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Calunnia: sui rapporti con il reato di false dichiarazioni a pubblico ufficiale


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di calunnia

La massima

Configura il delitto di calunnia l'indicazione, nel momento di acquisizione della notizia di reato e da parte del suo autore, delle generalità di altra persona effettivamente esistente, sempre che la reale identità fisica del reo non sia contestualmente ed insuperabilmente acquisita al procedimento attraverso altre modalità. (In motivazione la Corte ha precisato che, invece, ricorre il delitto di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sulla propria identità, di cui all' art. 495, comma 3, n. 2, c.p. , qualora la falsità dei dati anagrafici fornita dall'indagato sia immediatamente rilevabile, escludendo anche in astratto il pericolo dell'avvio di indagini o di istaurazione di un procedimento penale nei confronti della persona effettivamente esistente - Cassazione penale , sez. II , 02/02/2021 , n. 8246).

Fonte: Ced Cassazione Penale

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. II , 02/02/2021 , n. 8246

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5.6.2012, resa in esito a rito abbreviato, il GUP di Torino aveva riconosciuto P.F. responsabile dei reati di rapina impropria aggravata, calunnia, possesso ingiustificato di strumenti atti allo scasso e di arma impropria e, con le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alla aggravante contestata sul capo A) ed alla pure contestata recidiva, ritenuto il vincolo della continuazione tra le diverse violazioni di legge ed operata la diminuzione per la scelta del rito, lo aveva condannato alla pena finale di anni 2, mesi 5 e giorni 10 di reclusione ed Euro 1.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali;


2. la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha preso atto della intervenuta prescrizione delle contravvenzioni di cui ai capi b) e c) della rubrica e, eliminando le relative pene, ha rideterminato quella inflitta al ricorrente in anni 2 e mesi 2 di reclusione ed Euro 800 di multa confermando nel resto la sentenza impugnata;


3. ricorre per cassazione il difensore del P. lamentando la nullità della sentenza per carenza e vizio logico della motivazione: rileva che la Corte di Appello non ha risposto alle doglianze difensive articolate in sede di impugnazione con riguardo alla richiesta di derubricare il delitto di rapina in quello di furto aggravato; segnala che, pur essendo certa la commissione di un furto, le successive minacce erano state profferite a distanza di tempo e comunque non erano funzionali a garantire all'imputato l'impunità; analogamente, quanto alla calunnia, segnala come la condotta descritta nella imputazione fosse tale da integrare, al più, il meno grave delitto di sostituzione di persona non avendo avuto l'imputato alcuna intenzione di accusare altri nella consapevolezza della loro innocenza; rileva, ancora, il forte aumento per la continuazione da ritenersi eccessivo nonché , infine, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in termini di prevalenza sulla aggravante e la recidiva;


4. in data 18.1.2021 il PG ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8: rileva che, correttamente, i giudici di merito hanno ravvisato tutti gli elementi costitutivi del delitto di rapina impropria; segnala, invece, la fondatezza del ricorso quanto al delitto di calunnia atteso che la condotta del ricorrente si é risolta nel fornire false generalità agli operanti senza alcun rischio di instaurazione di un procedimento a carico del fratello dal momento che vi era assoluta certezza sulla persona fisica responsabile dei fatti.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso é infondato.


1. Il fatto é stato ricostruito sulla scorta di un conforme apprezzamento, nei due gradi, delle medesime emergenze istruttorie.


Dalle due sentenze di merito risulta che il giorno (OMISSIS) V.T. e M.G. avevano sorpreso un uomo che, all'interno della loro vettura, era intento a smontare l'autoradio e che, vistosi scoperto, la aveva immediatamente restituita salvo poi allontanarsi portando con sé il frontalino estraibile e la custodia dei CD musicali; inseguito dal M. e dalla stessa V., lo sconosciuto aveva lanciato loro il frontalino e la custodia dei CD minacciando di colpirli con il cacciavite se avessero insistito nell'inseguimento da cui, difatti, avevano desistito.


