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Reati contro il patrimonio

Il reato di indebita percezione del reddito di cittadinanza: la decisione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite sul reddito di cittadinanza

Il reato di indebita percezione del Reddito di Cittadinanza, introdotto dall’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, ha generato ampio dibattito giurisprudenziale, culminato nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 49686 del 13/7/2023 della Corte di Cassazione.

Al centro del dibattito si trovano due principali orientamenti interpretativi: il primo sostiene che il reato sia configurabile anche in assenza dell’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per ottenere il beneficio, mentre il secondo si concentra sulla necessità di provare l'idoneità della condotta a ledere concretamente gli interessi patrimoniali dell'amministrazione.

La questione è stata affrontata dalle Sezioni Unite, che hanno offerto un'interpretazione chiarificatrice sulla natura del reato e sull'elemento soggettivo richiesto per la sua configurazione.


1. Il quadro normativo

L’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019 disciplina il reato di indebita percezione del Reddito di Cittadinanza. Esso prevede la punizione di chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio, renda dichiarazioni mendaci o ometta informazioni dovute.

Il termine "indebitamente" ha una particolare rilevanza, poiché sottolinea la necessità che la condotta sia diretta a conseguire un beneficio al quale il soggetto sa di non aver diritto. Ciò configura il reato come uno a dolo specifico, in cui è centrale l'intenzione fraudolenta del richiedente.

Il parallelo tra questa fattispecie e altre simili, come quella riguardante il patrocinio a spese dello Stato (art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002), ha dato vita a differenti interpretazioni, soprattutto in relazione all’elemento soggettivo richiesto e all’effettiva lesione degli interessi pubblici.


2. Il primo orientamento: il reato configurabile in forza della sola falsità

Il primo orientamento giurisprudenziale, sostenuto da alcune pronunce delle Sezioni semplici della Corte di Cassazione, si basa sull'idea che la mera falsità delle dichiarazioni o l’omissione di informazioni dovute nella domanda per il Reddito di Cittadinanza siano sufficienti per configurare il reato. Secondo questa visione, non è rilevante se il soggetto avesse effettivamente diritto al beneficio sulla base delle condizioni economiche reali; ciò che importa è la violazione del dovere di veridicità nelle dichiarazioni rese all'amministrazione.

Questo orientamento trae forza dall'analogia con il reato previsto per il patrocinio a spese dello Stato, dove la falsità della dichiarazione comporta la revoca del beneficio, a prescindere dal reale superamento delle soglie di reddito. Tale interpretazione è stata seguita da alcune decisioni, tra cui Sez. 2, n. 16865 del 2021, che attribuiscono rilevanza primaria alla tutela della fede pubblica, ovvero all’affidamento che l’amministrazione ripone nella veridicità delle dichiarazioni dei cittadini.


3. Il secondo orientamento: la necessità di un’offesa concreta agli interessi pubblici

Il secondo orientamento, inaugurato dalle sentenze Sez. 3, n. 44366 del 2021 (Gulino) e Sez. 2, n. 29910 del 2022 (Pollara), assume una posizione diversa.

Questo filone interpretativo, pur riconoscendo la rilevanza della falsità delle dichiarazioni, sottolinea che il reato si configura solo quando la condotta del richiedente è idonea a ledere concretamente gli interessi patrimoniali dell’amministrazione.

In altri termini, la falsità o le omissioni devono essere tali da creare un pericolo concreto che l’amministrazione possa erogare prestazioni economiche non dovute.

Secondo questo orientamento, il dolo richiesto non si esaurisce nella consapevolezza della falsità, ma richiede un quid pluris, ossia la volontà di ottenere un beneficio sapendo di non averne diritto. Tale interpretazione si fonda sulla valorizzazione del termine "indebitamente", che qualifica la condotta illecita come volta a conseguire un vantaggio patrimoniale indebito. Questo orientamento si distanzia da quello precedente, ritenendo insufficiente la semplice lesione della fede pubblica.


4. La decisione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, chiamate a dirimere il contrasto, hanno aderito al secondo orientamento, escludendo che il delitto di cui all’art. 7, comma 1 del d.l. n. 4 del 2019 possa essere ricondotto al novero dei reati di falso. Secondo la Corte, la condotta rilevante ai fini del reato non è costituita dalla mera falsità delle dichiarazioni, ma dalla concreta possibilità che tale falsità arrechi un danno agli interessi patrimoniali dell’amministrazione.

Le Sezioni Unite hanno sottolineato la differenza strutturale tra il reato previsto dall’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019 e quello di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, relativo al patrocinio a spese dello Stato.

Mentre quest'ultimo è caratterizzato da dolo generico e richiede l’effettivo ottenimento del patrocinio gratuito come circostanza aggravante, il primo è un reato di dolo specifico e si configura indipendentemente dal conseguimento del sussidio, ma solo se sussiste un pericolo concreto per il patrimonio pubblico.

In particolare, le Sezioni Unite hanno chiarito che il "dovere di lealtà" verso le istituzioni, spesso richiamato a supporto del primo orientamento, non può essere considerato il fondamento della responsabilità penale. Tale concetto sarebbe, secondo la Corte, un “vuoto guscio” privo di sostanza concreta, poiché non è sufficiente a giustificare la sanzione penale in assenza di una reale offesa agli interessi patrimoniali dello Stato.

Le Sezioni Unite hanno quindi ricostruito il reato in termini di reato di pericolo concreto a consumazione anticipata, posto a tutela delle risorse pubbliche destinate all’erogazione del Reddito di Cittadinanza. La condotta rilevante non si limita alla mera falsità, ma deve essere idonea a mettere a repentaglio tali risorse. Se il richiedente ha comunque diritto al beneficio, nonostante le dichiarazioni mendaci, non sussiste alcuna lesione patrimoniale, rendendo la condotta atipica e non punibile.


5. Conclusioni

La pronuncia delle Sezioni Unite ha chiarito il quadro giurisprudenziale, stabilendo che il reato di indebita percezione del Reddito di Cittadinanza si configura solo quando la condotta del richiedente è idonea a ledere concretamente gli interessi patrimoniali dell’amministrazione. La semplice falsità delle dichiarazioni non è sufficiente: è necessario che il richiedente abbia consapevolmente agito per ottenere un beneficio non dovuto.

Tale decisione rappresenta un punto fermo nella giurisprudenza e segna una distinzione chiara tra i reati di falso e quelli contro il patrimonio, ribadendo il principio di offensività come criterio fondamentale per la configurazione della responsabilità penale.

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