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Calunnia: non è punibile chi accusi falsamente altri di aver commesso il reato, per scopi difensivi


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di calunnia

La massima

In tema di calunnia, integra un'ipotesi di legittimo esercizio del diritto di difesa ed è scriminata dall' art. 51 c.p., la condotta dell'agente che affermi falsamente fatti tali da coinvolgere altre persone, che sa essere innocenti, nella responsabilità per il reato a lui ascritto, purché le false accuse non eccedano i limiti della utilità ed essenzialità, nel senso della assenza di ragionevoli alternative per una efficace confutazione dei fatti in contestazione, indipendentemente dal grado di articolazione della indicazione accusatoria mendace (Cassazione penale , sez. VI , 25/05/2022 , n. 33754).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 25/05/2022 , n. 33754

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con cui F.A.M.A. è stato condannato per il delitto di calunnia.


All'imputato è contestato di avere incolpato sapendola innocente M.P.L., mediante una comparsa di costituzione in una causa civile tra la società Marina di Verrazze s.r.l. e quella "La Dimora del Gaggio s.a.s."; in particolare, F. avrebbe affermato falsamente di avere versato la somma di 6.173,90 Euro alla stessa M., che non avrebbe voluto rilasciare ricevuta, quale saldo del canone annuale per l'uso di ormeggio da parte della imbarcazione Spread di proprietà della società La Dimora del Gaggio, laddove, invece, nessuna somma sarebbe stata consegnata.


2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato articolando sei motivi.


2.1. Con il primo si deduce violazione dell'art. 438 c.p.p., comma 6 bis e vizio di motivazione quanto alla eccezione di incompetenza territoriale sollevata all'udienza del 5.12.2017, ancora prima della richiesta di giudizio abbreviato.


La tesi è che i fatti si sarebbero svolti a (OMISSIS) in provincia di Savona ed in tal senso si fa riferimento ad una serie di atti; l'eccezione era stata proposta all'inizio dell'udienza e solo dopo la produzione di vari atti e le dichiarazioni delle altre parti, era stato chiesto il rito abbreviato condizionato all'audizione del teste Ma. (così il ricorso).


Il Giudice dell'udienza preliminare, ritenendo che l'art. 438 bis c.p.p., comma 6 bis, preclude ogni questione sulla competenza per territorio in caso di richiesta di giudizio abbreviato, dichiarò non luogo a provvedere sulla eccezione.


Secondo invece l'imputato, se è vero che la richiesta di abbreviato preclude la proposizione di nuove questioni, è altrettanto vero che quelle sollevate precedentemente alla richiesta dovrebbero essere decise; in particolare, si argomenta, la norma indicata precluderebbe ogni questione sulla competenza dopo la domanda di definizione del giudizio con il rito alternativo ma non anche per chi abbia prima eccepito l'incompetenza e poi chiesto l'abbreviato.


Si segnala, a conferma dei propri assunti, come l'art. 458 c.p.p., comma 1, in materia di giudizio abbreviato chiesto dopo l'emissione del decreto di giudizio immediato, preveda anche in tal caso l'applicazione dell'art. 438 c.p.p., comma 6 bis, chiarendo tuttavia come l'imputato con la richiesta di abbreviato possa eccepire l'incompetenza per territorio del giudice.


Si aggiunge che, ove si recepisse l'interpretazione della Corte di appello, l'imputato manterrebbe la facoltà di eccepire l'incompetenza per territorio nel caso in cui il Pubblico ministero decidesse di esercitare l'azione penale con la richiesta di giudizio immediato, mentre gli sarebbe precluso dedurre l'incompetenza nel caso di richiesta di rinvio a giudizio.


2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell'art. 3613 c.p. e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità.


Secondo la Corte di appello, l'imputato non si sarebbe limitato ad esercitare il proprio diritto di difendersi e, quindi, ad affermare di avere consegnata denaro alla persona offesa, ma avrebbe fornito ulteriori elementi accessori, esorbitanti e non funzionali al diritto di difesa così eccedendo i limiti previsti dall'art. 51 c.p.; si fa riferimento all'affermazione secondo cui la persona offesa, ricevuta la somma, non avrebbe rilasciato una ricevuta: detto "fatto" rivelerebbe un dato oggettivo ulteriore e idoneo alla configurazione del delitto di calunnia.


