La massima
In tema di calunnia, non esorbita dai limiti del diritto di difesa l'imputato che attribuisce un determinato fatto di reato ad altra persona, che pure sa innocente, soltanto per negare la propria responsabilità e ciò faccia nell'immediatezza dell'accertamento o nella sede processuale propria (Cassazione penale , sez. VI , 10/02/2021 , n. 17883).
Fonte: Ced Cassazione Penale
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. VI , 10/02/2021 , n. 17883
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 216/2019 la Corte di appello di Lecce-Sezione distaccata di Taranto ha confermato la condanna inflitta a C.A. e a P.D. e al loro coimputato L.A. ex artt. 110 e 368 c.p. per avere - tramite una memoria difensiva presentata dal loro difensore avvocato Roberto Stanislao ex art. 415-bis c.p.p. - accusato di reati ex artt. 323 e 479 c.p. gli Ufficiali della Polizia giudiziaria, che li avevano escussi circa un incidente stradale verificatosi alcuni giorni prima e a causa del quale era morto un minorenne, di avere "cercato volutamente in tutti i modi di indurre in errore" (esibendo grafici ingannevoli e con indebite pressioni psicologiche) e di avere "ricostruito il loro narrato in modo difforme" dal contenuto delle dichiarazioni.
Nella sentenza si precisa che sia C. che P. hanno in seguito espressamente ammesso che, comunque, quanto da loro dichiarato fu regolarmente trascritto dai verbalizzanti.
Inoltre, si sottolinea che gli imputati non hanno mai affermato che l'avvocato Stanislao abbia agito al di fuori o oltre il mandato ricevuto o che abbia stravolto il loro pensiero.
2. Nei ricorsi congiunti presentati dal difensore di C. e P. si chiede l'annullamento della sentenza deducendo, con un motivo unico ma articolato in più punti, violazione di legge e vizio di motivazione come espressi nei motivi di appello così riproposti:
a) circa il capo di imputazione, perché le espressioni incriminate compaiono nella parte relativa alla posizione di L. e non dei due ricorrenti avendo trascurato che l'uso dell'espressione "si ricostruiva..." nell'elaborato dell'avvocato Stanislao non ha una valenza calunniatoria nei confronti dei pubblici ufficiali ma soltanto difensiva rispetto alle posizioni dei suoi assistiti;
b) circa la configurabilità del concorso nel reato degli imputati, perché le espressioni usate dall'avvocato Stanislao, contenute in un atto difensivo redatto e sottoscritto dal solo difensore, siano state ignorate dai ricorrenti;
c) circa l'esercizio del diritto di difesa, perché l'elaborato dell'avvocato Stanislao é espressione del diritto di difesa mirante unicamente a discolpare i propri assistiti nei confronti dei quali la Polizia giudiziaria aveva invitato la Procura della Repubblica a procedere per calunnia e favoreggiamento personale;
d) circa gli elementi costitutivi del reato di calunnia, perché l'avvocato Stanislao non ha mai affermato che la Polizia giudiziaria verbalizzò qualcosa di differente da quanto dichiarato da P. e C. o che gli ufficiali di Polizia giudiziaria abbiano procurato vantaggi o arrecato danni per i quali possano configurarsi reati ex art. 323 e/o art. 479 c.p.;
e) circa l'istruttoria nel dibattimento, per erronea acquisizione agli atti dei verbali di altro procedimento penale, cosicché la Corte di appello avrebbe dovuto riaprire l'istruttoria per acquisire i verbali degli interrogatori relativi al presente procedimento;
f) circa la sussistenza della scriminante ex art. 59 c.p., comma 3, per avere trascurato che le espressioni usate dall'avvocato Stanislao erano contenute in un atto con finalità difensive e non di accusa nei confronti degli operanti della Polizia giudiziaria, così ricorrendo un errore scusabile;
g) circa la conoscenza della condotta dell'avvocato Stanislao, per avere ritenuto provato che gli imputati conoscessero le espressioni contenute nelle memorie depositate dal loro difensore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Per quanto riguarda la valenza calunniatoria del contenuto della memoria e la sua ascrivibilità alle posizioni di ciascuno degli imputati (punti 3, 4), nella sentenza impugnata é svolta una esegesi dei contenuti della memoria osservando (p. 9) che al suo interno, nella parte riguardante P., é scritto "valgano qui le stesse considerazioni fattuali di analisi delle dichiarazioni rese spontaneamente alla presenza dell'avv. Daniela Sindaco così come innanzi evidenziate per L.A." (pp. 18-19) e che espressamente (p. 17) "i toni e modi meritevoli di censura", le "modalità inquisitorie" e la "condotta soltanto finalizzata a screditare" attribuiti al luogotenente M. sono riferiti anche alle dichiarazioni rese da P.. Inoltre, si assume che il riferimento al "pregiudizio verso i testimoni oculari" e "per la ricostruzione della verità, come "l'indagare ricercando, in primis, elementi atti a suffragare la tesi dell'assenza di responsabilità del conducente l'autovettura" siano riferiti (pp. 21 e 4) anche alla raccolta delle dichiarazioni di C..
