La massima
Integra il reato di diffamazione l'esposizione da parte del dipendente di un centro commerciale di un manifesto con il quale si attribuisce alla direzione il mancato rispetto delle "più elementari norme di sicurezza", in modo generico e senza alcun riferimento determinato, tale da trasmettere la rappresentazione di una condotta di generalizzata negligenza, suscettibile di qualificazione anche in termini di illecito penale, della quale sia, invece, accertata l'insussistenza nel giudizio di merito. (In motivazione la S.C. ha altresì escluso che nel caso di specie potesse configurarsi la scriminante del diritto di critica, attesa la genericità, ambiguità ed allusività della comunicazione ritenuta diffamatoria - Cassazione penale sez. V - 10/07/2019, n. 47041).
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La sentenza integrale
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Cremona, su appello della parte civile anche agli effetti penali, in quanto aveva adito il giudice di pace ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 21, ha riformato la sentenza in primo grado nei confronti dell'imputato F., che l'aveva assolto dal delitto di diffamazione, e lo ha condannato alla pena di giustizia, oltre che al risarcimento del danno, liquidato in 500 Euro, ed alle spese di lite.
La condotta diffamatoria è stata ravvisata nell'aver l'imputato, esercente attività commerciale all'intero del centro commerciale Cremona, affisso all'interno del centro un manifesto nel quale affermava che la direzione del centro non rispettava le più elementari norme di sicurezza. Fatto di (OMISSIS).
1. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, che col primo motivo, ha lamentato la violazione di legge in relazione agli elementi costitutivi del reato in quanto la persona offesa del centro commerciale aveva la sede all'interno degli stessi locali ove era stato affisso il cartello, mancando, pertanto, il requisito dell'assenza; per altro verso le espressioni usate sarebbero prive di potenzialità diffamatoria e rispondenti a verità.
2.Nel secondo motivo - che si collega al primo - è stata censurata l'errata applicazione della legge penale in relazione al mancato riconoscimento del diritto di critica, in quanto l'istruttoria dibattimentale aveva accertato come fosse vero il fatto rappresentato dal ricorrente che la porta di sicurezza vicina al suo negozio rimanesse sempre aperta e fosse usata per il transito ordinario; in tal modo anche eventuali malintenzionati potevano entrare nel centro agevolmente e F. aveva subito due rapine.
2.1 Per altro aspetto dal giudizio era pure emerso che gli utenti del centro commerciale non avevano tratto alcuna convinzione sui comportamenti negligenti della direzione circa la tutela dei lavoratori e degli stessi clienti ed il mancato rispetto delle normative di settore.
2.2 Ha sostenuto, infine, il ricorrente che le espressioni giudicate diffamanti erano, invece, rispondenti ad un fatto reale, in sè continenti e riguardavano un episodio oggetto di interesse da parte del pubblico, rispettando, quindi, i requisiti richiesti per il diritto di critica.
3. Tramite il terzo motivo è stata lamentata l'inosservanza della legge penale per il mancato riconoscimento della causa di non punibilità della provocazione, poichè il persistente disinteresse della direzione del centro commerciale, costituirebbe un fatto ingiusto al quale il giudicabile aveva reagito in stato d'ira.
4.Nel quarto motivo ci si è doluti della mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, in quanto il Giudice di appello aveva ribaltato la decisione liberatoria di primo grado che era fondata sulle prove testimoniali, senza riassumerle.
5. Col quinto motivo è stata dedotta la mancanza di motivazione circa la quantificazione del danno all'immagine del centro commerciale, liquidata in Euro 500 senza che vi fosse prova di un sia pur minimo danno. Infine, è stata chiesta a questa Corte la causa di non punibilità del ricorrente ai sensi dell'art. 131 bis c.p..
In data 24.6.2019 è stata depositata memoria della parte civile con la quale sono state illustrate le ragioni per la declaratoria di inammissibilità del ricorso o per il suo rigetto.
All'odierna udienza il Pg, dr.ssa Fodaroni, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso ed il difensore della parte civile, avvocato Gamba, si è associato alla richiesta del PG e si riportato alla memoria depositata; l'avvocato Zontini per l'imputato ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Occorre preliminarmente esaminare la questione processuale, posta tramite il quarto motivo del ricorso, della mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale che, se fondata, imporrebbe l'annullamento della sentenza impugnata per la violazione del principio di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in caso di riforma della pronunzia assolutoria sulla base di un diverso apprezzamento della prova dichiarativa.
