La Quinta sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34811/24, depositata il 16 settembre 2024, ha offerto un importante chiarimento in merito alla configurabilità del dolo nel reato di bancarotta fraudolenta documentale, previsto dall’art. 216 della Legge Fallimentare.
La decisione si inserisce nel dibattito giurisprudenziale sull'elemento soggettivo del reato, delineando in modo netto i confini tra dolo generico e dolo specifico.
Introduzione
Il caso in esame trae origine dal fallimento di una società a responsabilità limitata, il cui amministratore di fatto è stato accusato di non aver conservato e tenuto in modo regolare le scritture contabili, rendendo impossibile la ricostruzione della situazione patrimoniale e finanziaria della società..
Il punto centrale della pronuncia riguarda la configurabilità del dolo nella bancarotta fraudolenta documentale: la corte è stata chiamata a chiarire se la condotta dell’imputato, caratterizzata da omissioni e irregolarità nella tenuta dei libri contabili, potesse configurare il reato anche in assenza di un intento specifico di occultamento.
Il dolo nel reato di bancarotta fraudolenta documentale
L’art. 216 della Legge Fallimentare sanziona diverse ipotesi di bancarotta fraudolenta, tra cui quella documentale, che si verifica quando l’imprenditore, con dolo, distrugge, falsifica o sottrae le scritture contabili oppure le tiene in modo irregolare o incompleto, ostacolando la ricostruzione del patrimonio o degli affari della società.
La norma richiede dunque che, per la configurazione del reato, vi sia la consapevolezza dell'illiceità del comportamento e la volontà di realizzare l'evento dannoso.
Uno degli aspetti principali affrontati dalla Corte è la distinzione tra dolo specifico e dolo generico.
Il dolo specifico si configura quando il soggetto attivo del reato agisce con l’intento preciso di occultare, distruggere o falsificare la documentazione, al fine di impedire la ricostruzione della contabilità.
Il dolo generico, viceversa, quando il comportamento illecito non mira direttamente a nascondere i fatti contabili, ma è comunque consapevolmente diretto a violare l’obbligo di tenuta delle scritture, creando una situazione che rende impossibile la verifica degli affari societari.
La decisione della Corte: dolo generico o specifico?
Nel caso di specie, la Corte d'Appello aveva condannato l’imputato riconoscendo la sussistenza del dolo generico, in quanto la condotta irregolare relativa alla gestione delle scritture contabili era tale da impedire una corretta ricostruzione delle operazioni aziendali.
In particolare, l’imputato non aveva consegnato gran parte della documentazione contabile e fiscale, omettendo di conservare i registri ufficiali della società e giustificando la loro assenza con motivazioni ritenute pretestuose.
La Corte ha confermato questa impostazione, chiarendo che, per configurare il reato di bancarotta fraudolenta documentale, non è necessario dimostrare un intento specifico di occultamento delle scritture.
È sufficiente che l’imprenditore o l’amministratore agisca con consapevolezza, pur senza un fine diretto, creando una situazione di disordine contabile che renda impossibile la ricostruzione del patrimonio o degli affari.
Questo orientamento amplia l'ambito di applicazione della norma, includendo condotte che, pur prive di un intento fraudolento diretto, creano ugualmente un danno rilevante per i creditori e per la procedura fallimentare.
La centralità del dolo nella bancarotta fraudolenta
Il dolo è l’elemento discretivo tra la bancarotta fraudolenta e la bancarotta semplice.
Mentre la bancarotta semplice documentale si configura in caso di condotte imprudenti o negligenti, la bancarotta fraudolenta richiede che vi sia una volontarietà della condotta.
La distinzione tra dolo generico e dolo specifico risponde quindi all’esigenza di definire il grado di consapevolezza richiesto: non è necessario dimostrare che l’agente voglia espressamente danneggiare i creditori, ma è sufficiente che egli sia consapevole del disordine e delle irregolarità contabili che ostacolano la trasparenza aziendale.
La sentenza in commento ribadisce che anche una condotta apparentemente "passiva", come la mancata consegna o la conservazione lacunosa dei registri contabili, può integrare il reato di bancarotta fraudolenta documentale, purché vi sia consapevolezza delle conseguenze negative che derivano da tale comportamento.