Reati tributari
Il reato di omesso versamento di ritenute certificate è disciplinato dall’articolo 10-bis del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, e prevede pene severe (da sei mesi a due anni di reclusione) per chi, avendo trattenuto le imposte sui redditi di dipendenti o collaboratori, omette di versarle all'erario.
In questo articolo, analizzeremo quando si configura il reato di omesso versamento di ritenute, i presupposti normativi e giurisprudenziali, le sanzioni applicabili, e le più recenti evoluzioni in materia.
Per comprendere appieno il reato di omesso versamento, è necessario prima definire la figura del sostituto d'imposta.
Solitamente, un contribuente è responsabile per il versamento delle proprie imposte, dopo aver presentato la dichiarazione dei redditi. Tuttavia, per certe tipologie di reddito, come quello da lavoro dipendente o da pensione, il sistema fiscale prevede una figura intermedia: il cd. sostituto d'imposta.
Il sostituto d'imposta è un soggetto, generalmente un datore di lavoro o un ente pensionistico, che si assume la responsabilità di trattenere direttamente una parte della retribuzione dei propri dipendenti o pensionati sotto forma di ritenute fiscali. Il sostituto deve, poi, versare queste ritenute all’erario entro una scadenza prestabilita.
Questo sistema è stato introdotto per semplificare la riscossione delle imposte e garantire un flusso continuo di entrate per lo Stato, evitando ai contribuenti di dover versare l’imposta in un’unica soluzione alla fine dell’anno.
Il sostituto d’imposta si impegna non solo a trattenere la cifra corretta sulla base delle aliquote fiscali applicabili, ma anche a fornire documenti come la Certificazione Unica (CU) o il Modello 770, che attestano le ritenute operate e dichiarano al Fisco gli importi versati.
Il principio giuridico su cui si basa questa figura è sancito nell'art. 64 del DPR n. 600/1973, che assegna al sostituto l’obbligo di effettuare le ritenute e versarle entro scadenze precise. La sua funzione primaria, dunque, è di semplificare il processo di pagamento, agendo come intermediario tra contribuente e Stato.
In questo modo, si garantisce non solo la puntualità nei pagamenti delle imposte dovute, ma anche il controllo e la trasparenza delle operazioni fiscali, che risultano documentate per eventuali verifiche future.
Il meccanismo della trattenuta alla fonte è il cuore del sistema delle ritenute fiscali: il sostituto d’imposta trattiene un importo determinato direttamente dalla retribuzione o dal compenso del contribuente e lo versa successivamente al Fisco. L’ammontare della ritenuta è calcolato in base all’aliquota fiscale applicabile al reddito percepito dal dipendente o dal pensionato.
Questa operazione comporta alcuni obblighi precisi per il sostituto d’imposta:
la corretta applicazione delle aliquote fiscali previste per legge;
il rilascio della certificazione (come il modello CUD per i dipendenti) che attesta l’ammontare delle ritenute operate e versate.
Il reato di omesso versamento di ritenute certificate si configura quando il sostituto d’imposta, pur avendo trattenuto l’imposta alla fonte, omette di versare tali somme all’erario entro i termini previsti.
La norma richiede la presenza di due elementi distinti affinché il reato si configuri:
la trattenuta alla fonte (componente commissiva): il sostituto d’imposta ha trattenuto una parte delle retribuzioni per destinarla al pagamento dell’imposta.
il mancato versamento (componente omissiva): il sostituto omette di effettuare il versamento delle ritenute entro la scadenza fissata dalla normativa.
In altre parole, ai fini della configurabilità del reato non è sufficiente l’omissione del pagamento, ma risulta necessaria anche la presenza della ritenuta stessa, che deve essere documentata tramite certificazioni rilasciate ai sostituiti, come il CUD per i dipendenti.
Il reato di cui all'art. 10 bis d.lgs. n. 74/2000 è un reato proprio, che può essere integrato solo da colui che riveste la qualità di sostituto d'imposta e quindi da un soggetto, individuato dagli artt. 23 ss. del d.P.R. 600/1973, che in forza di disposizione di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili, ed anche a titolo di acconto.
Per ciò che concerne la prova dell'elemento costitutivo, rappresentato dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate, va chiarito che l'onere probatorio incombe sull'accusa e non può essere costituita dal mero contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro.
