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Con la sentenza n. 8269/2025, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affermato in materia di reati tributari e tassazione delle criptovalute, il seguente principio di diritto: l’omessa indicazione dei proventi derivanti dalla cessione di NFT e criptovalute nella dichiarazione dei redditi può configurare il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000), se tali redditi superano la soglia di punibilità.
La decisione ha confermato il rigetto della richiesta di riesame avanzata dall’indagato contro il sequestro preventivo di oltre 836.000 euro, disposto per garantire il recupero delle imposte evase.
Il caso: omessa dichiarazione di ricavi da vendita di NFT e criptovalute
L’indagato, L.A., artista digitale noto con il nome D., era stato sottoposto a indagini per dichiarazione infedele per aver omesso di dichiarare redditi derivanti dalla vendita di NFT (Non-Fungible Token) delle sue opere digitali e dal successivo incasso in criptovaluta (Ethereum - Ether).
Secondo l’accusa, nei periodi d’imposta 2021 e 2022, l’imputato aveva dichiarato un reddito inferiore a quello effettivo, omettendo di indicare:
549.541,54 euro nel 2021
286.834,00 euro nel 2022
superando quindi la soglia di punibilità prevista dall’art. 4 D.Lgs. 74/2000.
La difesa ha presentato ricorso per Cassazione, contestando:
l’errata qualificazione fiscale degli NFT e delle criptovalute
Secondo il ricorrente, gli NFT non rientrano tra le opere dell’ingegno tassabili ai sensi dell’art. 53 TUIR, in quanto il trasferimento riguarda il certificato di autenticità digitale, non l’opera d’arte in sé.
Le criptovalute non possono essere considerate “proventi in denaro o in natura” ai sensi dell’art. 54 TUIR, perché non hanno corso legale.
l’assenza di dolo specifico o eventuale
L’indagato riteneva in buona fede che i ricavi in criptovalute non fossero tassabili, perché non convertiti in moneta tradizionale.
L’assenza di un intento evasivo avrebbe dovuto escludere la configurabilità del reato.
l’applicazione retroattiva della circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 30/E del 2023
La difesa ha sostenuto che l’Agenzia delle Entrate ha chiarito solo nel 2023 l’obbligo di dichiarare le criptovalute, mentre i fatti contestati risalgono al 2021-2022.
Applicare retroattivamente tali chiarimenti avrebbe violato il principio di irretroattività della norma penale (art. 2 c.p.).
Il principio di diritto stabilito dalla Corte
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che:
Gli NFT e le criptovalute generano redditi imponibili se derivano dall’utilizzo economico dell’opera dell’ingegno
Le opere digitali vendute tramite NFT rientrano tra i “redditi da lavoro autonomo” tassabili ai sensi dell’art. 53 TUIR, poiché derivano dall’utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno.
La criptovaluta ricevuta come corrispettivo deve essere dichiarata come provento imponibile, anche se non convertita in euro.
Le criptovalute rientrano tra i proventi in natura tassabili
L’art. 54 TUIR prevede che i redditi da opere dell’ingegno sono tassabili indipendentemente dal fatto che il corrispettivo sia in denaro o in beni.
Le criptovalute hanno un valore di mercato convertibile in euro, quindi il loro possesso è fiscalmente rilevante e deve essere dichiarato.
L’omessa dichiarazione delle criptovalute è un indicatore di evasione fiscale
La Cassazione ha chiarito che il mero possesso di criptovalute non dichiarate non è di per sé penalmente rilevante, ma lo diventa se il contribuente omette di dichiarare redditi generati dalla loro cessione.
L’indagato non ha dichiarato i ricavi da NFT e le royalties sulle rivendite, inducendo in errore il Fisco.
La buona fede sull’interpretazione fiscale non esclude il dolo specifico
L’errore sul trattamento fiscale delle criptovalute non è una giustificazione valida, poiché la normativa sui redditi da lavoro autonomo era già chiara prima della circolare del 2023.
La Corte ha ribadito che l’ignoranza della legge tributaria non esclude la responsabilità penale, salvo che non si tratti di un errore “inevitabile”.
L’obbligo di dichiarare le criptovalute esisteva già prima della circolare del 2023
L’indagato ha sostenuto che solo nel 2023 è stato introdotto l’obbligo di dichiarare il possesso di criptovalute.
Sul punto, la Corte ha chiarito che:
l’obbligo di dichiarare i redditi in criptovalute esisteva già dal 2021.
la circolare dell’Agenzia delle Entrate non ha introdotto una nuova norma, ma ha solo chiarito regole già in vigore.
Conclusioni
Questa sentenza ha importanti implicazioni pratiche per la tassazione delle criptovalute e la responsabilità penale per dichiarazione infedele:
gli NFT e le criptovalute sono fiscalmente rilevanti e devono essere dichiarati come redditi imponibili, se derivano da attività economiche;
l’omessa dichiarazione di criptovalute può configurare il reato di dichiarazione infedele, se supera le soglie di punibilità previste dall’art. 4 D.Lgs. 74/2000.
l’errore sull’interpretazione fiscale non esclude la responsabilità penale, a meno che non sia dimostrato che fosse “inevitabile”;
chi vende opere digitali tramite NFT e riceve criptovalute deve dichiarare questi proventi come redditi imponibili, altrimenti rischia di incorrere nel reato di dichiarazione infedele.
La massima CED
"Integra il fumus del delitto di dichiarazione infedele l’omessa indicazione, nella dichiarazione dei redditi, dei proventi conseguiti tramite l’accredito di criptovalute, derivanti dalla cessione di opere d’arte o dell’ingegno digitali, incorporate in un non fungible token, nel caso in cui il valore normale dei menzionati proventi, convertiti in valuta corrente, superi le soglie di punibilità previste dal disposto di cui all’art. 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, costituendo l’ammontare di tale accredito reddito imponibile ai sensi degli artt. 53 e 54 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917".