1. In seguito alla presentazione della richiesta di rimessione il giudice può disporre con ordinanza la sospensione del processo fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta. La Corte di cassazione può sempre disporre con ordinanza la sospensione del processo.
2. Il giudice deve comunque sospendere il processo prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione e non possono essere pronunciati il decreto che dispone il giudizio o la sentenza quando ha avuto notizia dalla Corte di cassazione che la richiesta di rimessione è stata assegnata alle sezioni unite ovvero a sezione diversa dall'apposita sezione di cui all'articolo 610, comma 1. Il giudice non dispone la sospensione quando la richiesta non è fondata su elementi nuovi rispetto a quelli di altra già rigettata o dichiarata inammissibile.
3. La sospensione del processo ha effetto fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che rigetta o dichiara inammissibile la richiesta e non impedisce il compimento degli atti urgenti.
4. In caso di sospensione del processo si applica l'articolo 159 del codice penale e, se la richiesta è stata proposta dall'imputato, sono sospesi i termini di cui all'articolo 303, comma 1. La prescrizione e i termini di custodia cautelare riprendono il loro corso dal giorno in cui la Corte di cassazione rigetta o dichiara inammissibile la richiesta ovvero, in caso di suo accoglimento, dal giorno in cui il processo dinanzi al giudice designato perviene al medesimo stato in cui si trovava al momento della sospensione. Si osservano in quanto compatibili le disposizioni dell'articolo 304.
Massime
Cassazione penale , sez. I , 11/01/2022 , n. 2560
La sospensione del processo a seguito della presentazione, da parte di uno dei coimputati, della richiesta di rimessione si estende a tutte le posizioni processuali e al computo dei termini di custodia cautelare per ciascun imputato, essendo posta in discussione l'esistenza delle inderogabili condizioni che permettono il regolare svolgimento del processo in quella sede giudiziaria. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto non affetta da abnormità la decisione del giudice dell'udienza preliminare di sospendere il processo in mancanza della notifica alle altre parti processuali della istanza di rimessione).
Cassazione penale , sez. II , 19/05/2005 , n. 25012
Nell'ipotesi di reiterazione di istanza di rimessione del processo, analoga ad una richiesta già dichiarata inammissibile, il giudice può disporre la prosecuzione del giudizio, ai sensi del comma 1 dell'art. 47 c.p.p., anche in pendenza della pronuncia che decida sull'inammissibilità o il rigetto della proposta. (Fattispecie in cui la Corte ha sottolineato come tale interpretazione appaia conforme alla modifica normativa introdotta con la l. n. 248 del 2002, in quanto diretta a contrastare l'uso strumentale della richiesta di rimessione per fini pretestuosi e la conseguente possibilità di determinare per l'imputato la paralisi del procedimento).
Corte Costituzionale, 23/07/2004, n.268
Sono manifestamente inammissibili le q.l.c. dell'art. 47 c.p.p., come modificato dalla l. 7 novembre 2002 n. 248, censurato, in riferimento agli art. 3, 111 comma 2, 97 e 112 cost., nella parte in cui prevede la sospensione obbligatoria del processo prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione e comunque prima della pronuncia della sentenza. Premesso che dalla formulazione dell'art. 47 comma 2 c.p.p. emerge che il giudice deve disporre la sospensione del processo solo in presenza della duplice condizione che il processo stia per entrare in una fase processuale particolarmente "qualificata" (prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione, prima della pronuncia del decreto che dispone il giudizio o della sentenza) e che al giudice stesso sia pervenuta la notizia che la richiesta di rimessione è stata assegnata alle sezioni unite o, comunque, ad una sezione competente a decidere nel merito, fermo restando che il giudice non deve disporre la sospensione se ritiene che la richiesta non sia fondata su elementi nuovi rispetto ad altra richiesta già rigettata o dichiarata inammissibile, i remittenti hanno sollevato le questioni subito dopo che la richiesta di rimessione è stata depositata in cancelleria, senza trasmetterla alla Corte di cassazione secondo quanto disposto dall'art. 46 comma 3 c.p.p, rendendo così impossibile il verificarsi della seconda condizione a cui è subordinata l'operatività della sospensione obbligatoria del processo, sicché le questioni risultano prive di rilevanza, perché sollevate in un momento in cui i rimettenti non erano chiamati a fare applicazione della disciplina censurata.
Tribunale , Trani , 06/05/2003
Non è manifestatamente infondata la q.l.c. degli art. 45 e 47 c.p.p. - novellati dalla l. n. 248 del 2002 - in relazione agli art. 3, 25, 97 e 111 cost.
Corte Costituzionale , 02/11/1996 , n. 376
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli art. 3, 97 comma 1, 101 comma 2 cost., dell'art. 47 c.p.p. La norma denunciata è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la sent. n. 353 del 1996.