Poco dopo, una volante della Questura si era imbattuta nel P. che era stato notato in quanto vestito allo stesso modo in cui era stato descritto dal M. e dalla V. nel sollecitare l'intervento della polizia; alla vista degli agenti, l'uomo aveva poggiato a terra un cacciavite, aveva gettato in un cestino dei rifiuti una lama a mezzaluna e cercato quindi di allontanarsi ma, una volta fermato, aveva dichiarato di chiamarsi P.L.; condotto in Questura, era stato riconosciuto dalle persone offese come l'autore del fatto sopra descritto ed identificato come P. " F.".


2. Con l'atto di appello la difesa aveva sollecitato la riqualificazione del fatto di cui al capo a) in furto; il difetto dell'elemento psicologico del delitto di calunnia e, infine, l'eccessività della pena con la rivisitazione del giudizio di valenza.


3.1 Manifestamente infondato é il rilievo, riproposto in questa sede, circa la corretta qualificazione della condotta declaratoria: la Corte di Appello, nel vagliare la censura difensiva, ha ripercorso la ricostruzione in fatto operata dal Tribunale, spiegando che il P. "si era dato alla fuga portando con sé il frontalino estraibile dell'autoradio e la custodia dei CD musicali e, quando era stato raggiunto dalle persone offese, le aveva minacciate, lanciando loro addosso gli oggetti asportati e dicendo che se avessero cercato di fermarlo li avrebbe colpiti con il cacciavite che aveva con sé (...)".


Nessun dubbio, perciò, sulla esistenza di tutti gli elementi della rapina "impropria" avendo il ricorrente minacciato le persone offese proprio al fine di farle desistere dall'inseguirlo e, con ciò, guadagnare la fuga.


Quanto al requisito della "immediatezza" della reazione, che pure nel caso di specie non é contestabile "in fatto", é sufficiente ricordare che esso va riferito esclusivamente agli aspetti temporali della "flagranza" o "quasi flagranza" e non va interpretato letteralmente nel senso che violenza o minaccia debbono seguire la sottrazione senza alcun intervallo di tempo (cfr., Cass. Pen., 2, 26.6.2012 n. 40.421, Zappala; conf., Cass. Pen., 2, 4.10.2013 n. 43.764, Mitrovic, cha ha chiarito che nella rapina impropria, la violenza o la minaccia possono realizzarsi anche in luogo diverso da quello della sottrazione della cosa e in pregiudizio di persona diversa dal derubato, sicché , per la configurazione del reato, non é richiesta la contestualità temporale tra sottrazione e uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere l'unitarietà dell'azione volta ad impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l'impunità; conf., ancora, più recentemente, Cass. Pen., 7, 29.5.2018 n. 34.056, Belegrhoub).


3.2 Anche per quanto riguarda la calunnia, la difesa ha insistito, anche in questa sede, per la insussistenza della ipotesi contestata rilevando che l'aver fornito agli operanti le generalità del fratello poteva integrare, al più, il delitto di cui all'art. 494 c.p..


La Corte territoriale ha risposto all'omologo rilievo articolato con l'atto di appello segnalando che "l'imputato, all'evidente intento di sottrarsi alle proprie responsabilità, non si era limitato a fornire false generalità indicando un nome di fantasia, ma aveva dato le generalità di una persona realmente esistente, ovvero suo fratello L., in tal modo accusando indirettamente quest'ultimo di essere l'autore della rapina..." (cfr., pag. 4).


Le censura avanzata in questa sede é infondata.


E' in primo luogo appena il caso di ribadire che il delitto di calunnia si configura come reato di pericolo e, quindi, é sufficiente ad integrarne l'elemento oggettivo una falsa accusa che, essendo astrattamente configurabile come "notitia criminis" in quanto a prima vista non manifestamente inverosimile, sia pertanto idonea all'apertura delle indagini preliminari, risultando del tutto irrilevante il fatto che le stesse si siano successivamente concluse con un decreto di archiviazione (cfr., Cass. Pen., 6, 5.11.2003 n. 48.525, Grimaldi; conf., Cass. Pen., 2, 19.12.2017 n. 14.761, Lusi).


