1. Le funzioni di pubblico ministero sono esercitate:
a) nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado, dai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale [o presso la pretura];
b) nei giudizi di impugnazione dai magistrati della procura generale presso la corte di appello o presso la corte di cassazione.
2. Nei casi di avocazione, le funzioni previste dal comma 1 lettera a) sono esercitate dai magistrati della procura generale presso la corte di appello.
Nei casi di avocazione previsti dall'articolo 371-bis, sono esercitate dai magistrati della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.
3. Le funzioni previste dal comma 1 sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente a norma del capo II del titolo I.
3-bis. Quando si tratta dei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416, sesto e settimo comma, 416, realizzato allo scopo di commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 12, commi 1, 3 e 3-ter, e 12-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474, 600, 601, 602, 416-bis, 416-ter, 452-quaterdecies e 630 del codice penale, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti previsti dall'articolo 74 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, dall'articolo 291-quater del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, le funzioni indicate nel comma 1 lettera a) sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.
3-ter. Nei casi previsti dal comma 3-bis e dai commi 3-quater e 3-quinquies, se ne fa richiesta il procuratore distrettuale, il procuratore generale presso la corte di appello può, per giustificati motivi, disporre che le funzioni di pubblico ministero per il dibattimento siano esercitate da un magistrato designato dal procuratore della Repubblica presso il giudice competente (6).
3-quater. Quando si tratta di procedimenti per i delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo le funzioni indicate nel comma 1, lettera a), sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.
3-quinquies. Quando si tratta di procedimenti per i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 414-bis, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609-undecies, 615-ter, 615-quater, 615-quinquies, 617-bis, 617-ter, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 640-ter e 640-quinquies del codice penale, le funzioni indicate nel comma 1, lettera a), del presente articolo sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.
Corte Costituzionale , 30/07/2021 , n. 178
È illegittimo l' art. 24, comma 1, lett. d), d.l. n. 113/2018 , conv. in l. n. 132/2018 , che ha aggiunto la truffa aggravata di cui all' art. 640-bis c.p. ai delitti dell' art. 51, comma 3-bis, c.p.p. per i quali la condanna, anche non definitiva, purché confermata in appello, fa scattare la comunicazione interdittiva antimafia. A differenza dei reati più gravi di cui all' art. 51 c.p.p. , il delitto non ha natura associativa, non richiede la presenza di un'organizzazione e è punito con pene più lievi. Si tratta di una misura sproporzionata rispetto al contrasto all'attività mafiosa, tale da provocare danni elevati alla libertà di iniziativa economica.
Cassazione penale sez. VI, 17/09/2020, n.27216
L'art. 275 c.p.p., comma 3, preveda, in caso di reato rientrante nel novero della previsione dell'art. 51 c.p.p., comma 3-bis, (come appunto quello ex d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74 contestato al ricorrente per partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata all'attività di narcotraffico), una duplice presunzione: di pericolosità sociale dell'indagato, oggettivamente dipendente dal delitto di cui all'imputazione provvisoria ed avente carattere relativo, in quanto superabile dal giudice allorché accerti la mancanza di una qualunque esigenza cautelare; di adeguatezza della sola misura carceraria, anch'essa di natura solo relativa, potendo essere evinta nell'ipotesi in cui il giudice, in relazione al caso concreto, ritenga che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure. In particolare, la prima presunzione - si ribadisce, di carattere relativo - può essere soverchiata allorché emergano elementi che siano tali da dimostrare l'assenza dei pericula libertatis; fra gli elementi da valutare a detto fine rientra anche il fattore temporale che, qualora sia di notevole consistenza, impone al giudice di indicare specifici elementi di fatto idonei a dimostrare l'attualità delle esigenze cautelari.
Cassazione penale , sez. VI , 24/06/2020 , n. 21055
In tema di riesame della misura cautelare, quando il reato è aggravato ai sensi dell'art. 416-bis.1 c.p., trova applicazione il cbn. disp. dell' art. 275 c.p.p. , comma 3 e art. 51 c.p.p. , comma 3-bis che, secondo l'elaborazione giurisprudenziale più recente di questa Corte di legittimità, comporta che il decorso del tempo può e deve essere certamente valutato ma in via residuale, atteso che la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari può essere superata solo a seguito di riscontrati elementi di cesura con il contesto associativo criminale di riferimento, ove costituente espressione di una delle cd. mafie storiche, sia pure delocalizzato rispetto alle zone di originario radicamento territoriale.
