La massima
In tema di rapporto tra calunnia e diritto di difesa, l'esclusione di tale delitto dal novero di quelli rispetto ai quali si applica la causa di esclusione della colpevolezza di cui all' art. 384, comma 1, c.p. comporta che nessuno spazio di operatività deve riconoscersi all'esercizio del diritto scriminante di difesa ex art. 51, comma 1, prima parte, c.p. - altrimenti incidendosi sull'antigiuridicità della condotta - nei casi in cui l'imputato, lungi dal limitarsi a una generica negazione della fondatezza degli addebiti mossigli e/o della veridicità degli elementi di accusa, si difenda accusando specificamente terzi, che sa essere innocenti, di aver commesso reati (Cassazione penale , sez. II , 31/01/2022 , n. 17705).
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. II , 31/01/2022 , n. 17705
RITENUTO IN FATTO
1. D.F.E. e U.G. ricorrono disgiuntamente contro la sentenza indicata in epigrafe (con la quale la Corte di appello di Bologna ha confermato le loro condanne in ordine ai reati di rapina consumata e tentata ed altro, in continuazione, a ciascuno ascritti, con la recidiva reiterata per il D.F., riducendo la pena ritenuta di giustizia dal Tribunale per l' U., per effetto della contestuale declaratoria di estinzione del reato di cui al capo B), per i motivi, che, come previsto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata va annullata, nei confronti di U.G., limitatamente al reato di cui al capo G) perché estinto per prescrizione, con conseguente eliminazione del relativo aumento di pena per la continuazione, e rideterminazione della pena in anni tre e mesi cinque di reclusione ed Euro ottocento/00 di multa. Il ricorso è nel resto inammissibile, come inammissibile è l'intero ricorso di D.F.E..
1. Ricorso D.F..
Il ricorso, presentato per motivi in parte non consentiti, in parte privi della specificità necessaria ex art. 581 c.p.p., comma 1 e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), perché meramente reiterativi di doglianze già correttamente disattese dalla Corte di appello, con argomentazioni con le quali il ricorrente in concreto non si confronta, in parte manifestamente infondati, è integralmente inammissibile.
1.1. Con il primo motivo, si deduce contraddittorietà della motivazione quanto alla dichiarazione di responsabilità in ordine ai reati di cui al capo A) (rapina consumata del tesserino e tentata del telefono cellulare), in difetto delle "chiare dichiarazioni" di accusa erroneamente ascritte dalla Corte di appello alla vittima B.L..
1.1.1. Il motivo non considera che la Corte di appello (f. 6 della sentenza impugnata) ha incensurabilmente valorizzato, a fondamento della contestata statuizione, le dichiarazioni di M.N., scrupolosamente esaminate e motivatamente ritenute attendibili, oltre che corroborate dal fatto che gli stessi motivi di appello ammettessero che il predetto M. era debitore del D.F., il quale ultimo ha ammesso al Tribunale di aver minacciato pesantemente il M. "per la storia dei soldi"; esso si risolve nella richiesta di rivalutare la ricostruzione del fatto cui i giudici del merito sono addivenuti, non consentita in sede di legittimità, in difetto di contraddizioni, manifeste illogicità e documentati travisamenti, connotati dal carattere della decisività.
A fronte di tali elementi, diventa priva di decisivo rilievo il contenuto della evocata intercettazione telefonica, che la Corte di appello ha menzionato unicamente come elemento utile a rafforzare ulteriormente la già congrua motivazione posta a fondamento della dichiarazione di responsabilità dell'imputato.
1.2. Con il secondo motivo, si deduce contraddittorietà della motivazione quanto alla dichiarazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo E) (tentata estorsione), perché l'imputato sarebbe estraneo alle minacce profferite dalla sua compagna dell'epoca, la C., in data 06/06/2021, il cui corretto significato sarebbe al contrario stato spiegato, nel corso dell'esame dibattimentale, dal teste P., uno degli interlocutori.