Tribunale , Trieste , 09/01/1996
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 c.p.p., in relazione agli art. 3, 97, 101 comma 2 e 112 cost.
Tribunale , Como , 18/05/1989
In tema di reati connessi, la competenza territoriale a conoscere dell'unico procedimento nel quale siano confluiti i diversi reati in contestazione, deve essere determinata con riferimento al luogo di consumazione del reato più grave fra quelli in esame secondo i criteri stabiliti dall'art. 47 c.p.p.
Cassazione penale , sez. VI , 22/04/1989
In tema di contrabbando, la norma dell'art. 21 l. 7 gennaio 1929, n. 4, secondo cui competente a giudicare i reati finanziari è il giudice del luogo in cui è stata constatata la violazione, non deroga alla norma di cui all'art. 47 c.p.p., la quale dispone che nell'ipotesi di connessione fra più reati, la competenza territoriale per il giudizio appartiene al giudice del luogo in cui è stato commesso il maggior numero di reati, ovvero, il reato più grave.
Cassazione penale , sez. I , 03/06/1988
L'individuazione del reato più grave, per gli effetti di cui all'art. 47 c.p.p., va eseguita sulla scorta delle regole di cui all'art. 32 comma 2 c.p.p. che, pur se dettata in tema di competenza per materia, è tuttavia applicabile anche al caso nel quale la maggiore gravità di uno dei reati influisce sulla competenza per territorio; pertanto, a seguito del nuovo testo del comma 2 dell'art. 32 non può tenersi conto delle circostanze aggravanti comuni e della recidiva. (In tema di conflitto di competenza per territorio sollevato sulla base di ritenute insussistenti alcune aggravanti; la Corte ha risolto il conflitto sulla base dell'enunciato principio).
Cassazione penale , sez. I , 25/01/1988
Per l'individuazione del giudice competente per territorio, ai sensi dell'art. 47 c.p.p., nel caso di reati connessi, è applicabile, al fine di stabilire quale sia il reato più grave, la regola dettata, in tema di competenza per materia, dall'art. 32 comma 2 c.p.p., che esclude dal computo la recidiva e le circostanze aggravanti, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria per il reato e di quelle ad effetto speciale.
Cassazione penale , sez. I , 05/05/1986
L'alterazione delle bolle di accompagnamento delle merci è orientata verso una serie di operazioni - scritture contabili e bilanci - sorrette da una vincolazione causale che comporta una pluralità di episodi, non scomponibili sul piano oggettivo, per i quali - a norma dell'art. 47 c.p.p. (effetti della connessione sulla competenza per territorio) - si impone la trattazione cumulativa davanti al medesimo giudice, rendendosi operativa la deroga al regime di competenza per territorio. Pertanto il giudice competente è quello della circoscrizione nella quale fu commesso il reato più grave o in caso di parità, il maggior numero di reati.
Cassazione penale , sez. I , 25/02/1986
Nel caso che con reati di pari gravità e numero concorrano reati meno gravi deve provvedersi alla determinazione del giudice competente a norma dell'art. 47 c.p.p. In relazione al reato che nell'ordine di gravità viene immediatamente dopo i primi, qualora nell'ordine della gravità sussistano più fatti criminosi di pari gravità commessi in pari numero nell'ambito di fori concorrenti deve passarsi a considerare il più grave dei reati rimanenti ed il loro numero nei diversi fori, fino ad esaurimento di detto criterio. Soltanto nel caso in cui, esaurito il criterio sopra precisato, non possa individuarsi il giudice territorialmente competente può farsi luogo alla designazione del giudice ai sensi dell'art. 48 c.p.p.
Cassazione penale , sez. I , 05/03/1984
Qualora, in tema di associazione per delinquere, manchi la prova del momento costitutivo dell'associazione ed il luogo ove lo stesso si è realizzato, ai fini della determinazione della competenza territoriale non deve farsi ricorso ai criteri sussidiari indicati dall'art. 40 c.p.p., in quanto, esistendo reati connessi, la competenza stessa va determinata secondo i criteri fissati dall'art. 47 c.p.p. Ne consegue, che quando non è individuabile il reato più grave la determinazione del giudice competente va effettuata in relazione graduale al reato meno grave e, quindi, osservando rispetto a tale reato (o gruppi di reati) gli stessi criteri posti dalla norma su indicata e cioè dall'art. 47 c.p.p.
