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Codice di procedura penale

Art. 39 c.p.p. Concorso di astensione e di ricusazione

La dichiarazione di ricusazione si considera come non proposta quando il giudice, anche successivamente ad essa, dichiara di astenersi e l'astensione è accolta.

Massime
Cassazione penale , sez. V , 28/05/2008 , n. 30608
Il magistrato che sia stato oggetto di istanza di ricusazione non è legittimato ad impugnare i provvedimenti del giudice della ricusazione.

Cassazione civile sez. I, 09/09/2005, n.18066
L'istanza di ricusazione è lo strumento attribuito alla parte per denunciare l'esistenza di una delle situazioni che possono fondare il sospetto della parzialità del giudice ed ha carattere strumentale rispetto alla decisione di merito, sicché, qualora sia stata rimossa la causa sulla quale è fondata, l'istanza è inammissibile, in virtù di un principio generale ricavabile anche dall'art. 39 c.p.p., secondo il quale la ricusazione si considera non proposta quando il giudice, anche successivamente ad essa, dichiara di astenersi e l'astensione è accolta; in detta ipotesi, il venire meno dell'interesse alla ricusazione fa escludere che la parte possa essere condannata al pagamento di un'ammenda ex art. 54, comma 3, c.p.c., nel testo modificato a seguito della sentenza della Corte cost. n. 78 del 2002 (Nella specie, proposta istanza di ricusazione, la Corte di cassazione aveva sollevato q.l.c. degli art. 52, 53 e 54 c.p.c., dichiarata manifestamente infondata da Corte cost. n. 115 del 2005; la causa era stata quindi chiamata innanzi ad un collegio del quale non faceva parte il giudice ricusato e, conseguentemente, la S.C., dopo avere escluso che nella precedente fase fosse stato pronunciato un provvedimento che impediva la modifica del collegio, ha enunciato il succitato principio).

Cassazione penale , sez. VI , 16/04/1997 , n. 1614
In base all'art. 39 c.p.p., la dichiarazione di ricusazione si considera come non proposta in caso di accoglimento della dichiarazione di astensione presentata, anche successivamente, dal giudice ricusato. Ne consegue che, per effetto della legale retrodatazione degli effetti della dichiarazione di astensione rispetto alla ricusazione, si determina l'impossibilità giuridica di prendere in considerazione la dichiarazione di ricusazione, che si ha per non proposta. La caducazione della dichiarazione di ricusazione impone al giudice della impugnazione avverso il provvedimento che ha deciso (nella specie, rigettandola) la dichiarazione di ricusazione, di pronunciare ordinanza di non luogo a provvedere su detto gravame.

Cassazione penale sez. III, 10/10/1996, n.3438
È manifestamente infondata la q.l.c. degli art. 36 comma 3 e 39 c.p.p., in riferimento agli art. 24 comma 1 e 3 comma 1 cost., dedotta in quanto tali norme non abilitano il giudice astenuto o ricusato ad impugnare con ricorso per cassazione il provvedimento che decide sulla dichiarazione di astensione. Infatti, il principio di cui al comma 1 dell'art. 24 cost., secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, non esclude forme differenziate di tutela giurisdizionale, ovvero non richiede necessariamente che la tutela si eserciti con un solo mezzo; in particolare, il giudice che ha presentato istanza di astensione non può impugnare la decisione sulla astensione che abbia leso i suoi diritti o interessi legittimi, ma ha a disposizione altri mezzi di tutela di tipo amministrativo (cioè di tipo conforme al carattere del procedimento di astensione), nè può venire in rilievo il comma 2 dello stesso art. 24, secondo cui il diritto di difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo, giacché il giudice che dichiara di astenersi non diventa parte nel procedimento incidentale che ne deriva, sicché il medesimo non può ritenersi titolare del diritto di difesa processuale. Nemmeno può dirsi violato il principio di eguaglianza o ragionevolezza di cui all'art. 3 comma 1 poiché, in base alla natura giurisdizionale del procedimento di ricusazione e alla natura amministrativa interna del procedimento di astensione, appare logicamente giustificata la disparità di trattamento fra il giudice ricusato, il quale può ricorrere in Cassazione contro la decisione di merito, e il giudice astenuto, al quale non è attribuito il potere di impugnare la decisione sull'astensione. (Nella specie il pretore non si lamentava del provvedimento presidenziale che aveva accolto la sua dichiarazione di astensione, ma si doleva soltanto della motivazione con cui il presidente aveva ritenuto sussistere anche la causa di ricusazione di cui alla lettera b) dell'art. 37 c.p.p., per avere il pretore medesimo manifestato indebitamente il suo convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione. La S.C. ha osservato che questa proposizione era in effetti estranea alle necessità motivazionali, ma se il pretore voleva contestarla in quanto lesiva del suo onore o della sua reputazione professionale, aveva a disposizione mezzi giuridici diversi dal ricorso in cassazione contro il decreto presidenziale, che è un rimedio che l'ordinamento processuale non prevede e che la Carta costituzionale non impone).