1.2.1. Il motivo non considera che la Corte di appello (ff. 7 ss. della sentenza impugnata) ha incensurabilmente valorizzato, a fondamento della contestata statuizione, le dichiarazioni del teste B., scrupolosamente esaminate e motivatamente ritenute attendibili, oltre che corroborate dalle dichiarazioni dei testi B.M., Z. e Z., nonché dal certificato medico attestante lesioni compatibili con il pugno dal quale il B. ha riferito di essere stato colpito, risolvendosi, anche in questo caso, nella richiesta di rivalutare la ricostruzione del fatto cui i giudici del merito sono addivenuti, non consentita in sede di legittimità, in difetto di contraddizioni, manifeste illogicità e documentati travisamenti, connotati dal carattere della decisività.
1.3. Il terzo motivo (con il quale si deduce violazione dell'art. 628 c.p., quanto al reato di cui al capo A), per carenza del profitto in relazione alla rapina di un tesserino) non è consentito ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3, perché, pur essendo deducibile come motivo di appello, è stato dedotto per la prima volta nel ricorso in esame.
1.4. Con il quarto motivo, si deduce contraddittorietà della motivazione quanto alla circostanza aggravante delle più persone riunite in ordine ai reati di cui ai capi A) e B).
1.4.1. Il motivo, quanto al reato di cui al capo B), non è consentito ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3, perché, pur essendo deducibile come motivo di appello, è stato dedotto per la prima volta nel ricorso in esame.
1.4.2. Per quanto riguarda il reato di cui al capo A), il motivo non considera che la Corte di appello (ff. 9 s. della sentenza impugnata) ha incensurabilmente valorizzato, a fondamento della contestata statuizione, il seguente rilievo: "non solo il D.F. ha posto in essere la violenza alla presenza del complice U., ma la persona offesa, oltre che gli altri presenti, hanno perfettamente percepito la presenza contemporanea dei due complici".
1.5. Il quinto motivo (con il quale si deducono violazione di legge e vizi di motivazione per non essere configurabile la circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., comma 1, n. 2) non è consentito ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3, perché, pur essendo deducibile come motivo di appello, è stato dedotto per la prima volta nel ricorso in esame.
1.6. Con il sesto motivo, si deduce contraddittorietà della motivazione quanto alla dichiarazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo C) (furto con strappo di un telefono cellulare in disponibilità di Z. Davis) perché le dichiarazioni della p.o. sarebbero state male interpretate.
1.6.1. Il motivo non considera che la Corte di appello (f. 6 della sentenza impugnata) ha incensurabilmente valorizzato, a fondamento della contestata statuizione, le dichiarazioni del teste Z., evidenziando che dalle stesse emerge con chiarezza la circostanza che il telefono cellulare gli fu "strappato dalle mani" dall'imputato, che voleva conoscere il numero di M.N., venendogli poi restituito dopo aver constatato che era spento perché scarico.
Ed, in proposito, questa Corte (Sez. 5, n. 8333 del 13/07/2015, dep. 2016, Rv. 266144 - 01) ha già chiarito che è inapplicabile la disciplina del furto d'uso prevista dall'art. 626 c.p., comma 1, n. 1, nell'ipotesi di furto con strappo di cui all'art. 624-bis c.p., comma 2, alla luce del divieto posto dal comma 2 del citato art. 626, che, pur richiamando la "circostanza aggravante" di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 1, abrogata e sostituita dalla disposizione di cui all'art. 624-bis, deve ritenersi riferito anche alla nuova fattispecie autonoma di furto con strappo, in considerazione della assoluta sovrapponibilità di tali due ultime norme, tra loro legate da un rapporto di continuità.
1.7. Il settimo motivo (con il quale si deducono violazione di legge e vizi di motivazione per non essere configurabile la circostanza aggravante della destrezza in relazione al reato di cui al capo C), l'ottavo motivo (con il quale si deducono violazione di legge e vizi di motivazione per non essere configurabile la circostanza aggravante delle più persone riunite in relazione al reato di cui al capo E-bis), ed il nono motivo (con il quale si deducono violazione di legge e vizi di motivazione perché i reati di cui ai capi E ed E-bis costituirebbero un unico reato), non sono consentiti ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3, perché, pur essendo deducibili come motivi di appello, sono stati dedotti per la prima volta nel ricorso in esame.
1.8. Con il decimo motivo, si deduce contraddittorietà della motivazione quanto alla dichiarazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo G) (calunnia) perché le dichiarazioni dell'imputato sarebbero state male interpretate.