Detto questo, si é anche precisato che H reato di calunnia può concorrere con quello di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale nella propria identità (art. 495 c.p.p., comma 3, n. 2), qualora il soggetto, nell'ambito di un procedimento penale a suo carico, dichiari all'autorità giudiziaria false generalità corrispondenti a quelle di una persona effettivamente esistente e tale dichiarazione abbia creato il pericolo dello svolgimento di indagini nei confronti di quest'ultima (cfr., Cass. Pen., 6, 18.1.2007 n. 12.847, Ceva).


Date queste premesse, si deve convenire sulla correttezza della soluzione cui é approdata la Corte di Appello e che appare conforme ai principi sopra richiamati in ordine alla natura del delitto di calunnia, da ritenersi integrato tutte le volte in cui la condotta dell'agente possa ritenersi idonea ad avviare delle indagini a carico della persona direttamente o indirettamente accusata nella consapevolezza della sua innocenza; ciò che é avvenuto nel caso in esame dove il ricorrente - autore dell'atto predatorio in danno della V. e del M. - una volta fermato da personale della Polizia di Stato, aveva fornito le generalità del fratello che perciò aveva obiettivamente esposto al rischio di vedersi indagato per fatti commessi da lui.


Questa Corte, in un caso per qualche verso simile a quello che ci occupa, ha chiarito quindi che integra il delitto di calunnia l'indicazione, nel momento di acquisizione della notizia di reato e da parte del suo autore, delle generalità di altra persona effettivamente esistente, sempreché la reale identità fisica del reo non sia contestualmente ed insuperabilmente acquisita al procedimento attraverso altre modalità (cfr., Cass. Pen., 6, 22.1.2013n. 6.150, Panuccio, in cui la Corte ha ritenuto il delitto di concorso in calunnia sia nei confronti dell'autore del reato di guida in stato di ebbrezza, privo di documenti, che aveva fornito ai verbalizzanti le generalità del fratello, sia del soggetto presente nell'auto che aveva confermato le false generalità).


Ben diversa é la fattispecie decisa da Cass. Pen., 6, 1.3.2005n. 24.572, Zivic la cui massima - apparentemente difforme ("non risponde del reato di calunnia, ma esclusivamente del reato previsto dall'art. 495 c.p., comma 3, n. 2, il soggetto che nell'ambito di un procedimento penale a suo carico dichiari all'autorità giudiziaria false generalità, corrispondenti a quelle di una persona effettivamente esistente") - é relativa ad un caso nel quale l'imputato, di sesso maschile, si era attribuito le generalità di una donna sicché la Corte ha potuto escludere ogni sia pure astratto pericolo dell'avvio di indagini o della instaurazione di un procedimento penale a carico di costei proprio in quanto la falsità dei dati anagrafici era immediatamente rilevabile.


3.3 Del tutto inammissibili sono i rilievi relativi all'entità dell'aumento per la continuazione ed al giudizio di valenza.


Sul primo aspetto l'atto di appello era stato peraltro assolutamente silente sicché nessuna censura é consentita in questa sede stante la preclusione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 3.


Quanto al giudizio di valenza, il ricorso non si confronta con la motivazione della sentenza con cui la Corte di Appello aveva escluso il bilanciamento in termini di prevalenza alla luce del divieto di cui all'art. 69 c.p., u.c. e, perciò, di una causa ostativa di natura non discrezionale su cui il ricorso non si é confrontato.


E' peraltro consolidato l'orientamento secondo cui in tema di concorso di circostanze, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti sono censurabili in sede di legittimità soltanto nell'ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell'equivalenza (cfr., Cass. Pen., 5, 26.9.2013 n. 5.579, Sulo; Cass. Pen., 6, 25.11.2009 n. 6.866, Alesci, Cass. Pen., 1, 13.1.1994 n. 3.232, Palmisano).


4. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2021.


Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2021

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