La giurisprudenza è pervenuta a tali conclusioni, sulla scorta di tre considerazioni:
a) il modello 770 e la certificazione rilasciata ai sostituti sono documenti disciplinati da fonti normative distinte, rispondono a finalità non coincidenti, e non devono essere consegnati o presentati contestualmente;
b) da nessuna casella o dichiarazione contenuta nei modelli 770 emerge che il sostituto attesti (sia pure indirettamente o implicitamente) di avere rilasciato ai sostituiti le relative certificazioni;
c) la valenza indiziaria della sola presentazione del modello 770, ai fini della prova del rilascio delle certificazioni, non solo non è sorretta da alcuna massima di esperienza e dall'id quod plerumque accidit, ma è anche implicitamente, e indiscutibilmente, esclusa dal legislatore, che altrimenti avrebbe molto più semplicemente punito con la sanzione penale l'omesso versamento (oltre una certa soglia) di ritenute risultanti dal modello 770 e non già di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti (Sez. 3, n. 40526 del 08/04/2014, Gagliardi).
La validità di tale ultima considerazione trova conferma nella recente modifica apportata dal legislatore al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, che ha esteso la fattispecie penale anche alle ipotesi di omesso versamento delle ritenute "dovute sulla base della stessa dichiarazione" (D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 7, comma 1, lett. b) e ha conseguentemente mutato il titolo del reato da "omesso versamento di ritenute certificate" a "omesso versamento di ritenute dovute o certificate" (cfr., al riguardo, Sez. 3, n. 10509 del 16/12/2016, Pisu, Rv. 269141.
Secondo quest'ultima pronuncia, l'estensione del reato anche alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base della sola dichiarazione mod. 770 va interpretata, "a contrario", come dimostrazione che la precedente formulazione del citato art. 10-bis non soltanto racchiudesse nel proprio parametro di tipicità solo l'omesso versamento di ritenute risultanti dalla predetta certificazione, ma richiedesse anche, sotto il profilo probatorio, la necessità di una prova del suo rilascio ai sostituiti; nello stesso senso anche Sez. 3, n. 10104 del 07/01/2016, Grazzini, Rv. 266301).
Tale indirizzo, però, non esclude affatto la valenza indiziaria della dichiarazione del sostituto di imposta che se, come detto, non può assurgere a prova del reato di omesso versamento delle ritenute certificate, tuttavia non esclude che possa costituirne indizio, sufficiente ai fini della adozione di un provvedimento cautelare reale.
In forza di quanto sopra, possiamo affermare che al fine di ritenere integrato il reato di omesso versamento di ritenute ex art. 10 bis d.lgs. 74/2000 è necessario che la pubblica accusa verifichi, sostituito per sostituito, se questi ultimi abbiano ricevuto l'attestazione (Mod. CUD o altro) da parte del sostituto, poiché la presentazione della dichiarazione Mod. 770, con allegate le attestazioni nominative, non può costituire indice inequivocabile delle operate ritenute e delle rilasciate certificazioni.
Venendo al tema della consumazione del reato, si rappresenta che l'omesso versamento delle ritenute fiscali certificate si consuma con il mancato versamento per un ammontare superiore alla soglia di punibilità delle ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti entro la scadenza del termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale (cfr. Cass. Sez. III,8 Aprile 2014 n. 40526).
Ciò posto, si evidenzia che l'elemento soggettivo del reato di omesso versamento di ritenute fiscali certificate è integrato dal dolo generico, richiedendosi la mera consapevolezza della condotta omissiva ed essendo irrilevante il fine perseguito dall'agente (cfr. Cass. Sez. III,8 Gennaio del 2014 n. 3663).
Sotto questo profilo, il reato in argomento rappresenta un'eccezione.
Ed invero, molte delle condotte penalmente sanzionate dal D.Lgs. n. 74 del 2000, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis.
Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di centocinquantamila euro, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore.
La prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia di punibilità, entro il termine ultimo previsto.
Il debito è ricollegato al rilascio delle certificazioni rilasciate ai sostituiti: ogni qualvolta il sostituto rilasci siffatte dichiarazioni è tenuto ad accantonare per l'Erario siffatte imposte, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria.
Il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis sanziona "chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti..".
La norma fu inserita nel D.Lgs. cit. dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 414.
Si era, invero, creato un "vuoto normativo".
Come affermato dalla Suprema Corte, infatti, l'omesso versamento delle ritenute d'acconto operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei propri dipendenti, sanzionato dall'art. 2 D.L. 10 luglio 1982, n. 429, conv. in L. 7 agosto 1982, n. 516, non era più previsto dalla legge come reato a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 che aveva diversamente disciplinato la materia dei reati tributari, e nel cui testo non figurano fattispecie di reato in continuità normativa rispetto a quella di cui al citato art. 2 della L. n. 516, espressamente abrogata dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 25 (cfr. Cass. sez. 3, 29.12.2000 n. 3714; conf. Cass. sez. 3 n. 25875 del 7.7.2010).