Non risulta, quindi, che, nella valutazione fattane dalla Corte di appello, la memoria - presentata in un procedimento nel quale l'ipotesi accusatoria poggiava sulla natura mendace delle dichiarazioni rese da C. e P. - contenga una diretta e immediata attribuzione di condotte penalmente rilevanti agli ufficiali di Polizia giudiziaria che raccolsero le dichiarazioni dei ricorrenti (coindagati nel procedimento nel quale si colloca la memoria), se non sulla base della interpretazione dei richiami che essa contiene alla posizione dei coindagati e che sono espressione delle modalità espositive adottate dal difensore che produsse la memoria difensiva nell'interesse di C. e P..
Vale, al riguardo ribadire che non esorbita dai limiti del diritto di difesa l'imputato che attribuisce un determinato fatto di reato a altra persona, che pure sa innocente, soltanto per negare la propria responsabilità e ciò faccia nella sede processuale propria (Sez. 6, n. 16662 del 27/11/2013, De Angelis, Rv. 258762; Sez. 6, n. 15928 del 28/03/2013, Glicora, Rv. 254733) e che deve escludersi la configurabilità dell'elemento soggettivo del reato di calunnia quando sia verificabile in concreto la presenza di un rapporto funzionale tra le affermazioni dell'agente, astrattamente calunniose, e la confutazione delle accuse rivoltegli (Sez. 6, n. 5065 del 10/12/2013, dep. 2014, De Benedetto, Rv. 258772).
2. Relativamente alla attribuibilità dei contenuti della memoria agli imputati e alla prova del loro concorso con il difensore (punti 1, 2, 7) nella sentenza impugnata si sottolinea che gli imputati non hanno mai affermato che l'avvocato Stanislao abbia agito al di fuori o oltre il mandato ricevuto o che abbia stravolto il loro pensiero nel redigere la memoria.
In realtà, deve, registrarsi che nell'atto di appello (e, successivamente, nelle conclusioni presentate il 13/09/19) si é espressamente asserita l'ignoranza da parte degli imputati del contenuto della memoria presentata ex art. 415-bis c.p.p., comma 3.
Infatti, si legge: "nel caso de quo, non era né mai é stata intenzione degli imputati P. e C. (come dagli stessi confermato e ribadito nei propri e rispettivi interrogatori innanzi al P.M. e come confermato dal teste avv. Stanislao unico redattore ed unico sottoscrittore delle dette memorie) incolpare gli ufficiali di P.G." (p. 17 atto di appello); "essendo l'Avv. Stanislao l'unico autore e sottoscrittore delle espressioni ritenute calunniose contenute nelle memorie art. 415-bis c.p.p. depositate in procura il 06/03/2014 e del contenuto delle quali non avevano contezza gli odierni appellanti" (pp. 22-23 atto di appello). Reiteratamente nel ricorso si sottolinea che gli imputati non conobbero né approvarono il contenuto della memoria difensiva che ha dato origine alla imputazione nei loro confronti.
3. Posto quanto precede e, prescindendo da una specifica disamina dei contenuti della memoria presentata dall'avvocato Stanislao e da una compiuta valutazione critica circa la loro effettiva attitudine calunniatoria, deve osservarsi quel che segue.
La memoria redatta dall'avvocato Stanislao é stata presentata ex art. 415-bis c.p.p., comma 3, a seguito dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, notificato il 17 febbraio 2014, dal quale risultava che L.A., P.D. e C.A. erano indagati per il reato di cui all'art. 368 c.p. nel procedimento penale n. 42/9226/13.
Le memorie previste dall'art. 415-bis c.p.p., comma 3 rientrano nel genus delle memorie che, ex art. 121 c.p.p., comma 1, "le parti e i difensori" possono presentare per sviluppare argomentazioni difensive.
Non vi sono ragioni per dubitare che essa sia stata redatta assecondando la linea difensiva addotta da C. e P. nel procedimento in cui erano indagati e consistente nel negare le responsabilità loro attribuite adducendo una imperfetta acquisizione delle loro dichiarazioni.
Tuttavia, nel caso in esame, la memoria é stata presentata dal difensore dei due (oltre che di un terzo coindagato) e non reca sottoscrizioni, né richiama mandati da parte loro. Deve, quindi, concludersi che essa é stata una espressione della linea difensiva articolata nello spazio di flessibilità della prospettazione dei fatti consentita al difensore, ma anche che non é comunque provato che i suoi specifici contenuti siano attribuibili alle persone da lui difese.
Ne deriva l'annullamento della sentenza impugnata con la formula in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2021