Tale principio è stato di recente sancito formalmente tramite l'introduzione, apportata con la L. n. 103 del 2017, del comma 3 bis, all'art. 603 c.p.p., in riferimento al caso di appello del PM contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa.
1.1 Si tratta - come noto - di un principio di origine giurisprudenziale definitivamente cristallizzato nella sentenza Dasgupta delle SU di questa Corte, che ha definito la previsione contenuta nell'art. 6, par. 3, lett. d) della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico come considerato dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU - come parametro interpretativo delle norme processuali interne; la sentenza citata ha, pertanto, stabilito che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado. Sez. U, Sentenza n. 27620 del 28/04/2016 Ud. (dep. 06/07/2016) Rv. 267487.
La stessa pronunzia ha esteso tale obbligo di rinnovazione anche al caso della riforma ai soli effetti civili della sentenza assolutoria di primo grado, su impulso della parte civile, come è avvenuto nel giudizio che ci occupa.
Sez. U, Sentenza n. 27620 del 28/04/2016 Ud. (dep. 06/07/2016) Rv. 267489.
1.2 Questa Corte ha poi di recente ritenuto che la nuova formulazione dell'art. 603/3 bis c.p.p., letteralmente limitata nel testo della disposizione all'ipotesi di appello da parte del PM, sia estensibile anche al caso diverso di impugnazione proposta dalla parte civile ai soli fini civili, avendo precisato che il disposto dell'art. 603 c.p.p., comma 3 bis, nel disciplinare il caso di riforma della decisione di primo grado su appello del pubblico ministero, non esclude la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nel caso di ribaltamento di tale decisione ai soli effetti civili. Sez. 6, Sentenza n. 12215 del 12/02/2019 Ud. (dep. 19/03/2019) Rv. 275167.
1.3 Tanto premesso, deve rilevarsi che nel caso in esame la censura del ricorrente appare completamente estranea all'ordito motivazionale che ha preteso criticare, poichè il giudice di appello non ha operato alcuna diversa valutazione delle prove dichiarative ma, ferma restando la ricostruzione fattuale operata in primo grado, ne ha legittimamente tratto un significato diverso rispetto a quello che il ricorrente ha attribuito alla sentenza di primo grado, della quale, del resto, ha riportato solo poche parole nel corpo dell'atto di impugnazione.
2. Il primo motivo di ricorso, incentrato sulla ipotizzata mancanza del requisito dell'assenza della persona offesa alle espressioni denigratorie, da un lato ha implicitamente richiesto a questa Corte di rivalutare la situazione probatoria già accertata dai Giudici del merito, richiesta inammissibile in questa fase, e dall'altro è manifestamente infondato in diritto.
Infatti,è stato più volte affermato che deve presumersi la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora l'espressione offensiva sia inserita in un qualunque documento o atto per sua natura destinato ad essere normalmente visionato da più persone. Sez. 5, Sentenza n. 3963 del 06/07/2015 Ud. (dep. 29/01/2016) Rv. 265815; Sez. 5, Sentenza n. 522 del 26/05/2016 Ud. (dep. 05/01/2017) Rv. 269016.
2.1 Nel caso in esame si è trattato di un cartello o manifesto apposto su una colonna del centro commerciale ove agiva anche l'imputato, destinato, quindi, per sua natura e nel contesto fattuale di riferimento, ad essere visionato dalla moltitudine di soggetti che abitualmente frequentano i centri commerciali, essendo il mezzo espressivo prescelto e la sua allocazione esposti in tal modo alla visione del pubblico.
3.In maniera corretta non è stato riconosciuto l'esercizio del diritto di critica - oggetto del secondo motivo di ricorso - a causa della genericità, ambiguità ed allusività della comunicazione ritenuta diffamatoria, che in modo plausibile ed a causa di tale caratteristica è stata giudicata idonea a trasmettere una falsa rappresentazione di un atteggiamento trascurato della direzione del centro commerciale, riguardo agli adempimenti in tema di sicurezza degli utenti e/o dei dipendenti e/o lavoratori che vi svolgevano le rispettive mansioni, rimandando ad un'idea di generalizzata negligenza da parte degli organi direttivi, in sè passibile di una qualificazione di illecito anche penale, comportamento plausibilmente giudicato in sostanza inesistente nel giudizio di merito.