1.8.1. Il motivo non considera che la Corte di appello (f. 9 della sentenza impugnata) ha incensurabilmente valorizzato, a fondamento della contestata statuizione, la circostanza che l'imputato, nelle dichiarazioni costituenti corpo del reato, ha "tratteggiato artatamente una situazione ed uno sviluppo dei fatti del tutto diversa da quella reale, non sovrapponibile al contesto fattuale effettivamente verificatosi, poiché ha evidenziato un proprio ruolo esclusivamente passivo e del tutto lecito, descrivendosi come vittima ignara, innocente ed inconsapevole di una aggressione da parte di un nutrito gruppo di netturbini (mentre stavano lavorando), affermando l'esistenza di circostanze mai avvenute, ed omettendo di riferire condotte e circostanze a lui riferibili (come, ad esempio, l'avere richiesto il numero di telefono del M., l'avere deliberatamente e volontariamente colpito almeno uno dei netturbini, l'avere strappato di mano il telefono cellulare ad un altro, l'avere sottratto il tesserino di riconoscimento ad un altro ancora)".
1.9. L'undicesimo motivo (con il quale si deducono violazione di legge e vizi di motivazione per non essere stata riconosciuta la causa di giustificazione dell'esercizio del diritto di difesa in ordine alla calunnia di cui al capo G) in riferimento alle condotte tenute in udienza in data 07/02/2017), non è consentito ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3, perché, pur essendo deducibile come motivo di appello, è stato dedotto per la prima volta nel ricorso in esame.
1.10. Con il dodicesimo motivo, si deduce violazione dell'art. 99 c.p. e vizi della motivazione quanto alla mancata esclusione della recidiva.
1.10.1. Il motivo non considera che la insistita reiterazione di nuovi reati (cinque quelli per i quali l'imputato riporta conclusivamente, nell'ambito del presente procedimento, nuova condanna) legittima di per sé, anche a prescindere dagli ulteriori e corretti rilievi della Corte di appello, la contestata statuizione.
1.11. In considerazione della declaratoria d'inammissibilità totale del ricorso, il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., va condannato al pagamento delle spese processuali oltre che - apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando le cause dell'inammissibilità per colpa (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186) -, di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende che, tenuto conto della significativa entità della predetta colpa, appare equo quantificare nella somma di Euro tremila.
2. Ricorso U..
La sentenza impugnata va annullata nei confronti di U.G. limitatamente al reato di cui al capo G), perché estinto per prescrizione, con eliminazione del relativo aumento di pena per la continuazione, e rideterminazione della pena in anni tre e mesi cinque di reclusione ed Euro ottocento/00 di multa.
Il ricorso e', nel resto, inammissibile.
2.1. Con il primo motivo, sono promiscuamente dedotti vizi della motivazione quanto alla dichiarazione di responsabilità in ordine ai reati di cui al capo A) (cui il ricorrente asserisce di essere estraneo), di cui al capo B) (peraltro già dichiarato estinto per prescrizione dalla Corte di appello nei confronti del ricorrente, non recidivo, ed in ordine al quale, pertanto, in difetto di ricorso della parte pubblica, non si procede attualmente), e C) (cui il ricorrente asserisce ancora una volta di essere estraneo, e che, inoltre, in difetto di destrezza, e non essendo quindi configurabile la relativa circostanza aggravante, sarebbe prescritto).
2.1.1. Il motivo, nella parte in cui chiede escludersi la circostanza aggravante della destrezza, non è consentito ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3, perché, pur essendo deducibile come motivo di appello, è stato dedotto per la prima volta nel ricorso in esame.
2.1.2. Nel resto, il motivo non considera che la Corte di appello (f. 11 della sentenza impugnata) ha incensurabilmente valorizzato, a fondamento delle contestate statuizioni, le dichiarazioni di tutti i testi presenti ai fatti, comprese le vittime, concordi nel riferire che il D.F. era stato costantemente spalleggiato dall' U. nella commissione delle condotte delittuose in contestazione.
Esso si risolve nella richiesta di rivalutare la ricostruzione del fatto cui i giudici del merito sono addivenuti, non consentita in sede di legittimità, in difetto di contraddizioni, manifeste illogicità e documentati travisamenti, connotati dal carattere della decisività.
