top of page

Codice di procedura penale

Art. 35 c.p.p. Incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugio

Nello stesso procedimento non possono esercitare funzioni, anche separate o diverse, giudici che sono tra loro coniugi, parenti o affini fino al secondo grado.

La Relazione al codice
L'articolo 35 riproduce sostanzialmente l'attuale art. 62 c.p.p. Poiché, in seguito all'ammissione delle donne in magistratura (l. 6 febbraio 1963, n. 66) la previsione deve intendersi riferita anche al coniuge, è stata fatta espressa menzione del rapporto di coniugio.
Nel Progetto del 1978 l'incompatibilità tra parenti e affini era stata portata dal secondo al quarto grado per esigenza di coordinamento con l'ultimo comma dell'art. 19 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12. Concordando con il parere a suo tempo formulato dalla Commissione consultiva, è stata ritenuta eccessiva l'estensione al quarto grado ed è stata riportata la incompatibilità al "secondo grado", anche perché il riferimento all'art. 19 ultimo comma è sembrato scarsamente significativo, visto che questa disposizione concerne la diversa ipotesi di parenti od affini chiamati a far parte del medesimo collegio.
Sul tema in questione si ricorda, infine, che alla disciplina dell'incompatibilità con l'ufficio di giudice popolare provvede l'art. 12 l. 10 aprile 1951, n. 287 sulle corti di assise.
Per quanto riguarda l'astensione e la ricusazione, in assenza di specifiche direttive, è stata dettata una disciplina, desunta dai principi generali regolanti il titolo sul giudice, diretta ad accentuare il carattere giurisdizionale del procedimento conseguente alla ricusazione, ad evitare che la semplice dichiarazione di ricusazione determini l'automatica preclusione del compimento di qualsiasi attività processuale e ad escludere la discrezionalità nella determinazione del giudice che dovrà sostituire quello ricusato.
Seguendo lo schema del Progetto del 1978, è stata rovesciata l'impostazione degli artt. 63 e 64 del vigente codice, in modo da configurare come motivi di astensione le varie ipotesi ora descritte sotto l'art. 64 c.p.p. (concernente i casi di ricusazione); si è poi disposto che, ove non intervenga la dichiarazione di astensione, potrà farsi luogo alla ricusazione.
Tale sistema è stato preferito, oltre che per una esposizione più ordinata della materia, per rendere più incisivo l'obbligo di astensione.

Massime
Cassazione penale , sez. I , 10/07/1995 , n. 4178
Posto che l'incompatibilità prevista dall'art. 35 c.p.p. ricorre solo nel caso che magistrati legati fra loro da rapporto di coniugio, parentela od affinità fino al secondo grado esercitino le loro funzioni nello stesso procedimento, non può dirsi sussistente detta ultima condizione quando, avendo un tribunale di sorveglianza prima concesso e poi revocato una misura alternativa alla detenzione (nella specie, affidamento in prova al servizio sociale) uno dei magistrati legati da vincoli di parentela o affinità o coniugio abbia fatto parte del collegio che aveva adottato il primo provvedimento e l'altro del collegio che ha poi adottato il secondo.

Cassazione penale , sez. I , 29/09/1987
In caso di mero dubbio sulla qualificazione giuridica del fatto, la competenza deve essere attribuita al giudice competente in ordine al reato di maggiore gravità, essendo al giudice superiore consentito dall'art. 477 c.p.p. di dare al fatto una diversa o meno grave definizione giuridica, mentre il contrario non è consentito, per il disposto dell'art. 35 c.p.p., al giudice inferiore. Quando, però, attraverso un esame deliberativo, anche soltanto al fine della competenza, sia possibile pervenire ad un giudizio di evidenza sulla esclusione della configurabilità del reato di maggiore gravità, il conflitto di competenza eventualmente insorto deve essere risolto con l'affermazione di competenza del giudice al quale la legge attribuisce la cognizione del reato.

Cassazione penale , sez. I , 09/02/1987
Il conflitto di competenza, sollevato ai sensi dell'art. 35 c.p.p. nel caso di contrasto tra giudice istruttore e giudice del dibattimento in ordine alla definizione giuridica del fatto-reato, quando da tale definizione dipenda una diversa attribuzione di competenza in favore del giudice superiore, è inammissibile se proposto non nel dibattimento, bensì nella fase degli atti preliminari al dibattimento. Infatti, in questa fase è vietato svolgere qualsiasi attività che importi un preventivo esame di merito, sia pure ai limitati fini della determinazione del giudice competente per materia o per territorio.

Cassazione penale , sez. I , 27/10/1984
Quando un fatto può essere assunto sotto due o più ipotesi di reato di diversa gravità e tali da determinare uno spostamento di competenza e non appare possibile escludere, allo stato degli atti, in maniera certa la sussistenza dell'ipotesi criminosa più grave, deve essere investito della cognizione il giudice di competenza superiore il quale in base anche alle ulteriori acquisizioni probatorie, potrà decidere definitivamente sulla gravità e sulla esatta configurazione giuridica del fatto, essendo solo a lui consentito dall'art. 477 c.p.p. di dare al fatto una diversa o meno grave definizione giuridica, mentre l'opposto non è consentito al giudice inferiore dall'art. 35 c.p.p.

Cassazione penale , sez. IV , 04/02/1981
La natura delibativa della pronuncia della Corte Suprema, emessa ai fini della risoluzione del conflitto, così come impostato dal giudice di merito, sulla base della contrastante qualificazione giuridica del fatto, non spiega effetti al di là del limitato oggetto del suo esame. Ne consegue che dall'ordinamento stesso (art. 35 c.p.p.) scaturisce la possibilità, dopo la risoluzione del conflitto su un tal tema, di una successiva pronuncia di incompetenza del giudice di merito, qualora questi ritenga accertato, a seguito di risultanze processuali acquisite dopo la risoluzione del conflitto, che il fatto ritenuto, sia diverso o più grave rispetto a quello delibato dalla Corte Suprema.

Cassazione penale , sez. I , 03/04/1978
L'art. 35 c.p.p. concerne i casi in cui il giudice del dibattimento ritenga che il reato ecceda la sua competenza, onde non è applicabile quando invece reputi che il reato appartenga alla competenza di un giudice inferiore. Analogamente deve ritenersi che la predetta norma non sia applicabile quando la pronuncia di incompetenza per materia consegua alla ravvisata competenza del tribunale per i minorenni da parte di quello ordinario o viceversa: in tali casi, al pari che nell'ipotesi sopra ricordata nonché in quella di incompetenza ratione loci, gli atti non devono essere trasmessi al p.m. bensì al giudice ritenuto competente. Nelle suddette ipotesi il procedimento non regredisce alla fase istruttoria e non sono applicabili i termini di custodia preventiva previsti per tale fase.

Cassazione penale , sez. I , 10/05/1977
Non si ha un provvedimento abnorme, contrario non tanto a singole disposizioni quanto all'intero sistema processuale, bensì un provvedimento illegittimo ed incompleto, qualora il giudice del dibattimento, dopo aver ritenuto configurabile un reato di competenza superiore per diversità del fatto ovvero per diversa qualificazione giuridica del fatto, rispetto alla contestazione contenuta nella ordinanza di rinvio a giudizio, si limiti a disporre la trasmissione degli atti al p.m. a norma dell'art. 477 c.p.p., anziché procedere ai sensi dell'art. 35 c.p.p., dichiarando con sentenza la propria incompetenza (in caso di diversità del fatto) o sollevando conflitto di competenza (in caso di diversa definizione giuridica del fatto).

bottom of page