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Procedura penale

Chi ci ripensa paga: La rinuncia al ricorso per Cassazione non è gratis

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Ci sono cose nella vita che ti costano anche quando decidi di non farle.

Una cena prenotata e poi saltata all'ultimo minuto, l'abbonamento in palestra mai utilizzato, o, come ci insegna la Cassazione Penale (Sez. III, sentenza n. 46552 del 27 novembre 2024), il ricorso a cui rinunci.

Sì, perché se pensavate che dire "no grazie, ci ho ripensato" fosse gratuito, la Suprema Corte ci ricorda che non è esattamente così.

Nell’ordinanza in questione, la ricorrente ha pensato bene di ritirare il proprio ricorso per Cassazione, presumibilmente immaginando di archiviare così la questione in modo indolore.

Ma ecco il colpo di scena: la rinuncia al ricorso, per quanto legittima e regolamentata, non è una via di fuga esente da costi.


L’arte della rinuncia (a proprie spese)

La sentenza ci offre una didascalica lezione di diritto e finanza: rinunciare al ricorso comporta automaticamente la dichiarazione di inammissibilità dello stesso.

Fin qui, niente di sorprendente.

Ma c'è di più: l'art. 616 c.p.p. prevede che, in caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente debba pagare:

  • le spese processuali: Sì, perché la macchina della giustizia si è comunque messa in moto e qualcuno deve coprirne i costi. Quel qualcuno, ovviamente, è il ricorrente.

  • una sanzione pecuniaria: Nel caso di specie, è stata equitativamente fissata in 500 euro a favore della Cassa delle Ammende. Per chi non lo sapesse, questa è una sorta di salvadanaio della giustizia destinato a scopi non troppo consolatori per chi ci mette i soldi.


Ma perché pagare, se si rinuncia?

La Suprema Corte è chiara (e non senza una punta di severità).

La rinuncia al ricorso è un atto negoziale processuale, irrevocabile e recettizio.

Tradotto: una volta detto “mi arrendo”, non si torna indietro.

Ma il codice non fa distinzioni sulle cause di inammissibilità: che tu rinunci di tua spontanea volontà o che il tuo ricorso sia oggettivamente scritto male, il risultato è lo stesso. E il conto arriva puntuale.

Questa posizione è rafforzata dall’orientamento già consolidato della giurisprudenza (vedi Sez. V, n. 28691 del 2016): chi propone un ricorso, anche se poi ci ripensa, non può lavarsene le mani. Tanto meno il portafoglio.


Una lezione di responsabilità (e di budget)

Questa sentenza non è solo un monito per gli aspiranti ricorrenti, ma anche un invito a riflettere sul peso delle proprie scelte, sia in termini giuridici che economici.

Certo, è legittimo cambiare idea o accorgersi che il ricorso non ha speranze di successo. Ma in un sistema giuridico che macina risorse e richiede tempo, ogni azione ha un costo.

E allora, cari aspiranti rinunciatari, sappiate che dire “no” al vostro ricorso è possibile. Ma preparatevi a farlo con stile… e con un assegno pronto per coprire spese e sanzioni.

La giustizia non fa sconti.

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