Il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, pur costituendo "una nuova fattispecie criminosa introdotta o reintrodotta dalla novella citata senza alcuna continuità normativa con le disposizioni previgenti" (cfr. Cass. pen. Sez. 3 n. 25875/2010 cit), nel colmare il vuoto normativo operava indubitabilmente sullo stesso piano della norma abrogata (D.L. n. 429 del 1982, art. 2, comma 2, conv. in L. n. 516 del 1982) che sanzionava "chiunque non versa all'erario le ritenute effettivamente operate, a titolo di acconto o di imposta, sulle somme pagate".
La "ratio" era evidentemente quella di impedire, attraverso la sanzione penale, che il datore di lavoro omettesse di versare le somme trattenute, quale sostituto di imposta, sulle retribuzioni corrisposte al lavoratori.
Sulla stessa falsariga si muoveva, del resto, anche il D.L. 12 settembre 1982, n. 463, conv. in L. n. 638 del 1983 che prevedeva ugualmente la sanzione penale per l'omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti.
È noto il dibattito sviluppatosi su tali ritenute, sfociato anche in contrasti giurisprudenziali, in ordine alla necessità dell'effettivo pagamento delle retribuzioni ai lavoratori; tanto che fu necessario l'intervento delle Sezioni Unite che, con la sentenza n. 27641 del 2003, affermarono il principio che non fosse configurabile il reato di cui alla L. n. 638 del 1983, art. 2, comma 1 senza il materiale esborso delle somme dovute al dipendente.
Il legislatore, nel reintrodurre la sanzione penale di cui all'art. 10 bis cit. con la L. n. 311 del 2004, non poteva non tener conto della formulazione della norma di cui alla L. n. 516 del 1982, art. 2, nonchè dei contrasti e delle incertezze cui sopra si è fatto cenno anche in relazione alla L. n. 516 del 1983.
Sicché, nel riformulare la norma sanzionatoria, ha inteso esplicitare in modo assolutamente chiaro che la sanzione penale trova applicazione soltanto sulle ritenute effettivamente operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti.
Di qui il riferimento esplicito alle "certificazioni rilasciate ai sostituiti" in luogo della più generica formula contenuta nel D.L. n. 429 del 1982, art. 2 conv. in L. n. 516 del 1982 ("le ritenute effettivamente operate, a titolo di acconto o di imposta, sulle somme pagate..").
Se dunque la norma di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis si propone di sanzionare l'omesso versamento, nel termine previsto, delle ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto di imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, non vi è ragione per ritenere che la prova di ciò debba ricavarsi solo dalle "certificazioni" senza possibilità di ricorrere ad "equipollenti".
L'onere della prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate, trattandosi di elemento costitutivo del reato, grava, senza dubbio alcuno, sulla pubblica accusa, anche se può assolverlo sia mediante il ricorso a prove documentali o testimoniali oppure attraverso la prova indiziaria.
Con la sentenza n. 175/2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 - nella parte in cui ha inserito le parole "dovute sulla base della stessa dichiarazione" nel testo dell'art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 e dello stesso art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 limitatamente alle parole "dovute sulla base della stessa dichiarazione", nonché "in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 , l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 158 del 2015, e dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 limitatamente alle parole "dovute" contenute nella rubrica della disposizione". (cfr., a riguardo, la recente Cass. pen. 2338/2023).
Di conseguenza, alla luce della pronuncia del Giudice delle Leggi, la prova a carico offerta dal Pubblico Ministero non può fondarsi, nel suo nucleo essenziale, esclusivamente sulla produzione dei modelli 770 ma deve inevitabilmente passare per la dimostrazione del rilascio al sostituito delle certificazioni attestanti le ritenute operate (cfr. Cass. pen. 25987/2020 secondo cui "in tema di omesso versamento di ritenute certificate, di cui all'art. 10-bis del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per integrare il "rilascio" ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto di imposta non si richiede soltanto la formazione, ancorché perfezionata attraverso la loro sottoscrizione, delle certificazioni in esame, ma è necessaria l'avvenuta esternazione di queste ultime rispetto alla sfera del loro redattore e la loro materiale consegna ai rispettivi destinatari o, quanto meno, a taluno di essi. (Fattispecie alla quale la Corte ha ritenuto applicabile, "ratione temporis", la disciplina dettata dall'art. 10-bis cit. nel testo anteriore alla modifica apportata dall'art. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158). "; cfr. anche Cass. pen. 13610/2019).
Per un approfondimento sulla sentenza n. 175/2022 vai qui.