
Con la sentenza n. 22978/2024, la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affermato che l’inadempimento fiscale e contributivo può integrare il reato di bancarotta fraudolenta impropria solo se è sistematico e rappresenta una scelta gestionale consapevole che aggrava il dissesto, mentre non rileva il mero accumulo di debiti per difficoltà economiche.
La decisione ha annullato la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, ordinando un nuovo giudizio per verificare se la condotta dell’amministratore F.M., condannato per il fallimento della Calzaturificio M. s.r.l., fosse frutto di una gestione dolosa o di semplici scelte imprenditoriali errate.
Il caso: bancarotta fraudolenta impropria e patrimoniale per deterioramento dei beni aziendali e omessi pagamenti fiscali
F.M., amministratore della Calzaturificio M. s.r.l., dichiarata fallita il 22 ottobre 2010, era stato condannato per:
Bancarotta fraudolenta patrimoniale distrattiva (art. 216 R.D. 267/1942), per aver causato il deterioramento dei beni aziendali a seguito di una gestione negligente.
Bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose (art. 223 R.D. 267/1942), per aver omesso sistematicamente il pagamento di debiti erariali, contributivi e retributivi, aggravando il dissesto della società.
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 6 giugno 2024, aveva confermato la condanna, ritenendo che:
L’omesso pagamento dei debiti aziendali avesse determinato il fallimento della società.
La bancarotta fraudolenta patrimoniale si fosse consumata per negligenza nella custodia dei beni aziendali, deterioratisi irreversibilmente.
L’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità fosse configurabile in base alla differenza tra il passivo fallimentare e l’attivo inesistente.
Il difensore di F.M. ha presentato ricorso per Cassazione, contestando:
L’errata configurazione della bancarotta fraudolenta patrimoniale distrattiva
La difesa ha sostenuto che la dispersione dei beni aziendali era dovuta alla necessità di lasciare l’immobile per sfratto, e non a una condotta dolosa.
I beni erano stati collocati in depositi di fortuna, e il curatore fallimentare li aveva comunque rinvenuti.
L’errata qualificazione della bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose
Secondo la difesa, l’imputato non aveva effettuato un sistematico inadempimento fiscale per aggravare il dissesto, ma aveva semplicemente cercato di mantenere in vita l’impresa.
Il mancato pagamento dei debiti era una conseguenza della crisi aziendale, e non una scelta gestionale fraudolenta.
L’errata applicazione dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità
La difesa ha eccepito che la Corte d’Appello aveva considerato l’intero passivo fallimentare come danno derivante dalle condotte dell’imputato, senza distinguere le cause dell’insolvenza.
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha accolto il ricorso e annullato la sentenza, stabilendo che:
La bancarotta fraudolenta patrimoniale richiede il dolo specifico, non è sufficiente una condotta negligente
Non basta che i beni aziendali si siano deteriorati per la mancata custodia, se l’imprenditore non ha agito con l’intento di sottrarli all’esecuzione concorsuale.
Se il deterioramento è dovuto a difficoltà economiche, la condotta può essere colposa ma non integra la bancarotta fraudolenta patrimoniale (Cass. Sez. 5, n. 24752/2018, De Mattia).
Nel caso in esame, la Corte d’Appello non ha dimostrato che F.M. abbia dolosamente distrutto o disperso i beni, limitandosi a evidenziare che erano stati mal custoditi.
Il mancato pagamento dei debiti non integra automaticamente la bancarotta fraudolenta impropria
Per configurare la bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose, l’omesso pagamento dei debiti deve essere una scelta sistematica e consapevole per aggravare il dissesto.
La Corte d’Appello non ha chiarito se gli omessi pagamenti fossero il frutto di una strategia dolosa o di difficoltà economiche.
Non ogni scelta gestionale errata integra il reato: occorre dimostrare che l’inadempimento sia stato usato come anomalo strumento di autofinanziamento.
L’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità richiede una connessione diretta tra la bancarotta e il danno ai creditori
Non è sufficiente che il passivo fallimentare sia elevato, occorre dimostrare che esso derivi dalle condotte specifiche dell’imputato (Cass. Sez. 5, n. 48203/2017, Meluzio).
La Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto che l’intero passivo fosse riconducibile all’imputato, senza quantificare il valore dei beni deteriorati o l’effettivo aggravamento del dissesto.
Annullamento della sentenza e rinvio alla Corte d’Appello di Napoli
La Cassazione ha annullato la sentenza impugnata e rinviato il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello di Napoli per un nuovo giudizio.
Conclusioni
La sentenza ha affermato in tema di bancarotta fraudolenta:
Il deterioramento dei beni aziendali non è sufficiente per configurare la bancarotta fraudolenta patrimoniale se non vi è prova del dolo dell’amministratore.
Il mancato pagamento delle imposte e dei contributi può costituire bancarotta fraudolenta impropria solo se è il risultato di una strategia gestionale dolosa, e non semplicemente di difficoltà economiche.
L’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità non può essere applicata automaticamente in base all’ammontare del passivo fallimentare, ma richiede un collegamento diretto con le condotte illecite.