2.2. Con il secondo motivo, sono dedotti vizi della motivazione quanto alla dichiarazione di responsabilità in ordine all'estorsione di cui al capo E) (cui il ricorrente asserisce di essere estraneo, non conoscendo la p.o.).
2.2.1. Il motivo non considera che la Corte di appello (f. 12 s. della sentenza impugnata) ha incensurabilmente valorizzato, a fondamento della contestata statuizione, le dichiarazioni del teste M., preciso e coerente nel riferire che il D.F. era stato costantemente spalleggiato dall' U. nella commissione della condotta delittuosa in contestazione; lo stesso U. aveva, peraltro, ammesso di essere stato presente ad uno degli episodi in contestazione, come riferito dalla vittima, che quindi conosceva, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso.
2.3. Con il terzo motivo, sono dedotti vizi della motivazione quanto alla dichiarazione di responsabilità in ordine alla calunnia di cui al capo G) (il ricorrente asserisce di essere stato condannato a cagione di dichiarazioni inizialmente rese in fase di indagini preliminari oltre che in sede di esame dibattimentale, attraverso le quali aveva inteso unicamente difendersi dall'accusa mossa nei suoi confronti).
2.3.1. Il motivo è infondato: ciò impone di rilevare l'intervenuta estinzione per del reato per prescrizione.
2.3.2. Deve premettersi che il fatto in contestazione è necessariamente quello commesso in data (OMISSIS): a seguito dell'intervenuto rinvio a giudizio, infatti, l'imputato, in corso di esame dibattimentale, si è limitato a ripetere la sua versione dei fatti.
Come costantemente affermato da questa Corte, la calunnia è un reato istantaneo, che si consuma nel momento della comunicazione all'autorità di una falsa incolpazione a carico di persona che si sa essere innocente: ne consegue che le dichiarazioni rese successivamente, ai sensi dell'art. 503 c.p.p., in sede di esame dibattimentale, nell'ambito del procedimento nel quale il soggetto che abbia comunicato all'autorità la predetta falsa incolpazione figuri come imputato del delitto di calunnia, confermando la falsa accusa, senza sostanziali aggiunte o variazioni che comportino nuove o diverse incriminazioni, non possono essere qualificate come ulteriori violazioni della stessa norma incriminatrice di cui all'art. 368 c.p., ai fini della continuazione, né come fatti di permanenza (Sez. 6, n. 48102 del 23/10/2019, non mass.; Sez. 6, n. 3368 del 09/01/2018, non mass.; Sez. 6, n. 2933 del 12/11/2009, dep. 2010, Rv. 245773 - 01; Sez. 1, n. 8577 del 06/07/2000, Rv. 216683 - 01; Sez. 6, n. 9961 del 28/04/1999, Rv. 214181 - 01; Sez. 6, n. 4082 del 24/02/1998, Rv. 210215 - 01; Sez. 6, n. 1126 del 10/12/1996, dep. 1997, Rv. 207509 - 01; Sez. 3, n. 412 del 13/03/1967, Rv. 104239 - 01).
La circostanza che le dichiarazioni calunniose siano state reiterate in udienza nel corso dell'esame dibattimentale dell'imputato non comporta, quindi, in difetto della formulazione di ulteriori accuse, nuove e diverse rispetto a quelle contestate all'imputato, la commissione di un nuovo reato di calunnia, né la permanenza fino alla data del predetto esame del reato istantaneo contestato, come, al contrario, ed erroneamente, la Corte di appello ha espressamente ritenuto (così a f. 14 della sentenza impugnata), per negare la sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione; non potrebbe, invero, essere configurato a carico del soggetto formalmente imputato del reato di calunnia un obbligo di ritrattazione in giudizio delle dichiarazioni, che si assumono calunniose, in precedenza rese