Cassazione penale , sez. VI , 23/04/1993
Il magistrato che sia stato oggetto di istanza di ricusazione non è legittimato a impugnare i provvedimenti del giudice della ricusazione emessi a norma degli artt. 41 commi 2 e 3 e 39 c.p.p., essendo principio fondamentale dell'ordinamento processuale che il giudice non può essere nello stesso tempo parte, nè divenire controinteressato rispetto alle istanze delle parti private, siccome portatore di esigenze personali, da far valere in sede del procedimento incidentale e, conseguentemente, in sede di gravame.

Cassazione penale , sez. II , 08/04/1993
Ai fini della determinazione della competenza territoriale per il reato continuato, in base all'art. 39 c.p.p. del 1930, il reato più grave tra quelli unificati dal vincolo della continuazione va ravvisato nel reato che per titolo, grado e circostanze risulti in astratto e non già in concreto di maggiore gravità. Ciò in quanto la stessa espressione letterale del reato più grave, di cui alla norma succitata, contiene un concetto più ampio ed elastico rispetto alla diversa locuzione violazione più grave usata dal legislatore nell'art. 81 c.p.

Cassazione penale , sez. IV , 22/01/1992
Nel caso di reato commesso in parte in Italia ed in parte all'estero, al fine di individuare il luogo ove fu realizzata la parte commessa in Italia va fatto riferimento ai criteri generali previsti dall'art. 39 c.p.p. 1930 e se tali criteri non consentono la determinazione della competenza va fatto riferimento a quelli suppletivi previsti dal successivo art. 40 comma 1, che vanno applicati gradualmente. Qualora siano inapplicabili i criteri generali e quelli suppletivi indicati per primi secondo l'ordine di elencazione, trova applicazione l'ultimo criterio suppletivo, ossia il luogo ove fu compiuto il primo atto del procedimento, da individuarsi non secondo un giudizio di valore dell'atto, desunto dallo spessore dell'impegno del p.m., bensì in base al parametro della direzione univoca dell'atto stesso, ossia scegliendo l'atto univocamente proteso all'esplorazione delle ipotesi di reato (nella specie omicidio volontario).

Pretura , Milano , 04/10/1989
I criteri che presiedono alla individuazione del giudice territoriale competente per la repressione del comportamento antisindacale, ex art. 28, comma 1 dello Statuto dei lavoratori, sono diversi da quelli che individuano il giudice competente ex art. 28, penultimo comma dello Statuto dei lavoratori, essendo questi ultimi, quelli di cui all'art. 39 c.p.p. Pertanto, poiché nella specie il comportamento attuativo della decisione di non reintegrare i lavoratori - coincidente con il momento consumativo della fattispecie penale di cui all'art. 28, penultimo comma della legge n. 300 del 1970 - si è esplicato negli uffici dell'Alfa Lancia di Arese che insistono, secondo la documentazione planimetrica fornita, sul territorio di Rho, deve ritenersi competente il pretore di Rho a decidere sul reato d'inottemperanza al decreto di reintegrazione dei lavoratori nel posto di lavoro.

Cassazione penale , sez. I , 23/01/1989
Il luogo attraverso il quale si determina la competenza per territorio non può essere individuato automaticamente sulla base delle dichiarazioni dell'imputato che non abbiano trovato un riscontro e non abbiano subito un controllo di attendibilità, soprattutto quando si tratta di dichiarazioni vaghe e reticenti. Ne consegue che quando non è possibile individuare, in base a tali dichiarazioni, il luogo cui l'art. 39 c.p.p. ricollega in via principale la competenza per territorio, deve farsi ricorso ai criteri sussidiari indicati nell'art. 40 stesso codice.

Cassazione penale , sez. I , 12/01/1989
Le regole per la determinazione della competenza territoriale, dettate dall'art. 39 c.p.p. per il reato continuato (così come quelle in materia di connessione), trovano applicazione nella sola fase istruttoria. Qualora i procedimenti siano invece pervenuti alla fase dibattimentale, ciascun giudice deve giudicare il fatto sottoposto al suo esame, salvo che vi siano le condizioni per far luogo all'applicazione dell'art. 413.

Cassazione penale , sez. VI , 27/06/1988
In tema di associazione per delinquere prevista dall'art. 75 l. 22 dicembre 1975 n. 685, qualora non sia possibile determinare (a causa dell'assoluta incertezza degli elementi fattuali dai quali sia deducibile il luogo d'inizio della consumazione del reato o in difetto di una qualsiasi prova al riguardo), il giudice territoriale competente in base al criterio generale e principale fissato dall'art. 39 c.p.p. in ordine a reato di natura permanente, qual'è appunto quello sopra indicato, vanno applicati i criteri sussidiari stabiliti dall'art. 40 stesso codice.

