I dati dello Spesometro possono costituire prova nei procedimenti penali per evasione fiscale (Cass. Pen. n. 9999/2025)
- Avvocato Del Giudice
- 18 mar
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Con la sentenza n. 9999/2025, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da F.B., S.C. e S.C., confermando la decisione della Corte d’Appello di Venezia che aveva dichiarato estinti per prescrizione i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. 74/2000) e emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs. 74/2000).
La decisione è particolarmente rilevante perché conferma la legittimità dell’uso dei dati dello Spesometro nei processi penali per reati fiscali, respingendo l’argomento difensivo secondo cui tali informazioni non sarebbero idonee a dimostrare la commissione del reato.
Il caso: reati tributari e contestazioni sull’uso dei dati delle banche dati fiscali
F.B., S.C. e S.C. erano stati indagati per evasione fiscale mediante l’utilizzo di fatture false, con l’accusa di aver creato un sistema fraudolento per abbattere il reddito imponibile e ottenere indebite detrazioni IVA.
La Procura aveva basato le contestazioni sui dati dello Spesometro, evidenziando incongruenze tra le fatture dichiarate e quelle effettivamente registrate nei sistemi della Guardia di Finanza.
Il Tribunale di Verona e successivamente la Corte d’Appello di Venezia avevano dichiarato estinti i reati per prescrizione, senza pronunciarsi sulla fondatezza dell’accusa.
Gli imputati hanno presentato ricorso per cassazione, sostenendo che:
lo Spesometro non sarebbe idoneo a dimostrare il passaggio della fattura dall’emittente all’utilizzatore, requisito essenziale per configurare il reato di dichiarazione fraudolenta;
le presunzioni fiscali non possono automaticamente tradursi in responsabilità penale;
Il giudice avrebbe dovuto pronunciarsi sulla loro effettiva innocenza anziché limitarsi a dichiarare la prescrizione.
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha rigettato i ricorsi, stabilendo che:
1. I dati dello Spesometro possono costituire prova nei reati fiscali
Lo Spesometro non è una mera base presuntiva, ma un insieme di dati oggettivi estratti dalle dichiarazioni IVA e dai flussi finanziari registrati nei sistemi dell’Agenzia delle Entrate.
I giudici possono utilizzare tali dati come base per determinare la commissione del reato, fermo restando l’obbligo di verificarne la coerenza con altre prove.
2. Il giudice non deve dichiarare l’innocenza se non emergono elementi certi di estraneità al reato
Secondo l’art. 129, comma 2, c.p.p., il giudice può assolvere l’imputato nel merito solo se la sua innocenza emerge in modo evidente e incontestabile.
Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che gli elementi probatori non fossero tali da giustificare un’assoluzione piena, ma al tempo stesso non potevano essere approfonditi a causa dell’intervenuta prescrizione.
3. Le dichiarazioni fiscali possono essere accertate anche mediante banche dati
La contestazione dell’avvenuta emissione e utilizzo di fatture false può basarsi su dati digitali e incroci di informazioni finanziarie.
La difesa non può limitarsi a contestare l’uso dello Spesometro, ma deve dimostrare concretamente che i dati non corrispondono alla realtà.
Conclusioni
La sentenza ha affermato in materia di reati tributari:
I dati dello Spesometro possono essere utilizzati come prova nei processi per frode fiscale e dichiarazioni fraudolente.
Le presunzioni fiscali possono assumere rilievo anche in ambito penale, a condizione che siano corroborate da altri elementi di prova.
I giudici non possono dichiarare l’innocenza di un imputato se gli elementi di prova non consentono una valutazione netta in suo favore.
Le aziende e i professionisti coinvolti in accertamenti tributari devono dimostrare attivamente la correttezza delle proprie dichiarazioni, non potendo limitarsi a contestare i metodi di accertamento.