Cassazione penale , sez. un. , 23/03/2017 , n. 39746
Il tribunale del capoluogo del distretto che, in fase dibattimentale, dichiari la propria incompetenza per materia in relazione ad un reato attribuito alla competenza della corte di assise ai sensi dell'art. 5, comma 1, lett. d-bis) c.p.p. e ricompreso nell'elenco di cui all' art. 51, comma 3-bis, c.p.p. , deve trasmettere gli atti direttamente alla corte di assise e non al pubblico ministero presso tale giudice, a condizione che la competenza non appartenga a un giudice (corte di assise) di altro distretto e le funzioni di pubblico ministero e di giudice dell'udienza preliminare siano state svolte ai sensi degli artt. 51, comma 3-bis, e 328, comma 1-bis, c.p.p. (In motivazione la S.C., in linea con quanto affermato dalla sentenza della C. cost. n. 104 del 2001 , ha chiarito che in tale ipotesi non sussiste la necessità della regressione del procedimento e di nuova celebrazione dell'udienza preliminare, avendo le parti già potuto liberamente esercitare i propri diritti in quella precedente, legittimamente svoltasi dinanzi al giudice naturale, e palesandosi la ripetizione dell'udienza preliminare come adempimento in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo).
Cassazione penale , sez. III , 21/05/2014 , n. 30579
Nell'ipotesi di rinnovazione del dibattimento celebrato a carico di più imputati, a cui non a tutti è stato contestato uno dei delitti indicati dall'art. 51 c.p.p. comma terzo bis, la previsione dell'art. 190-bis c.p.p., che, derogando alla regola generale in tema di diritto alla prova, subordina nuovo esame della fonte dichiarativa già escussa (nel contraddittorio con l'interessato) alla condizione che esso verta su fatti o circostanze diverse da quelle già oggetto di precedenti dichiarazioni ovvero sia ritenuto necessario 'sulla base di specifiche esigenze', trova applicazione non soltanto nei confronti dell'imputato a cui è stato specificamente contestato il reato 'derogante' ma anche nei confronti degli altri, posto che tanto il testo della disposizione ( 'nel procedimento per taluno dei delitti…') quanto il suo fondamento funzionale (connesso alla prevenzione del rischio di usura della fonte di prova in peculiari procedimenti) ne escludono una lettura 'personalizzata'.
Tribunale , Catanzaro , sez. II , 25/11/2008
In presenza del dettato della disposizione di cui all'art. 328 c.p.p., comma 1 bis, non può ritenersi l'incompetenza del g.i.p. distrettuale nell'ipotesi che lo stesso, in sede di applicazione della misura cautelare richiesta, non ravvisi l'esistenza del cd. metodo mafioso, atteso che il procedimento prosegue con riferimento all’originaria imputazione, e che le indagini continuano ad essere effettuate dalla Procura Distrettuale Antimafia e continuano ad avere ad oggetto un’ipotesi di reato compresa nell'elenco di cui all'art. 51 c.p.p., comma 3 bis.
Tribunale , Palermo , sez. riesame , 11/06/2007
L’art. 51 c.p.p. (disposizione già vigente all’atto dell’istituzione del c.d. T.d.L.) va coordinato con le disposizioni in materia di ordinamento giudiziario di cui agli art. 2 e 70, che indicano espressamente il principio di ordine generale relativo alla distribuzione delle funzioni tra i vari uffici del p.m., stabilendo la regola per cui la competenza funzionale degli stessi è di carattere derivato in quanto sempre connessa a quella del giudice presso il quale l'ufficio giudiziario competente ad emettere la decisione è costituito.
Consiglio di Stato , sez. VI , 23/10/2006 , n. 6270
L'iniziativa intrapresa dalla Commissione giudicatrice di un concorso di trasmettere le carte all'a.g. affinché accerti l'eventuale rilevanza penale delle affermazioni espresse da un candidato in un'istanza di ricusazione della Commissione rappresenta una reazione sproporzionata, tanto da far pensare ad un atteggiamento di ostilità o quantomeno di malanimo nei confronti del candidato, con la conseguenza che fa venir meno nella Commissione quelle condizioni di serenità necessarie per un esercizio obiettivo ed imparziale del proprio potere di valutazione, così realizzandosi quella situazione di grave inimicizia di cui all'art. 51, c.p.c.