Cassazione penale , sez. I , 17/12/1987
L'elemento materiale della contravvenzione di lottizzazione abusiva va individuato nella scomposizione dell'originario appezzamento in più lotti per scopi edilizi. Tale scomposizione può avvenire o mediante la costruzione simultanea di una serie di edifici o con la realizzazione di opere di urbanizzazione o con iniziative negoziali di vendite plurime di parti del terreno. Pertanto la condotta illegittima, pur nella sua unitarietà, può essere attuata in forme e momenti diversi, cosicché appare configurabile la figura del reato progressivo nell'evento. Quest'ultimo va individuato nella lesione dell'interesse urbanistico protetto. Ne consegue che, ai sensi dell'art. 39 c.p.p., il reato si consuma nel luogo ove si trovano i terreni lottizzati, indipendentemente da quello ove è stata realizzata la condotta.

Cassazione penale , sez. I , 30/06/1986
La procedura concorsuale, intervenuta successivamente alla commissione del falso in bilancio se da un lato va ad incidere sulla pena edittale di detto reato - che, perciò, viene accresciuta fino a divenire edittalmente eguale a quella della bancarotta fraudolenta, tuttavia non fa venir meno l'autonomia del reato societario, il cui perfezionamento non è influenzato dalla sentenza dichiarativa di fallimento o di ammissione al concordato preventivo. Ne consegue che - qualora all'imputato siano stati contestati, con il vincolo della continuazione, due distinti reati, di cui uno previsto dagli artt. 2621 e 2640 c.c. e l'altro previsto dagli artt. 236 comma 2 e 223 comma 1 l. fall. - per la determinazione della competenza per territorio si deve aver riguardo al luogo del primo dei reati commessi di pari qualità, secondo le regole previste dal comma 4 dell'art. 39 c.p.p.

Cassazione penale , sez. I , 05/03/1986
Le regole per la determinazione della competenza territoriale dettate dall'art. 39 c.p.p. per il reato continuato, trovano applicazione soltanto nella fase istruttoria - allorché, invece, uno solo dei procedimenti sia previsto alla fase dibattimentale, ciascun giudice deve giudicare l'episodio sottoposto al suo esame, non essendovi possibilità di far luogo all'applicazione dell'art. 413 c.p.p. e non potendosi estendere l'indagine di merito, relativamente al nesso della continuazione, a fatti attribuito alla cognizione di un giudice diverso.

Cassazione penale , sez. I , 30/10/1985
Per determinare la competenza per territorio in caso di reato continuato, se il reato più grave sia stato perpetrato in condizioni di luogo che non consentano riferimenti di competenza territoriale interna, deve farsi ricorso alle regole di cui all'art. 40 c.p.p. che si applica anche al reato continuato e a quello permanente, pur se specificamente contemplati dell'art. 39 c.p.p., ove tale specificità non giovi ai fini della individuazione del foro competente per territorio. (Nella fattispecie il reato più grave era stato commesso a bordo di una nave mercantile italiana, in navigazione nelle acque territoriali di uno Stato estero).

Cassazione penale , sez. I , 18/03/1985
Per la determinazione della competenza per territorio, nel caso in cui i reati siano uniti dal vincolo della continuazione, sono applicabili non già le regole sulla connessione dei procedimenti, bensì quelle sul reato continuato, in quanto le singole violazioni di legge, riunite dalla identità del disegno criminoso, non possono, ai fini della competenza, essere considerate distintamente, ostandovi il chiaro disposto dell'art. 39 c.p.p. che disciplina, per l'appunto, il caso del reato continuato.

Cassazione penale sez. I, 18/03/1985
Nell'accertamento della competenza, la Corte di cassazione non incontra il suo normale limite istituzionale del divieto di valutazione del merito, ma può apprezzare liberamente il fatto, sempre al fine suddetto e sulla base di una sommaria deliberazione delle risultanze di causa, sia pure allo stato degli atti. In particolare, quando uno (o più giudici) esprimano valutazioni negative (o difformi) in ordine alla sussistenza del vincolo della continuazione, compete alla Corte di cassazione, in sede di risoluzione del conflitto, stabilire se il predetto nesso sia, oppure no, sussistente con un accertamento che esige necessariamente un'indagine di merito, con pronuncia vincolante e definitiva solo per ciò che concerne la competenza, per la determinazione della competenza per territorio, nel caso in cui i reati siano uniti dal vincolo della continuazione, sono applicabili non già le regole sulla connessione dei procedimenti, bensì quelle sul reato continuato, in quanto le singole violazioni di legge, riunite dalla identità del disegno criminoso, non possono, ai fini della competenza, essere considerate distintamente, ostandovi il chiaro disposto dell'art. 39 c.p.p. che disciplina, per l'appunto, il caso del reato continuato. Il giudice, specialmente nella fase istruttoria, ha il dovere di adeguare la contestazione all'evolversi della situazione istruttoria e bene può rilevare, ove ne sussistano i presupposti, il nesso di continuazione, traendone tutte le conseguenze, anche processuali e in tema di competenza che dal detto riconoscimento derivano. Nè a questo adempimento è di ostacolo la mancanza di formale unificazione della contestazione, perché i vari reati saranno oggetto di contestazione unitaria ex art. 81 c.p. da parte del giudice, cui è attribuita la cognizione di tutti gli episodi delittuosi da sussumere nella continuazione stessa.

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