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Calunnia: sussiste anche se nella falsa accusa non è indicato espressamente il nome dell'accusato

Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di calunnia

La massima

Integra il delitto di calunnia nella forma cd. indiretta la falsa accusa che, pur non essendo nominativa, sia formulata in modo da rendere inequivoca la riferibilità del fatto ad una determinata persona, mentre si configura il delitto di simulazione di reato quando il fatto sia implicitamente attribuito ad una qualsiasi delle persone fisiche aventi un interesse specifico alla sua consumazione. (Conf. Sez. 6, n. 9521 del 08/06/1983, Rv. 161144 - Cassazione penale , sez. VI , 08/07/2020 , n. 21990).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 08/07/2020 , n. 21990

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 15/10/2013 il Tribunale di Padova ha dichiarato G.L.D. responsabile del reato di calunnia, perchè con denuncia presentata ai Carabinieri il 01/02/2011 aveva incolpato A.M. del reato di furto avvenuto presso la sua abitazione il 26/01/2011, in realtà simulato, e lo ha condannato alla pena di anni due di reclusione. Nella denuncia G. aveva riferito di avere trovato in casa la tessera sanitaria cartacea di M., ex dipendente da cui era stato minacciato a causa di un preteso credito vantato nei suoi confronti.


2. La Corte territoriale ripercorreva nel merito le motivazioni svolte dal primo giudice in ordine alla sussistenza del reato e riteneva che fosse emersa la prova della responsabilità dell'imputato. In particolare, secondo quanto riferito dal teste di p.g. Rubinato, la casa era stata trovata in disordine, ma con gli oggetti omogeneamente sparsi; la porta di ingresso non presentava segni di effrazione, tanto che le borchie erano state asportate, ma appoggiate con ordine a terra e le viti erano state posate sul tavolino accanto alla porta e la serratura era funzionante. I Giudici del merito rappresentavano altresì che M. aveva riferito di avere lavorato "in nero" per G. sino al (OMISSIS) e di avere all'epoca dormito presso la sua abitazione, senza più recarvisi dopo l'interruzione del rapporto di lavoro. Quanto alla tessera sanitaria ne aveva riconosciuto la corrispondenza, pur non ricordando di averla smarrita, in quanto da tempo sostituita con il tesserino plastificato.


3. Il difensore dell'imputato ha presentato ricorso per cassazione avverso la citata sentenza e ne ha chiesto l'annullamento, censurando:


3.1. la violazione di legge in relazione all'inquadramento del fatto nella fattispecie di calunnia anzichè in quella di simulazione di reato, realizzata al momento del sopralluogo dei Carabinieri il 26/01/2011, a nulla rilevando la successiva denuncia del 01/02/2011, contenente gli stessi elementi già noti: si tratta infatti di un reato istantaneo per la cui consumazione non rileva l'eventuale reiterazione delle dichiarazioni;


3.2. il vizio motivazionale quanto all'accertamento del dolo di calunnia in capo all'imputato, non avendo la Corte territoriale fornito adeguata risposta allo specifico motivo di appello sul punto;


3.3. la violazione di legge quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche, non avendo la Corte ritenuto idoneo a tal fine nè provato lo stato di indigenza dell'imputato, viceversa dimostrato dall'essere stato ammesso al gratuito patrocinio.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso appare manifestamente infondato e per taluni aspetti sprovvisto del carattere di specificità, atteso che, a fronte delle argomentate risposte già offerte dal giudice di appello in ordine alla specifica doglianze dell'appellante, questi si limita a riproporle con il ricorso per cassazione benchè le stesse siano state già avanzate e motivatamente disattese.


2. Va premesso, in linea di fatto, che in base ai dati e alle circostanze ricostruiti attraverso la puntuale testimonianza dell'operatore di p.g. Rubinato, doveva escludersi con certezza che il delitto di furto in danno dell'imputato fosse stato effettivamente realizzato. L'apertura della porta con asportazione delle borchie tale da non provocare una vera effrazione e da lasciare inalterata la funzionalità della serratura una volta rimontata, così come l'ordinato posizionamento degli oggetti spostati dal loro originario assetto, sono stati


ritenuti elementi chiari e univoci nel senso della simulazione del furto. La disponibilità in capo a G. della tessera sanitaria cartacea (e in disuso) del M. si spiegava agevolmente in ragione del pregresso rapporto di lavoro e della ospitalità usufruita dallo stesso presso quella abitazione.