Cassazione penale , sez. I , 29/06/1983
Il reato di associazione per delinquere ha natura di reato permanente, per cui, a norma dell'art. 39 comma 3 c.p.p. la competenza va determinata con riferimento al luogo in cui ebbe origine la consumazione e cioè al luogo ove, a seguito dell'accordo di tre o più persone, risulta costituito quel vincolo associativo teso alla attuazione dell'accordo stesso. Ne consegue che, in mancanza della prova del momento costitutivo dell'associazione e prima di ricorrere ai criteri sussidiari, indicati dall'art. 40 c.p.p., se si tratta anche di reati con essa connessi, la competenza va determinata secondo i criteri fissati dall'art. 47 c.p.p.
Cassazione penale , sez. V , 02/05/1983
Nella valutazione della gravità dei reati connessi agli effetti dell'art. 47 c.p.p. va osservata la norma di cui all'art. 32 c.p.p., che esclude dal calcolo gli aumenti di pena dipendenti dall'art. 61 n. 2 c.p. e dalla recidiva. Questa norma, pur se dettata in ordine alla competenza per materia, stante l'identità della ratio legis, è applicabile anche per il caso in cui la maggior gravità di uno dei reati influisce sulla competenza territoriale.
Cassazione penale , sez. I , 17/03/1982
Nel caso di reati connessi attribuiti alla cognizione del giudice territoriale individuato ai sensi dell'art. 47 c.p.p., l'entrata in vigore di una norma di diritto sostanziale, attenuatrice della gravità del reato che aveva determinato l'individuazione stessa, può comportare modificazione nella competenza territoriale, col solo limite preclusivo, fissato dall'art. 42 c.p.p.. (Fattispecie in tema di ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive).
Cassazione penale , 02/09/1981
L'art. 48 ter c.p.p. fissa il principio della immodificabilità della competenza ordinaria per i procedimenti connessi con quello riguardante magistrati, ma non esclude affatto che, in senso inverso, la competenza automatica di cui all'art. 41 bis c.p.p. possa subire deroghe per ragioni di connessione. Pertanto i procedimenti riguardanti magistrati non si sottraggono alle regole generali sulla connessione quando delle stesse ricorrano i presupposti; con la conseguenza della possibile applicazione dei criteri di spostamento della ordinaria competenza territoriale fissati dall'art. 47 c.p.p., unico limite alla operatività della connessione essendo quello dell'eventualità che il procedimento riguardante un magistrato sia attratto nella sede dell'ufficio giudiziario ove il medesimo svolga le sue funzioni, nel quale caso trova applicazione il criterio automatico di determinazione della competenza per territorio contenuto nell'art. 41 bis c.p.p.
Cassazione penale , 02/09/1981
Sussiste connessione teleologica ex art. 45 n. 2 c.p.p. che giustifica lo spostamento di competenza territoriale a norma dell'art. 47 c.p.p. tra reati-programma, quali l'associazione per delinquere e la cospirazione politica, e i vari reati-fine per la cui commissione l'associazione o la cospirazione si sono realizzate.
Cassazione penale , sez. III , 06/11/1978
Il parametro edittale di gravità del reato, costituito dalla pena massima per esso comminata, è valido per determinare gli effetti della connessione dei reati sulla competenza per territorio (art. 47 c.p.p.) e per la determinazione della pena in astratto irrogabile in caso di concorso formale o continuazione eterogenea tra i reati (art. 81, nuovo testo, c.p.): tale parametro non può però esplicare influenza quando, nel corso del processo, la valutazione di maggior gravità tra due reati punibili nel minimo con pena diversa abbia trovato concreta espressione nella punizione del reo con la sanzione corrispondente al minimo più elevato.
Cassazione penale , sez. I , 04/05/1978
Nel caso di omicidio colposo plurimo ricorre un concorso formale di reati e non già un reato continuato, il quale presuppone la unicità del disegno criminoso. Pertanto, essendosi qui in presenza di una pluralità di eventi ricollegabili, con un rapporto di causalità, ad una condotta imprudente, deve, ai fini della individuazione del giudice territorialmente competente, valere la disposizione consacrata nell'art. 47 c.p.p.
Cassazione penale , sez. I , 19/12/1977
Anche ai fini dell'applicazione dell'art. 47 c.p.p. il reato continuato deve essere considerato in modo unitario, nel senso che, per individuare il luogo di commissione del più grave tra vari reati connessi, ove tra questi vi siano uno o più reati continuati, la continuazione, pur non avendo rilievo ai fini della maggiore gravità (dovendosi a tal fine tener conto solo della pena irrogabile per il reato base, senza calcolare l'aumento sino al triplo) vale ad individuare il luogo di consumazione del reato più grave, quando esso sia quello continuato. Nella specie, si è ritenuto che, secondo la disciplina vigente prima della l. n. 534 del 1977, trattandosi di procedimento già in corso alla data di entrata in vigore di tale legge, competente fosse il giudice del luogo di cessazione della continuazione.