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Reati contro la persona

Vieta alla figlia l'uso di Instagram e lei si chiude in camera: se il padre prende a calci la porta è violenza privata?

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Avv. Salvatore del Giudice - Avvocato penalista Napoli

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. VI, n. 7330 del 23 ottobre 2024, ha affrontato il tema del reato di violenza privata (art. 610 c.p.), riaffermando il principio di offensività quale criterio essenziale per la configurazione del delitto.



Il caso: il limite tra intimidazione e intimazione

Il caso riguardava un episodio di tensione familiare tra un padre e la figlia dodicenne, la quale si era chiusa nella propria stanza per protestare contro il divieto paterno di utilizzare Instagram.

L'imputato aveva bussato insistentemente alla porta, accompagnando il gesto con espressioni perentorie per indurre la minore ad uscire. La Corte d'Appello aveva qualificato questa condotta come violenza privata, ritenendo che la ragazza fosse stata costretta ad agire contro la propria volontà per paura del genitore.

Tuttavia, la Cassazione ha ribaltato questa conclusione, accogliendo il ricorso della difesa e affermando che il comportamento del padre non integrava il reato di violenza privata.

Secondo i giudici di legittimità, l’elemento centrale del reato è rappresentato dalla presenza di una violenza o minaccia idonea a comprimere significativamente la libertà di autodeterminazione della vittima.


Il principio di offensività e la mancanza di costrizione effettiva

Un passaggio fondamentale della sentenza chiarisce che per la configurazione della violenza privata non è sufficiente un mero atteggiamento autoritario o perentorio, ma occorre che la condotta dell’agente si traduca in una concreta e significativa limitazione della libertà di movimento o di decisione della vittima.

Nel caso di specie, la Cassazione ha escluso che l’azione del padre avesse effettivamente costretto la figlia ad agire contro la propria volontà per timore di un pericolo imminente o di un danno concreto. La minore, infatti, non aveva manifestato paura, né era emerso che il padre avesse effettivamente usato violenza o minacce gravi tali da vincolare la sua libertà decisionale.


Il ruolo dell’obbligo educativo e la non punibilità dell’intimazione

Un altro aspetto rilevante della sentenza riguarda il ruolo educativo del genitore. La Corte ha sottolineato che il diritto-dovere dei genitori di educare i figli può comportare l’uso di richiami perentori, purché non sfocino in atti di sopraffazione o costrizione. L’invito energico a uscire dalla stanza, anche se accompagnato da toni accesi, rientrava dunque nell’ambito di un normale esercizio dell’autorità genitoriale e non poteva essere assimilato a un atto di coercizione penalmente rilevante.


Le implicazioni

La pronuncia assume grande rilievo nella giurisprudenza in materia di violenza privata, in quanto:

  • ribadisce il principio di offensività, escludendo la punibilità di condotte che non incidono in modo significativo sulla libertà della vittima.

  • definisce il confine tra intimidazione e intimazione, chiarendo che un comportamento perentorio non costituisce automaticamente una minaccia penalmente rilevante.

  • tutela il diritto-dovere educativo del genitore, evitando che il legittimo esercizio dell’autorità familiare venga criminalizzato senza un concreto pregiudizio per il minore.



La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Brescia, decidendo sull'appello della parte civile Co.Ch., costituitasi in proprio e quale rappresentante della minorenne Za.Ma.- parzialmente riformando la sentenza con cui il Tribunale di Bergamo ha assolto Za.Ma. dal reato ex art. 572 cod. pen. descritto nella imputazione - ha condannato l'imputato, ritenendone la responsabilità ai soli effetti civili relativamente all'episodio del 27/01/2029, qualificato ex art. 610 cod. pen., al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile.


2. Nel ricorso presentato dal difensore di Za.Ma. e nelle successive conclusioni si chiede l'annullamento della sentenza.


2.1. Con il primo motivo si adduce violazione della legge nel riformare, agli effetti civili, la sentenza di primo grado senza rinnovare l'esame della Cortesi, unica prova dichiarativa raccolta in primo grado, essendo stata la teste giudicata inattendibile dal Tribunale, e senza escutere la minorenne Za.Ma. le sommarie informazioni testimoniali della quale ha più volte richiamato ma dandone una interpretazione difforme da quella del Tribunale.


2.2. Con il secondo motivo, si adduce violazione della legge processuale nell'acquisire al fascicolo del dibattimento relazioni dei servizi sociali successive ai fatti per i quali si procede e, come già osservato dal Tribunale, non afferenti al capo d'imputazione, mentre, con attività più conducente, avrebbe potuto sentire la testimone Hi.Bo., presente ai fatti del 27/01/2019.


2.3. Con il terzo motivo di ricorso, si adduce violazione della legge nel ravvisare un fatto qualificabile ex art. 610 cod. pen., trascurando che alle espressioni minacciose rivolte dall'imputato alla figlia Margherita - che rispose al padre con un "vaffanculo" - per convincerla a uscire dalla stanza in cui si era rinchiusa non fece poi seguito alcuna violenza.


2.4. Con il quarto motivo di ricorso si adducono violazione della legge e vizio della motivazione nel riformare in peius la sentenza di primo grado senza la necessaria motivazione rafforzata, trascurando il fine educativo che mosse l'imputato e il contesto di rapporti conflittuali in cui la figlia dodicenne tenne un atteggiamento oppositivo favorito da sua madre, che era in contrasto con l'altro genitore.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L'episodio del 27/01/2019 per il quale la Corte di appello - qualificando la condotta ex art. 610 cod. pen. - ha condannato Za.Ma. è specificamente trattato nella sentenza di primo grado (p. 7).