Assume invece il ricorrente che la circostanza in questione, che al più potrebbe rilevare in ordine ad altri illeciti, non costituirebbe un elemento circostanziato travalicante l'esercizio del diritto di difesa, in quanto il fatto storico della richiesta di ricevute sarebbe negato ed affermato dalla stessa Corte in modo contraddittorio, avendo ritenuto che la società La Dimora del Gaggio, con una email inviata alla società Marina di Verrazze il 16.7.2015, aveva chiesto di inviare l'estratto conto con la indicazione di tutti gli acconti versati.


La Corte, si argomenta, da una parte, avrebbe presupposto che F. non aveva mai chiesto alcuna ricevuta e che aveva falsamente affermato ciò per rendere più verosimile la sua affermazione in ordine alla condotta appropriativi attribuita alla M. e, dall'altra, non avrebbe smentito la tesi difensiva, secondo cui invece la ricevuta/rendicontazione fu in un dato momento richiesta.


Si evidenzia inoltre come dalla lettura della comparsa di costituzione emerga che F. avesse dato per certo che la somma versata fosse pervenuta alla società Marina di Verrazze e che quindi detta somma non fosse stata trattenuta indebitamente dalla donna.


2.3. Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge quanto all'art. 165 c.p.; il tema attiene alla subordinazione della sospensione condizionale allo svolgimento di una attività non retribuita in favore della collettività per la durata di un anno e per non meno di nove ore la settimana.


2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla applicazione dell'art. 165 c.p. e art. 18 bis disp. att. c.p. e D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 54; il tema attiene alla durata del lavoro di pubblica utilità.


2.5. Con il quinto motivo si deduce la mancata assunzione di una prova decisiva e vizio di motivazione.


All'udienza d'appello del 7.9.2021, l'imputato avrebbe reso spontanee dichiarazioni e chiesto di produrre una mail decisiva al fine di dimostrare l'inesistenza della intenzione di calunniare; si trattava di una mail, della quale solo successivamente l'imputato avrebbe avuto la disponibilità, in cui la società Marina di Verrazze, senza lamentare precedenti insoluti, si diceva disponibile a rinnovare il contratto di affitto del posto barca.


La Corte avrebbe rigettato la richiesta in quanto il documento non avrebbe avuto data certa e sarebbe stato comunque irrilevante, senza tuttavia considerare come, in caso di prova sopravvenuta, il criterio di giudizio per l'ammissibilità della richiesta non sia quello della irrilevanza, quanto, piuttosto, della manifesta irrilevanza.


La produzione documentale avrebbe in realtà avuto provenienza e data certa (11.5.2021 ore 5,01) e tendeva a dimostrare come fosse poco plausibile che "Marina di Verrazze" potesse chiedere il rinnovo del contratto senza pretendere il versamento dei canoni per l'anno precedente; dunque, l'acquisizione avrebbe fatto chiarezza in un quadro probatorio incerto.


2.6. Con il sesto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto all'art. 185 c.p. e art. 1226 c.c..


Il tema attiene alla quantificazione del danno liquidato in via equitativa in favore della parte civile.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato quanto al secondo motivò di ricorso, che ha valenza assorbente.


1.1. Secondo un pacifico insegnamento della Corte di cassazione (Sez. 6, n. 1333 del 16/01/1998, Barbato, Rv. 210648; Sez. 2, n. 2740 del 14/10/2009, dep. 2010, Zolli, Rv. 246042) l'imputato può negare, anche mentendo, la verità delle dichiarazioni accusatorie mosse nei suo riguardi, ed in tal caso l'accusa di calunnia, implicita in tale condotta, integra un'ipotesi di legittimo esercizio del diritto di difesa e si sottrae perciò alla sfera di punibilità in applicazione della causa di giustificazione prevista dall'art. 51 c.p..


La questione attiene tuttavia alla individuazione del limite entro il quale l'imputato, nel negare la verità delle dichiarazioni accusatone, travalichi il nesso funzionale tra tale negazione e l'attività difensiva.