2.3.3. Il ricorrente ha anche invocato la causa di giustificazione dell'esercizio del diritto di difesa.
2.3.3.1. E' noto al collegio l'orientamento (Sez. 6, n. 40886 del 08/03/2018, Rv. 274147 - 01; Sez. 6, n. 14042 del 02/10/2014, dep. 2015, Rv. 262972) a parere del quale, in tema di calunnia, non esorbita dai limiti del diritto di difesa l'imputato che affermi falsamente davanti all'Autorità giudiziaria fatti tali da coinvolgere altre persone, che sa essere innocenti, in fatti penalmente illeciti, purché la mendace dichiarazione costituisca l'unico indispensabile mezzo per confutare la fondatezza dell'imputazione, secondo un rapporto di stretta connessione funzionale tra l'accusa (implicita od esplicita) formulata dall'imputato e l'oggetto della contestazione nei suoi confronti, e sia contenuta in termini di stretta essenzialità, nel senso dell'assenza di ragionevoli alternative quale mezzo di negazione dell'addebito.
2.3.3.2. Altro orientamento (Sez. 2, n. 14761 del 19/12/2017, dep. 2018, Rv. 272755 - 01; Sez. 6, n. 18755 del 16/04/2015, Rv. 263550 - 01) ritiene al contrario, in tema di rapporto tra diritto di difesa ed accuse calunniose, che l'imputato, nel corso del procedimento instaurato a suo carico, può negare genericamente, anche mentendo, la verità delle dichiarazioni a lui sfavorevoli, ma commette il reato di calunnia quando non si limita a ribadire l'insussistenza delle accuse a lui addebitate, ma assume ulteriori iniziative dirette a coinvolgere l'accusatore - di cui pure conosce l'innocenza - nella incolpazione specifica, circostanziata e determinata di un fatto concreto.
L'orientamento riprende quello, meno recente (Sez. 6, n. 7760 del 15/01/2003, Rv. 223982 - 01; Sez. 6, n. 1333 del 16/01/1998, Rv. 210648 - 01; Sez. 6, n. 8042 del 27/04/1995, Rv. 202028 - 01; Sez. 6, n. 5789 del 14/03/1995, Rv. 201678 - 01), che ammetteva l'operatività, in favore dell'imputato, della causa di giustificazione, o scriminante, di cui all'art. 51 c.p., per le accuse calunniose formulate al fine di difendersi, ma precisando che l'imputato, nel corso del procedimento instaurato a suo carico, può negare, anche mentendo, la verità delle dichiarazioni a lui sfavorevoli, poiché, in tal caso, l'accusa di calunnia, implicita in tale condotta, integra legittimo esercizio del diritto di difesa e si sottrae perciò alla sfera di punibilità penale in applicazione della causa di giustificazione prevista dall'art. 51 c.p.; diversamente, nei casi in cui l'imputato, travalicando il rigoroso rapporto funzionale tra tale sua condotta e la confutazione dell'imputazione, non si limiti a ribadire la insussistenza delle accuse a suo carico, ma assuma ulteriori iniziative dirette a coinvolgere l'accusatore - di cui pure si conosce l'innocenza- nella incolpazione specifica, circostanziata e determinata di un fatto concreto, sicché da ciò derivi la possibilità dell'inizio di una indagine penale da parte dell'autorità, si è al di fuori del mero esercizio del diritto di difesa e si realizzano, a carico dell'agente, tutti gli elementi costitutivi del delitto di calunnia.
In adesione all'orientamento, si è ritenuto (Sez. 2, n. 28620 del 01/07/2009, Rv. 244730 - 01) che integra il reato di calunnia, senza che possa invocarsi la scriminante dell'esercizio del diritto di difesa, la condotta dell'imputato che, negata la sussistenza del fatto addebitatogli, accusi terzi, nella specie gli appartenenti alla polizia giudiziaria, di fatti criminosi, come la redazione di un falso verbale di dichiarazioni in modo da determinare la possibilità che inizi nei loro confronti un procedimento penale; nel medesimo senso, si era in precedenza ritenuto che l'esercizio del diritto di difesa, che integra la causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p., non è mai configurabile nei casi in cui l'imputato non si limiti alla generica negazione delle accuse formulate in proprio danno, ma attribuisca intenzionalmente a terzi, che si sappia innocenti, la commissione di reati (Sez. 6, n. 1438 del 16/04/1991, Rv. 187349 - 01: fattispecie nella quale l'imputato aveva asserito essere falso il verbale riportante dichiarazioni dallo stesso rese ai verbalizzanti, accusandoli della commissione di un falso ideologico, non limitandosi a chiedere la rettifica di quanto in ipotesi erroneamente verbalizzato).
