La massima
Poiché la calunnia è delitto istantaneo, che si consuma con la presentazione di una denuncia o altro atto destinato all'autorità giudiziaria, completi in tutti gli elementi, l'eventuale successiva ritrattazione (nella specie, intervenuta il giorno successivo a quello di presentazione della denuncia) non vale ad integrare una causa di non punibilità, mentre può essere considerata come iniziativa spontanea, capace di attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato commesso (Cassazione penale , sez. VI , 02/07/2013 , n. 29536).
Fonte: Ced Cassazione Penale
Vuoi saperne di più sul reato di calunnia?
Vuoi consultare altre sentenze in tema di calunnia?
La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. VI , 02/07/2013 , n. 29536
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Firenze riformava parzialmente, riconoscendo alla imputata la circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 e rideterminando la pena finale, e confermava nel resto la pronuncia di primo grado del 14/12/2010 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lucca aveva condannato D.K., all'esito di giudizio abbreviato, in relazione al delitto di cui all'art. 368 c.p., per avere, con denuncia presentata il 24/01/2006 ai carabinieri di Altopascio, accusato falsamente C.S., che sapeva innocente, di averle rubato un assegno bancario recante l'importo di 1.000 Euro, titolo che, invece, ella stessa aveva consegnato al C..
Rilevava la Corte di appello come la colpevolezza della D. fosse stata provata dalle emergenze acquisite nel corso delle indagini e, in specie, oltre che dalle deposizioni della persona offesa e della girata ria ultima del titolo, dalle ammissioni della stessa imputata la quale, il giorno dopo la presentazione della denuncia, aveva ammesso di avere consegnato al C. quell'assegno con l'esplicita richiesta di cambiarglielo in denaro contante e, vista l'inadempienza dell'amico, di essersi sentita "truffata" e di avere perciò formulato quell'accusa di furto; e come alla prevenuta potesse essere riconosciuta l'attenuante del ravvedimento operoso in ragione della "ritrattazione" che era stata resa dalla imputata.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso la D., con atto sottoscritto dal suo difensore avv. Comaschi Leandro, la quale ha dedotto i seguenti cinque motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 368 c.p., per avere la Corte di appello confermato la sentenza di condanna di primo grado benchè fosse risultato che l'imputata non aveva accusato un soggetto che sapeva innocente, ma che riteneva responsabile di un altro reato contro il patrimonio, di truffa o di appropriazione indebita, per giunta più grave di quello formalmente oggetto della denuncia.
2.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 49 c.p., per avere la Corte fiorentina erroneamente escluso che la immediata ritrattazione dell'originaria accusa avesse comportato la inidoneità dell'azione a configurare una ipotesi di calunnia.
2.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 56 c.p., per avere la Corte territoriale erroneamente escluso che la condotta dell'Imputata, in considerazione della immediata ritrattazione, avesse integrato gli estremi di un delitto tentato e non consumato.
2.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 62 c.p., n. 2, per avere la Corte distrettuale omesso di riconoscere alla D. la circostanza attenuante dell'aver agito in stato di ira determinato da un fatto ingiusto altrui.
2.5. Vizio di motivazione, per avere la Corte toscana operato un mero rinvio alla motivazione della sentenza di condanna di primo grado senza operare alcuna autonoma valutazione sulle doglianze contenute nell'atto di appello.
3. Ritiene la Corte che il ricorso della D. sia inammissibile.
4. Il primo ed il secondo motivo del ricorso sono manifestamente infondati, in quanto la Corte di appello di Firenze, facendo corretta applicazione della norma incriminatrice oggetto di contestazione, ha spiegato - pure richiamando il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (per il quale si veda, da ultimo, Sez. 6^, n. 26177 del 17/03/2009, Vassura e altro, Rv. 244356) - che la calunnia è delitto istantaneo e si consuma nel momento in cui, con denunzia o con altro atto destinato all'autorità giudiziaria, viene formulata una falsa accusa, mediante incolpazione di un reato, nei confronti di un soggetto che il denunciante sa essere innocente: con la conseguenza che la presentazione della denuncia completa in tutti i suoi elementi è idonea ad integrare gli estremi del delitto in argomento, da intendersi consumato e non solo tentato, e che la eventuale successiva ritrattazione - nella fattispecie intervenuta il giorno successivo a quello di presentazione della denuncia - lungi dal qualificare una causa di non punibilità, posto che l'art. 376 c.p., non fa riferimento al reato di cui all'art. 368 c.p., vale come post factum e può essere al più considerata, come nel caso di specie è accaduto, come Iniziativa spontanea capace di attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato commesso.
5. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso sono inammissibili perchè aventi ad oggetto asserite violazioni di legge che non sono state dedotte con l'atto di appello.
L'art. 606 c.p.p., comma 3, prevede, infatti, espressamente come causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di questioni non prospettate nei motivi di appello:
situazione, questa, con la quale si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello.
6. Anche il quinto motivo del ricorso è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata presenta una motivazione che, in alcune sue parti, fa rinvio al contenuto della pronuncia di primo grado.
Tuttavia, si tratta di una tecnica pacificamente ammissibile ogniqualvolta - come nella fattispecie è accaduto - il giudicante valorizzi la motivazione per relationem, utilizzando un richiamo al tenore di altro provvedimento conosciuto o conoscibile alle parti, che sia congrue rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento che opera il rinvio, e che il giudice "rinviante" dimostri di aver inteso valorizzare, mediare e fare proprio in maniera funzionale rispetto alla spiegazione della propria decisione (così a partire da Sez. u, n. 17 del 21/06/2000, Primavera Rv.
216664; conf., in seguito, Sez. 4^, Sentenza n. 4181 del 14/11/2007, Benincasa, Rv. 238674; Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv.
229246; Sez. 5^, n. 39219 del 29/09/2003, Pucd, Rv. 226786; Sez. 3, n. 2125/03 del 27/11/2002, Ferretti, Rv. 223294; Sez. 3, n. 41529 del 05/11/2002, Del Santo, Rv. 223046; Sez. 4, n. 34913 del 25/06/2002, Macrì, Rv. 223434; Sez. 1, n. 15418 del 12/04/2002, La Valle, Rv.
221941; Sez. 1, n. 41375 del 12/09/2001, Domizi, Rv. 220077; Sez. 3, n. 2727 del 10/07/2000, Blasi, Rv. 217008).
D'altra parte, è certo che le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora - come è rilevabile nella fattispecie oggi in esame - i Giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo Giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (così, tra le diverse, Sez. 3^, n. 13926/12 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615;
Sez. 2^, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv. 236181; Sez. 3^, n. 10163 del 01/02/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).
7. Alla declaratoria di Inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento in favore dell'erario delle spese del presente procedimento ed al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma che si stima equo fissare nell'importo Indicato nel dispositivo che segue.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2013.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2013