In alcune pronunce della Corte si afferma che il nesso indicato è superato quando l'imputato non si limiti a ribadire la insussistenza delle accuse a suo carico, ma assuma ulteriori iniziative dirette a coinvolgere l'accusatore - di cui pure si conosce l'innocenza - nella incolpazione specifica, circostanziata e determinata di un fatto concreto, sicché da ciò deriva la possibilità dell'inizio di una indagine penale da parte dell'autorità. (cfr., Sez. 2, n. 14761 del 19/12/2017, dep. 2018, Lusi, Rv. 272755; Sez. 6, n. 18755 del 16/04/2015, Scagnelli, Rv. 263550).


Si è fatto già notare in giurisprudenza come tuttavia non assuma decisiva valenza, al fine di ritenere slegata la dichiarazione accusatoria dall'esercizio del diritto di difesa, che la falsa dichiarazione accusatoria, per essere scriminata, sia "generica" (Sez. 6, n. 1767 del 11/12/2012, dep. 2013, Grasso, Rv. 254041), "non accompagnata, cioè, da elementi fattuali circostanziali tali da farla apparire come vera" (Sez. 6, n. 26019 del 13/06/2008, Cogliani, Rv. 240930), ovvero che dalle dichiarazioni discenda la "possibilità di inizio di un procedimento penale", atteso che ove il fatto oggetto della falsa incolpazione fosse strutturalmente inidoneo ad originare un procedimento penale, il reato di calunnia di per sé, oggettivamente, non sussisterebbe e, quindi, il tema della scriminante dell'esercizio del diritto di difesa non avrebbe ragione di porsi.


Pare invece condivisibile l'indirizzo secondo cui il criterio di stretta correlazione funzionale esige "che il falso addebito sia formulato in termini che non eccedano l'utilità, l'essenzialità per una efficace confutazione dell'accusa, indipendentemente dal grado di articolazione dell'indicazione accusatoria mendace" (Sez. 6, n. 14042 del 02/10/2014, dep. 2015, Lizio, Rv. 262972).


La correlazione funzionale, di cui si è detto, deve essere valutata con riferimento al caso concreto: essa va esclusa quando il contenuto dell'attività difensiva sia non necessitato, sia cioè non privo di ragionevoli alternative; l'attività decettiva deve essere contenutisticamente vincolata, una volta maturata, da parte dell'interessato, la scelta di contestazione dell'accusa: "L'affermazione infondata di colpa a carico di altri, sia essa esplicita od implicita, deve risultare in sostanza priva di ragionevoli alternative quale mezzo di negazione dell'addebito, a prescindere dal grado della sua specificazione e fermo restando il divieto di ogni attività decettiva che esuli dall'enunciazione della falsa accusa "essenziale" (così, Sez. 6, n. 14042 del 02/10/2014, cit.).


1.2. La Corte di appello non ha fatto corretta applicazione del principio indicato.


Nel caso di specie, la calunnia sarebbe stata commessa attraverso il contenuto della comparsa di costituzione e risposta, dunque nell'esercizio dell'attività difensiva; secondo la Corte, l'imputato, con la comparsa di risposta, non si sarebbe tuttavia limitato ad esercitare il proprio diritto di difendersi, e quindi ad affermare di avere consegnato denaro a M.P.L., ma avrebbe fornito ulteriori elementi accessori, esorbitanti e non funzionali al diritto di difesa così eccedendo i limiti previsti dall'art. 51 c.p.: in particolare, l'eccesso sarebbe costituito dall'affermazione secondo cui la donna, ricevuta la somma, non aveva rilasciato una ricevuta nonostante le reiterate richieste: detto "fatto", secondo la Corte, rivelerebbe un dato oggettivo e circostanziato idoneo alla configurazione del delitto di calunnia (cosi pag. 13 della sentenza impugnata).


Si tratta di un ragionamento giuridicamente non condivisibile, atteso che quella affermazione non esulava dal nucleo essenziale della prospettazione difensiva infondata-quella, cioè, cioè di avere pagato- e non eccedeva il nucleo essenziale per una efficace confutazione dell'accusa; il riferimento al mancato rilascio della ricevuta costituiva una mera specificazione dell'affermazione costituiva della prospettazione difensiva che, implicitamente, peraltro, conteneva già, il riferimento al mancato rilascio di una ricevuta, atteso che, diversamente, la stessa causa civile non avrebbe avuto senso.


2. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste per essere scriminato ai sensi dell'art. 51 c.p..


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.


Così deciso in Roma, il 25 maggio 2022.


Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2022



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