2.3.4. Non approfonditi (in verità, neppure dalla dottrina) sono, invece, i rapporti tra l'istituto di cui all'art. 384 c.p. e la causa di giustificazione o scriminante di cui all'art. 51 c.p., comma 1, prima parte, la cui ricostruzione può, a parere del collegio, fornire argomenti utili ai fini della risoluzione del contrasto.
2.3.4.1. L'art. 384 c.p., comma 1, stabilisce, in riferimento ad un elevato numero di delitti contro l'amministrazione della giustizia, la non punibilità del soggetto che abbia commesso il reato, per quello che in questa sede rileva, perché "costretto dalla necessità di salvare sé stesso da un grave ed inevitabile nocumento nella libertà", come accade nel caso in cui in cui il soggetto agente abbia inteso evitare un'accusa penale nei suoi confronti (Sez. 6, n. 16443 del 25/03/2015, Rv. 263579 - 01; Sez. 6, n. 52118 del 02/12/2014, Rv. 261668 01).
La predetta disposizione prevede una causa di esclusione della colpevolezza (Sez. U, n. 10381 del 26/11/2020, dep. 2021, Fialova, Rv. 280574 - 01) e non, come l'art. 51 c.p., dell'antigiuridicità della condotta, in quanto rende inesigibile un comportamento conforme alle norme indicate al comma 1 di tale norma (Sez. 6, n. 53939 del 20/11/2018, Rv. 274583 - 01): la causa di esclusione della colpevolezza prevista dall'art. 384 c.p. e la scriminante di cui all'art. 51 c.p. operano, quindi, su piani diversi, la prima non escludendo l'antigiuridicità del fatto, ma la colpevolezza dell'agente, la seconda escludendo l'antigiuridicità del fatto.
2.3.4.2. In riferimento al delitto di calunnia, il legislatore ha espressamente escluso l'operatività della causa di non punibilità di cui all'art. 384 c.p., comma 1, in considerazione degli interessi che la commissione di tale reato lede, potendosi attraverso la sua commissione, ad un tempo, intralciare la corretta amministrazione della giustizia e porre in pericolo la libertà e l'onore di persone che il soggetto sa essere innocenti rispetto all'accusa nei loro confronti formulata (Sez. 6, n. 21789 del 28/04/2010, Rv. 247116 - 01).
Proprio tale esclusione, prevista da una disposizione speciale operante soltanto in riferimento ai delitti contro l'amministrazione della giustizia, consente di ritenere, in adesione al secondo degli indicati orientamenti, che nessuno spazio residui per l'operatività dell'esercizio del diritto scriminante di difesa ex art. 51 c.p., comma 1, prima parte, nei casi in cui, sia pure nell'esercizio di tale diritto, sia stato commesso il delitto di calunnia, ovvero in cui l'imputato (lungi dal limitarsi ad una mera e generica negazione della fondatezza degli addebiti mossigli e/o della veridicità degli elementi di accusa) si sia difeso accusando specificamente terzi di aver commesso reati dai quali li sappia innocenti.
Invero, l'esclusione del delitto di calunnia dal novero di quelli in relazione ai quali opera la causa di esclusione della colpevolezza di cui all'art. 384 c.p., comma 1, prevista dalla predetta disposizione speciale, comporta all'evidenza che, con specifico riferimento al delitto di calunnia, l'esercizio del diritto di difesa (che porti il soggetto agente ad incolpare falsamente un terzo di reati dai quali lo sappia innocente) non faccia mai venir meno la colpevolezza dell'agente, ed, a fortiori, l'antigiuridicità della condotta (poiché, se questa mancasse, non vi sarebbe motivo per prevedere che non venga comunque meno la colpevolezza, essendo quest'ultima verifica necessariamente e logicamente successiva).
La disposizione speciale di cui all'art. 384 c.p., comma 1, consente, quindi, di ritenere che, tra i reati (contro l'amministrazione della giustizia) che è tipicamente possibile compiere nell'esercizio del diritto di difendere sé od altri da un'accusa penale, nel caso in cui la condotta dell'agente si concretizzi nella formulazione di accuse specificamente calunniose, come tali suscettibili di integrare il delitto di cui all'art. 368 c.p., essa è certamente antigiuridica; ciò premesso, la disposizione stabilisce espressamente che non viene, inoltre, meno la colpevolezza dell'agente.
