La storia recente del nostro codice di procedura penale – ormai simile a una tela di Penelope, continuamente disfatta e ritessuta senza criterio – si arricchisce di un nuovo capitolo: il decreto-legge n. 178 del 2024, destinato a disciplinare con urgenza il famigerato braccialetto elettronico.
Il contesto è quello noto: un recente caso di cronaca, l’ennesimo, in cui il dispositivo tecnologico deputato a proteggere la vittima ha fallito per motivi tecnici.
Da qui, la consueta reazione legislativa: una norma prodotta in laboratorio sotto pressione mediatica, pensata non per risolvere il problema, ma per dare l’illusione che esso sia sotto controllo.
Così, il legislatore ci regala l’art. 97-ter norme att. c.p.p., un’operazione che dovrebbe imprimere certezza e speditezza all’accertamento tecnico, ma che, come vedremo, rischia di generare più problemi di quanti ne risolva.
La pretesa di certezza nel regno del caos
La novella normativa richiede alla polizia giudiziaria di verificare preventivamente la fattibilità tecnica e operativa del braccialetto elettronico.
Copertura di rete, tempi di trasmissione, analisi dei luoghi: tutto deve essere controllato e comunicato al giudice entro quarantotto ore.
Un’ambizione lodevole, certo, ma del tutto ignara delle dinamiche reali.
Quando l’intervento cautelare avviene in situazioni ordinarie, questa tempistica potrebbe anche risultare sostenibile.
Ma cosa accade nelle ipotesi di urgenza, come nei casi di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare?
Qui, l’intero castello normativo si sgretola.
Le stringenti scadenze imposte per la convalida delle misure precautelari e per l’adozione delle misure cautelari si scontrano frontalmente con la necessità di attendere i risultati delle verifiche tecniche.
Il risultato? Un vuoto di tutela per la persona offesa o un sacrificio sproporzionato della libertà personale dell’indagato.
La sentenza n. 176 del 2024 della Corte Costituzionale, citata spesso a sostegno della nuova disciplina, aveva già avvertito dei pericoli di una normativa anelastica. Il principio di proporzionalità deve guidare ogni scelta cautelare, ha detto il Giudice delle leggi, ma il legislatore sembra aver colto il messaggio solo a metà. La norma ora obbliga il giudice a muoversi in un vicolo cieco: se mancano le informazioni tecniche, si deve scegliere tra misure inefficaci e interventi iper-restrittivi, entrambe soluzioni in contrasto con lo spirito del diritto cautelare.
Eterogenesi dei fini: quando le buone intenzioni falliscono
Il contributo di Cassiba e Zacché (“Disordine normativo e urgenze legislative: il caso del braccialetto elettronico”, 2024) offre un’utile chiave di lettura per comprendere il disastro in atto.
Gli autori evidenziano come la “fretta normativa”, figlia di impulsi emotivi e calcoli di consenso politico, generi inevitabilmente norme cieche.
Nel tentativo di proteggere, si creano paradossi sistemici: è il caso, ad esempio, della misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, che il giudice non può applicare se mancano i dati tecnici.
Così, l’unica alternativa è la custodia cautelare in carcere, con violazione del principio di proporzionalità e sacrificio ingiustificato della libertà personale.
Cassiba e Zacché sottolineano, inoltre, il rischio di una sistematica deresponsabilizzazione degli organi esecutivi: se la polizia giudiziaria non esegue tempestivamente le verifiche richieste, le conseguenze ricadono sul giudice e, indirettamente, sull’imputato.
È il trionfo della logica del capro espiatorio, mascherata da riforma processuale.
Un legislatore senza visione
Il problema non è solo tecnico, ma culturale.
Il legislatore italiano sembra incapace di uscire dalla spirale dell’emergenza: ogni norma è pensata per rispondere al caso del giorno, mai per costruire un sistema coerente e funzionale.
Questo approccio genera un disordine normativo che “vanifica ogni ambizione di razionalità codicistica”.
Il risultato è un diritto processuale che, invece di ordinare il caos, lo amplifica.
L’introduzione dell’art. 97-ter norme att. c.p.p. ne è un esempio lampante.
La norma, pur animata da buone intenzioni, ignora le dinamiche reali del processo penale, compromettendo l’effettività delle misure cautelari e rendendo il giudice un funambolo, costretto a scegliere tra opzioni tutte egualmente inadeguate.
Conclusione: il legislatore frettoloso fa norme cieche
Come dice il proverbio, “il gatto frettoloso fa i figli ciechi”. E il legislatore italiano, nella sua ansia di produrre norme che rispondano ai titoli di cronaca, non fa eccezione.
Il decreto-legge n. 178 del 2024, lungi dal risolvere le problematiche legate all’uso del braccialetto elettronico, rischia di aggravare le criticità già esistenti, sacrificando sia la tutela della vittima che la libertà personale dell’indagato.
La soluzione?
Forse è tempo di abbandonare la logica del bricolage normativo e tornare a un metodo legislativo lento, ponderato, chirurgico.
Ma, per dirla con Cassiba, “questo richiederebbe un legislatore capace di pensare al di là del prossimo ciclo elettorale”.
Una speranza, forse, destinata a restare un’utopia.