Cassazione penale , sez. IV , 09/03/2006 , n. 17386
Il comma 3 bis dell'art. 51 c.p.p. istituisce per i reati in esso elencati una deroga agli ordinari criteri di determinazione della competenza per territorio, di carattere assoluto, con prevalenza della attribuzione al giudice del capoluogo distrettuale su qualunque altra regola di individuazione della competenza. Ne consegue, in deroga al principio fissato nel comma 1 dell'art. 16 c.p.p., che il procedimento concernente un reato compreso nell'elencazione della norma esercita una vis actractiva rispetto ai procedimenti connessi che riguardino reati estranei a detta previsione, anche quando questi ultimi siano più gravi del primo.
Cassazione penale , sez. I , 01/03/2006 , n. 12141
In tema di competenza territoriale, l'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. prevede, limitatamente ai reati in esso contemplati, una deroga assoluta ed esclusiva alle ordinarie regole sulla competenza per territorio. E tale norma esercita una vis actractiva nei confronti dei reati connessi, che esulino dalla previsione normativa, anche quando risultino di maggiore gravità. Ne consegue che la competenza della procura distrettuale, legittimamente radicata in relazione ad un delitto previsto dall'art. 51, comma 3-bis, si estende a tutti i reati connessi e agli imputati nello stesso procedimento .
Cassazione penale , sez. I , 18/05/2005 , n. 21354
L'art. 51 comma 3 bis c.p.p. prevede, limitatamente ai reati in esso contemplati, una deroga assoluta ed esclusiva alle regole sulla competenza per territorio, anche fuori degli ambiti distrettuali, e stabilisce una vis attractiva di essi nei confronti dei reati connessi, che esulino dalla previsione normativa, anche se si palesino di maggiore gravità, di talché la competenza legittimamente radicata in relazione ad un delitto previsto dall'art. 51 comma 3 bis, si estende a tutti i reati connessi e agli imputati giudicati nello stesso procedimento.
Cassazione penale , sez. VI , 04/12/2003 , n. 2850
Il comma 3 bis dell'art. 51 c.p.p. istituisce per i reati in esso elencati una deroga agli ordinari criteri di determinazione della competenza per territorio, di carattere assoluto, con prevalenza della attribuzione al giudice del capoluogo distrettuale su qualunque altra regola di individuazione della competenza. Ne consegue, in deroga al principio fissato nel comma 1 dell'art. 16 c.p.p., che il procedimento concernente un reato compreso nell'elencazione della norma esercita una vis actractiva rispetto ai procedimenti connessi che riguardino reati estranei a detta previsione, anche quando questi ultimi siano più gravi del primo. (Fattispecie relativa ad un caso di concorso tra il delitto associativo di cui all'art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, posto in essere in un determinato distretto, e alcuni più gravi reati di importazione di stupefacenti, realizzati dagli associati e consumati in distretti diversi: la Corte ha ritenuto competente il giudice del capoluogo del distretto comprendente il luogo di costituzione dell'ente associativo).
Cassazione civile sez. III, 02/08/2004, n.14770
Il c.p.p. del 1988 detta la regola, innovativa e generale, dell'autonomia tra il giudizio civile e quello penale, regola rispetto alla quale le norme di cui agli art. 651 e 652 c.p.p. costituiscono, pertanto, altrettante eccezioni. Esse, unitamente con i successivi art. 653 e 654, individuano, in realtà, tre categorie di giudizi, quello (civile e amministrativo) di danno, quello disciplinare, ed infine, genericamente, "altri giudizi civili e amministrativi". Ne consegue che, se nell'ambito degli "altri giudizi civili o amministrativi", la sentenza di assoluzione o di condanna fa indifferentemente stato, tout court, sui fatti accertati dal giudice penale e rilevanti ai fini della decisione, quanto, invece, al giudizio civile per danni: 1) la sentenza di condanna di cui all'art. 651 c.p.p. ha efficacia di giudicato solo con riferimento all'accertamento del fatto - reato, della sua illiceità penale, della sua commissione da parte dell'imputato, ma non fa stato su tutti i fatti accertati nel corso del processo penale; 2) la sentenza di assoluzione ha efficacia di giudicato solo con riferimento all'accertamento che il fatto non sussiste, che l'imputato non l'ha commesso, che è stato compiuto in presenza dell'esimente di cui all'art. 51 c.p.p. (non anche, pertanto, con riferimento alle altre ipotesi assolutorie, quali la mancanza dell'elemento psicologico del reato, l'esistenza di una causa di giustificazione diversa da quella dell'art. 51, l'esistenza di una causa di non imputabilità o non punibilità dell'autore del reato); 3) la sentenza di non doversi procedere (che ha per oggetto esclusivamente l'accertamento di una situazione processuale di inesistenza di una condizione di procedibilità, ex art. 529 c.p.p., ovvero di esistenza di una causa di estinzione del reato, ex art. 531 c.p.p.) non ha mai efficacia di giudicato nei confronti dell'imputato (nè a suo favore, nè contro di lui), in quanto l'oggetto della decisione non è il previo accertamento del fatto - reato, onde passare alla successiva declaratoria di non doversi procedere, bensì l'accertamento dell'inesistenza di una condizione di procedibilità o di estinzione del reato stesso.