Nessuno spazio residua, pertanto, per l'operatività della disposizione generale di cui all'art. 51 c.p., comma 1, prima parte, che inciderebbe sull'antigiuridicità della condotta.
2.3.4.3. Tale conclusione appare certamente in linea con la già indicata ratio dell'esclusione della calunnia dal novero dei reati in ordine ai quali può operare la causa di esclusione della colpevolezza di cui all'art. 384 c.p., comma 1, potendosi attraverso la calunnia, ad un tempo, intralciare la corretta amministrazione della giustizia e porre in pericolo la libertà e l'onore di persone che il soggetto sa essere innocenti rispetto all'accusa nei loro confronti formulata.
2.3.4.4. Essa appare, inoltre, in linea con gli stessi limiti che pacificamente si ritiene incontri l'esercizio scriminante di un diritto.
Questa Corte ha già osservato, in generale, che l'esercizio del diritto scrimina soltanto nei limiti entro i quali esso possa ritenersi legittimo, "essendo necessario che l'attività posta in essere costituisca una corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto in questione" (Sez. U, n. 32009 del 27/06/2006, Schera, in motivazione: in applicazione del principio, è stata negata la sussistenza dell'esercizio scriminante del diritto di difesa in relazione alla condotta di favoreggiamento personale ex art. 378 c.p., contestata ad un avvocato che aveva falsamente verbalizzato, a vantaggio del suo cliente, dichiarazioni testimoniali assunte nell'ambito di investigazioni difensive ex art. 391-bis c.p.p.).
L'esercizio scriminante del diritto incontra, infatti, limiti che vanno desunti dalla sua stessa fonte, oltre che dall'intero ordinamento: quando tali limiti sono superati, sono configurabili ipotesi di abuso del diritto, ed il comportamento dell'agente esula dall'ambito consentito dall'art. 51 c.p.. La dottrina ha, in proposito, condivisibilmente chiarito che, "quando il diritto è riconosciuto dalla Costituzione (es. diritto di sciopero, di manifestazione del pensiero: artt. 40 e 21 Cost.), il suo contenuto ed i suoi limiti non possono essere ricavati dalla legge ordinaria (neppure penale), ma devono essere ricostruiti in base alla natura stessa del diritto di cui si tratta (limiti "interni" o "logici"), nonché ai principi generali dell'ordinamento ed altre norme costituzionali, con correlative esigenze di tutela di altri interessi, per la cui salvaguardia potranno allora essere predisposte anche, p.e., leggi penali (limiti "esterni")".
In particolare, la riconosciuta esistenza di "limiti esterni" all'esercizio scriminante (anche) del diritto di difesa legittima le conclusioni cui si è ritenuto di addivenire.
2.3.5. Per tali ragioni, il motivo, con il quale il ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello non abbia configurato in suo favore la causa di giustificazione dell'esercizio del diritto di difesa, non può essere accolto, non potendo mai configurarsi un esercizio scriminante del diritto di difesa in riferimento al delitto di calunnia.
Nondimeno, in considerazione del contrasto di orientamenti giurisprudenziali esistente sul punto, il motivo va dichiarato meramente infondato.
2.3.6. Ciò premesso, tenuto conto della mera infondatezza del ricorso, il reato, commesso in data (OMISSIS), ed in difetto di sospensioni, è prescritto dal 19 dicembre 2019, ovvero da data antecedente rispetto a quella della sentenza impugnata.
2.3.6.1. Gli elementi valorizzati concordemente dai giudici del merito a fondamento dell'iniziale dichiarazione di responsabilità non consentono il proscioglimento dell'imputato con formula liberatoria più favorevole, ai sensi dell'art. 129 c.p.p..
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di U.G. limitatamente al reato di cui al capo G) perché estinto per prescrizione, ed elimina il relativo aumento di pena per la continuazione, rideterminando la pena in anni tre e mesi cinque di reclusione ed Euro ottocento/00 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara inammissibile il ricorso di D.F.E., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2022