Ciò posto, ritiene la Corte che le decisioni di merito si siano conformate ai principi di diritto affermati nella giurisprudenza di legittimità in tema di qualificazione giuridica del fatto come delitto di calunnia anzichè di simulazione di reato. Ricorre invero il reato previsto dall'art. 368 c.p. in tutti i casi in cui la falsa imputazione sia idonea, per modalità e circostanze sottese alla falsa attribuzione del fatto reato, ad esprimere l'univoca riferibilità dell'accusa ad una persona reale, determinata o determinabile. E' integrato il delitto di calunnia nella forma cd. indiretta quando l'incolpazione sia tale, per le modalità ed elementi della falsa attribuzione del fatto-reato, da rendere inequivoca la riferibilità della accusa ad una determinata persona, nel senso che questa soltanto risulti essere il soggetto che ha commesso il fatto illecito, pur in assenza di una accusa nominativamente formulata. Sussiste invece la simulazione di reato quando il fatto-reato sia implicitamente e non nominativamente attribuito ad una qualsiasi delle persone fisiche aventi un interesse specifico alla consumazione del reato falsamente attribuito dall'imputato (Sez. 6, n. 9521 del 08/06/1983, Focardì, Rv. 161144).


E si è ribadito che il delitto di calunnia sussiste anche quando l'incolpazione venga formulata attraverso la simulazione a carico di una persona, non specificamente indicata ma identificabile, delle tracce di un determinato reato - nella forma, cioè, della incolpazione cosiddetta reale o indiretta - purchè la falsa incolpazione contenga in sè gli elementi necessari e sufficienti all'inizio dell'azione penale nei confronti di un soggetto univocamente e agevolmente identificabile (Sez. 6, n. 4537 del 09/01/2009, Sileoni, Rv. 242819).


3. Sotto diverso profilo, va ricordato che quando la simulazione oggettiva di un reato sia diretta a prospettare una falsa incolpazione dello stesso in danno di una persona determinata - come accaduto nel caso di specie con la denuncia sporta il 01/02/2011 -, si realizza un reato progressivo, ove il disvalore della simulazione è assorbito da quello della calunnia (Sez. 6, n. 26114 del 28/04/2003, Giannini, Rv. 227419). Alla luce di tale principio è evidente la manifesta infondatezza della doglianza relativa alla carente motivazione circa l'elemento soggettivo, relativa al motivo di appello formulato in termini del tutto generici, cui comunque la Corte territoriale ha fornito adeguata risposta, posto che l'intero apparato argomentativo della sentenza parte dalla simulazione di un furto mai avvenuto. E poichè i giudici del merito hanno sul punto argomentato con considerazioni fattuali scevre da illogicità manifesta e corrette in diritto, il ricorrente nella sostanza sollecita sul punto una non consentita rilettura delle emergenze probatorie, a fronte di una motivazione puntualmente argomentata e perciò insindacabile da parte della Corte di legittimità.


4. Non si sottrae alla conclusione di manifesta infondatezza anche il motivo di ricorso relativo alla mancata concessione delle attenuanti generiche. Il giudizio sul punto effettuato dai giudici di merito risulta adeguatamente motivato, considerato tra l'altro che in sede di appello il ricorrente si era limitato ad una richiesta di applicazione delle attenuanti priva di ogni specificazione in grado di supportarla "in concreto", essendo stata dedotta la asserita indigenza dell'imputato, padre di tre figli, e la lontananza cronologica dei precedenti. La pena non è stata ritenuta passibile di attenuazione, considerata la mancanza di resipiscenza e la presenza di precedenti, non ravvisandosi a contrario elementi idonei a sostenere la necessità della mitigazione della pena, nè potendosi considerare tale lo stato di indigenza, peraltro meramente enunciato ma non dimostrato.


5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente fissata in Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.


L'inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della sopravvenuta prescrizione del reato.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.


Così deciso in Roma, il 8 luglio 2020.


Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2020

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