Risulta dalle sentenze di merito che la dodicenne figlia dell'imputato si era rinchiusa in camera perché il padre le vietava di utilizzare Instagram; il genitore le intimò di uscire, al che la figlia rispose "vaffanculo".


Il Tribunale - che ha ascoltato la fonoregistrazione dell'episodio effettuata dalla stessa ragazzina - ha escluso la rilevanza penale della condotta, osservando che: la minorenne ha affermato di non essere stata colpita dal padre; "non è stato chiarito se l'uomo avesse davvero brandito il bastone, che, in realtà, la ragazzina ha dichiarato essere "mestolo" (p. 12 della sentenza di primo grado); quando la ragazzina si decise a uscire dalla stanza nulla accadde né è possibile affermare che ella vide il padre con un bastone (o mestolo) in mano.


2. Invece, la Corte di appello - che ha motivato l'acquisizione delle relazioni menzionate nel ricorso, osservando che, sebbene formate dopo i fatti, possono "fornire elementi certamente utili a ricostruire il tema di prova e i rapporti tra genitore e figlia" (p. 11-12), ma, comunque, non utilizzandole per la motivazione della condanna - ha ritenuto penalmente rilevante il comportamento dell'imputato, ritenendo sussistente una minaccia che ha desunto dai forti colpi alla porta della stanza dove era rinchiusa la ragazzina con un bastone, che ha qualificato come "arma".


Ha escluso la necessità di una rinnovazione dell'istruttoria, valutando che la materialità del fatto non è controversa, ma ha modificato solo la qualificazione giuridica della condotta. Ha così deciso nella linea del principio di diritto per il quale il giudice d'appello che riforma in peius la sentenza assolutoria di primo grado, ex art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., non è tenuto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, nel caso in cui si limiti a una diversa valutazione in termini giuridici di circostanze di fatto non controverse, senza porre in discussione le premesse fattuali della decisione riformata (Sez. 2, n. 3129 del 30/11/2023, dep. 2024, Casoppero, Rv. 285826; Sez. 4, n. 31541 del 22/06/2023, Lazzari, Rv. 284860).


3. Posto quanto precede, il ricorso risulta fondato.


3.1. Per integrarsi il delitto di violenza privata (art. 610 cod. pen.) è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo.


Invece, sono penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che, si rivelino inidonei a limitarne la libertà di movimento, o, comunque, a influenzarne significativamente il processo di formazione della volontà (Sez. 5, n. 40485 del 01/07/2019, Mignolo, Rv. 277748; Sez. 5, n. 1786 del 20/09/2016, dep. 2017, Panico, Rv. 268751).


Nella fattispecie è del tutto escluso che l'imputato abbia rivolto una violenza fisica contro la figlia o anche soltanto verso la porta - poiché non emerge che questa sia stata rotta o anche soltanto deteriorata - mentre la ragazzina perseverò nella volontà di non aprire la porta e si risolse a uscire dalla stanza non per un timore per la sua persona ma per placare il genitore.


In realtà, non emerge neanche la formulazione di una compiuta minaccia, sicché alla condotta dell'imputato deve attribuirsi il significato di una intimazione, frutto della esasperazione, e non di una intimidazione funzionale alla minaccia, sicché, nella fattispecie, non può ravvisarsi una significativa compressione della libertà della ragazzina.


3.2. La precoce emancipazione del minorenne frutto del costume sociale non elide, anzi rende più complesso, l'obbligo dei genitori di impartire ai figli una educazione adeguata al carattere e alle attitudini dei figli (Cass. civ. Sez. 3, n. 22541 del 10/09/2019, Rv. 655364; Sez. 3, n. 3964 del 19/02/2014, Rv. 630413) con una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti, non soltanto in relazione a eventuali responsabilità verso terzi, ma per realizzare comunque una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza (Cass. civ. Sez. 3, n. 9556 del 22/04/2009, Rv. 608336). L'opera educativa richiede, per sua natura, quando necessario, il ricorso a mezzi di correzione e di disciplina, e la incriminazione, ex art. 571 cod. pen., dell'abuso di tali mezzi, presuppone che l'ordinamento ne riconosce un uso lecito.


La Relazione ministeriale al progetto del codice penale affermava, al riguardo, che la semplice percossa, nei termini di una vis modica, è un mezzo lecito di esercizio dello jus corrigendi.


Tuttavia, la misura di questa vis, comunque modica, va rapportata al primato che l'ordinamento oggi attribuisce alla dignità della persona, anche della persona minorenne che, anzi (anche in base alla Convenzione dell'OINU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 9, resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176), è soggetto titolare di diritti di protezione da parte degli adulti (Sez. 6, n. 13145 del 03/03/2022, Rv. 283110; Sez. 6, n. 4904 del 18/03/1996, Rv. 205034).


Allora, è tollerabile l'uso - episodico non sistematico (argomentabile a contrario ex: Sez. 3, n. 17810 del 06/11/2018, dep. 2019, Rv. 275701) - di una vis modicissima nei confronti dei figli minorenni, purché sia funzionale alla loro corretta educazione e non si traduca in comportamenti lesivi della integrità fisica della dignità della persona (Sez. 6, 16 gennaio 1996, Carbone, in Foro it., II, 1996, pp. 408 ss.).


3.3. Nel caso in esame, oltretutto, I 'imputato non esercitò violenza fisica sulla figlia sicché a fortiori (a maiore ad minus) può concludersi che il caso si colloca nel contesto di una non patologica condizione di tensione, nei rapporti fra un padre e una figlia preadolescente, che non attinge i livelli di offensività necessari affinché una vicenda acquisti rilevanza penalistica.


Pertanto, correttamente la sentenza di primo grado ha assolto l'imputato perché il fatto non sussiste e, conseguentemente, va annullata la sentenza di secondo grado oggetto del ricorso.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.


Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2024.


Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2025.

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