T.A.R. , Roma , sez. I , 05/03/2002 , n. 1666
Non integra l'ipotesi di grave inimicizia di cui all'art. 51 c.p.p., e quindi l'incompatibilità, il fatto che un candidato abbia proposto denuncia penale nei confronto di uno o più membri di una commissione di concorso, dovendosi la grave inimicizia desumere da fatti oggettivi (nella specie si versava nella rinnovazione di un concorso per uditore giudiziario annullato in sede giurisdizionale).
Cassazione penale , sez. I , 05/05/1999 , n. 8777
In base alla norma dell'art. 570 c.p.p. nei procedimenti previsti dall'art. 51 comma 3 bis c.p.p. la legittimazione ad appellare va riconosciuta al procuratore distrettuale e, nel caso in cui quest'ultimo si sia avvalso della facoltà prevista dal comma 3 ter del citato art. 51 c.p.p., anche al rappresentante del p.m. presso il giudice competente che ha presentato le conclusioni nel dibattimento di primo grado. (La Corte nel motivare la decisione ha precisato che alla conclusione riportata non può opporsi che la delega di cui al comma 3 ter, essendo prevista solo per il dibattimento, non sarebbe idonea a conferire al p.m. delegato per l'udienza alcun autonomo potere di impugnazione, in quanto la legittimazione ad impugnare deriva direttamente dal comma 2 dell'art. 570 c.p.p. che non prevede deroghe nei procedimenti di cui al comma 3 bis del citato art. 51 c.p.p.).
Cassazione penale , sez. I , 12/06/1997 , n. 4117
La competenza della procura distrettuale antimafia, prevista dal comma 3 bis dell'art. 51 c.p.p., concerne anche quei reati che, seppure non aggravati ai sensi dell'art. 7 d.l. n. 152 del 1991, siano comunque connessi con l'attività di associazioni mafiose.
Cassazione penale , sez. II , 19/12/1996 , n. 5302
Deve considerarsi abnorme, e quindi immediatamente ricorribile per cassazione, la pronuncia con la quale il giudice dichiara la propria incompetenza per materia e trasmette gli atti, in violazione dell'art. 23 c.p.p., all'organo giudiziario ritenuto competente anziché al p.m. presso detto organo; tale decisione, infatti, si pone per il suo contenuto al di fuori dell'ordinamento processuale sia per quanto concerne la violazione dei diritti della difesa sia con riferimento all'esercizio dell'azione penale, la cui titolarità spetta esclusivamente al p.m. presso il giudice competente a norma dell'art. 51 c.p.p.
Cassazione penale , sez. II , 19/12/1996 , n. 5302
Deve considerarsi abnorme, e quindi immediatamente ricorribile per cassazione, la pronuncia con la quale il giudice dichiara la propria incompetenza per materia e trasmette gli atti, in violazione dell'art. 23 c.p.p., all'organo giudiziario ritenuto competente anziché al pubblico ministero presso detto organo; tale decisione, infatti, si pone per il suo contenuto al di fuori dell'ordinamento processuale sia per quanto concerne la violazione dei diritti della difesa sia con riferimento all'esercizio dell'azione penale, la cui titolarità spetta esclusivamente al p.m. presso il giudice competente a norma dell'art. 51 c.p.p.
Cassazione penale , sez. V , 05/04/1994
Per effetto dell'istituzione dell'ufficio del p.m. presso la Direzione distrettuale antimafia, con d.l. 20 novembre 1991, n. 367, convertito con modifiche nella l. 20 gennaio 1992, n. 8, è stata introdotta una deroga alla competenza per territorio all'interno del distretto in favore del tribunale del capoluogo del distretto stesso per i reati indicati al comma 3-bis dell'art. 51 c.p.p. (Fattispecie in tema di misure cautelari personali, nella quale è stata esclusa l'incompetenza territoriale del g.i.p. del tribunale del capoluogo del distretto, addotta per essere stato il reato commesso nell'ambito territoriale di altra giurisdizione).