014, dep. 2015, Panarello, Rv. 262047-01, in tema di simulazione di disturbi di rilevanza psichiatrica e Sez. 1, n. 3030 del 09/12/2022, dep. 2023, Babalyan, Rv. 283953-01 e Sez. 5, n. 31514 del 06/05/2021, Bottari, non massimata, in tema di simulazione di sintomi per ottenere una certificazione di malattia rispettivamente per sottrarsi all'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ovvero per potersi assentare dal lavoro per ragioni di salute; Sez. 5, n. 32759 del 29/05/2014, D'Angelo, Rv. 261746-01, in tema di certificati di malattia relativi a sinistri mai verificatisi).


Si determinerebbe, diversamente opinando, una distorsione della relazione terapeutica, non più fondata sulla reciproca fiducia, ma sul pregiudizio del medico circa l'attendibilità delle esternazioni del paziente, ossia proprio di quelle dichiarazioni che devono orientare il sanitario nel corretto espletamento delle proprie funzioni. Ma, si ribadisce, come del resto condivisibilmente ritenuto, in relazione alla posizione dei coimputati giudicati con rito abbreviato, dalla sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 1135/2017, il caso qui in rilievo presenta caratteri affatto diversi, atteso che la circostanza falsa riferita dai pazienti non ricadeva nell'ambito dell'accertamento diagnostico e, dunque, del potere certificativo del medico, che su tale accadimento non aveva, all'evidenza, alcun potere di verifica o controllo, alla cui esistenza corrisponde, invece, la responsabilità per avere falsamente attestato ciò che il pubblico ufficiale aveva il dovere di controllare.


4.4. Non ignora il Collegio che secondo alcune pronunce di legittimità integra il delitto di falso per induzione in atto pubblico anche in caso di falsa dichiarazione resa dal paziente al medico del pronto soccorso circa l'origine causale delle lesioni lamentate e sottoposte all'esame dei sanitari. In particolare, si è ritenuto che anche la dichiarazione sull'origine delle lesioni rientri nel contributo informativo apportato dal paziente, assolvendo alla specifica funzione di orientare il medico nelle sue valutazioni diagnostiche e terapeutiche delle quali egli dà atto nel referto; e che, quindi, essa rientri nella funzione certificatrice del referto in quanto attinente a fatti storici antecedenti e rilevante ai fini dell'accertamento delle lesioni, alla determinazione della loro natura e tipologia e, conseguentemente, alla scelta delle cure appropriate. Si è, infatti, affermato che il medico, per espletare correttamente la sua attività, deve instaurare un "dialogo collaborativo" con il paziente funzionale a realizzare la cd. alleanza terapeutica, anche al fine di disporre i necessari e più appropriati accertamenti diagnostici, per poi formulare una corretta diagnosi obiettiva e prescrivere una terapia adeguata (in questi termini Sez. 5, n. 37971 del 20/06/2017, Franco, Rv. 270915-01; aderiscono a tale indirizzo, nella giurisprudenza più recente, Sez. 5, n. 17810 del 07/04/2022, Jaupi, non massimata, relativa al caso di un lavoratore infortunato che, su istigazione del datore di lavoro, aveva dichiarato al medico del pronto soccorso di essersi procurato la lesione a causa di una caduta accidentale nella propria abitazione anziché di un infortunio sul posto di lavoro, sì da impedire l'avvio delle relative procedure, nonché Sez. 5, n. 24813 del 9/02/2023, Ona Arnez, non massimata, in cui l'imputato aveva falsamente dichiarato al medico del pronto soccorso di aver subito una lesione alla caviglia in seguito ad un sinistro stradale mai verificatosi).


Osserva, nondimeno, il Collegio che non è, qui, in discussione la circostanza che il paziente sia tenuto, in ragione del necessario rapporto collaborativo con il sanitario, a rendere dichiarazioni vere in sede di anamnesi, onde orientare correttamente il medico su origine e natura della malattia nonché sui relativi interventi terapeutici, quanto se possa configurarsi un falso in atto pubblico in presenza di una dichiarazione mendace, riportata in un atto pubblico come il referto medico, ma a cui quello stesso atto non sia idoneo ad attribuire fede privilegiata, secondo la previsione dell'art. 479 cod. pen. più sopra richiamata. Se, infatti, la norma incriminatrice sanziona le condotte con cui l'agente "attesta falsamente fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità", deve corrispondentemente ritenersi che non sia idonea a integrare la fattispecie incriminatrice una condotta come quella ascritta agli odierni imputati. Infatti, se può condividersi la rilevanza, ai fini dell'integrazione del delitto de quo, della falsa rappresentazione di una sintomatologia, che costituisce il presupposto per la diagnosi, ad altra conclusione deve pervenirsi in relazione all'origine del trauma, salvo che se ne dimostri la sua indispensabile rilevanza ai fini dell'inquadramento patologico e terapeutico (ove quest'ultimo rilevi, ad esempio, sulla certificazione della durata dello stato di malattia).


5. Consegue alle considerazioni che precedono che il delitto contestato non può, nella specie, ritenersi sussistente, dovendo condividersi il rilievo, formulato dalla Difesa e disatteso in sede di merito, secondo cui i fatti, ove peraltro contestati in maniera più puntuale, avrebbero potuto essere qualificati ai sensi dell'art. 642, secondo comma, cod. pen., che punisce la condotta di colui il quale, al fine di conseguire per sé o per altri l'indennizzo di una assicurazione o comunque un vantaggio derivante da un contratto di assicurazione, cagiona a sé stesso una lesione personale o aggrava le conseguenze della lesione personale prodotta da un infortunio o denuncia un sinistro non accaduto ovvero distrugge, falsifica, altera o precostituisce elementi di prova o documentazione relativi al sinistro; delitto per il quale, in relazione alla posizione degli odierni imputati, nel caso di specie manca la querela richiesta.


Viceversa, la sentenza impugnata ha correttamente escluso la riconducibilità delle condotte ascritte agli imputati all'ipotesi di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico prevista dall'art. 483 cod. pen. Detta fattispecie, infatti, ricorre sussiste qualora l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati e cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all'atto documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente (così Sez. U, n. 6, del 17/02/1999, Lucarotti, Rv. 212782-01 e Sez. U, n. 28 del 15/12/1999, dep. 2000, Gabrielli, Rv. 215413-01; nella giurisprudenza più recente Sez. 5, n. 22859 del 17/04/2019, Di Domenico, Rv. 276632-01; Sez. 5, n. 5365 del 15/01/2018, Guidi, Rv. 272110-01; Sez. 5, n. 39215 del 4/06/2015, Cremonese, Rv. 264841-01; Sez. 5, n. 18279 del 2/04/2014, Scalici, Rv. 259883-01).


4. Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere accolti, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, perché il fatto non sussiste.


5. Ai sensi dell'art. 52, D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento sarà necessario omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, in quanto imposto dalla legge.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Ca.Vi. e di Ca.Pa. perché il fatto non sussiste.


In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.


Così deciso in data 6 dicembre 2024.


Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2025.

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