3.1 L'argomentare logico-giuridico adoperato dai Giudici territoriali è ben coerente con i principi elaborati da questa Corte in tema di informazioni generiche ma allusive a comportamenti di natura illecita e comunicate al pubblico, che sono state ritenute idonee ad integrare l'offesa alla reputazione, quando sia attribuita alla persona offesa la commissione di fatti illeciti non meglio specificati e privi di qualsiasi riferimento determinato, ma in maniera idonea ad ingenerare nel lettore medio la convinzione che il soggetto diffamato si sia reso autore di una qualsiasi condotta connotata da illiceità. Così Sez. 5, Sentenza n. 4298 del 19/11/2015 Ud.(dep. 02/02/2016)Rv. 266026;Sez. 5, Sentenza n. 37124 del 15/07/2008 Cc. (dep. 30/09/2008) Rv. 242019, entrambe in tema di diffamazione a mezzo stampa.
4. La critica contenuta nel terzo motivo ha dato per presupposto in fatto il disinteresse da parte della direzione verso la risoluzione del problema segnalato dall'imputato ed in genere verso le questioni della sicurezza della struttura, disinteresse che costituirebbe fatto ingiusto, al quale questi avrebbe reagito in stato d'ira.
La prospettazione della difesa non si è confrontata con la logica e congrua motivazione resa sul punto dai Giudici di Appello, per i quali era stata provata la predisposizione di un servizio di vigilanza a cura degli uffici di direzione del centro. D'altra parte è stato pure correttamente osservato che la mancanza di un sistema di videosorveglianza non può essere considerato come un fatto contrario alle regole di convivenza civile, inteso come presupposto necessario ad integrare la causa di non punibilità della provocazione.
4.1 In proposito la riflessione di questa Corte ha affermato e ribadito che se è pur vero che la predetta causa di non punibilità può ravvisarsi anche quando il fatto ingiusto consista, oltre che in un illecito codificato, anche nella lesione di regole di civile convivenza, essa deve essere, tuttavia, apprezzabile alla stregua di un giudizio oggettivo, con conseguente esclusione della rilevanza della mera percezione negativa che di detta violazione abbia avuto l'agente. Sez. 5, Sentenza n. 21133 del 09/03/2018 Ud. (dep. 11/05/2018)Rv. 273131;Sez. 5, Sentenza n. 25421 del 18/03/2014 Ud. (dep. 13/06/2014) Rv. 259882.
4.2 Nella fattispecie in esame il ricorrente ha proprio assunto il suo punto di vista soggettivo come parametro di riferimento oggettivo di valutazione, sovrapponendo la propria opinione personale circa il valore che può presentare un sistema di videosorveglianza per il raggiungimento delle finalità sue proprie, ad un giudizio di carattere obbiettivo, e cioè ancorato a criteri comunemente accettati dai consociati quanto alla consistenza delle regole di convivenza civile.
5. Manifestamente infondata è la doglianza di cui al quinto motivo di ricorso, in considerazione del consolidato orientamento espresso da questa Corte secondo il quale il danno da reato è sempre liquidato in via equitativa. Ex multis la recente Sez. 6 - Sentenza n. 48086 del 12/09/2018 Ud. (dep. 22/10/2018) Rv. 274229 per la quale la liquidazione dei danni morali, attesa la loro natura, non può che avvenire in via equitativa, dovendosi ritenere assolto l'obbligo motivazionale mediante l'indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli è stato determinato l'ammontare del risarcimento.
La quantificazione del risarcimento nella moderata somma di Euro 500 a riparazione del danno all'immagine arrecato dalla condotta diffamatoria del giudicabile agli organi rappresentativi e direttivi del centro commerciale appare, pertanto, più che congruamente giustificata.
6. Quanto alla causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, ex art. 131 bis c.p., che il ricorrente ha prospettato nella presente impugnazione come richiesta, se ne deve rilevare l'assoluta genericità, nel contempo ribadendo il più che consolidato indirizzo secondo il quale essa non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, se la disposizione era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza di appello, ostandovi la previsione di cui all'art. 606 c.p.p, comma 3. Con riferimento al presente giudizio può precisarsi che, pur non essendo l'attuale ricorrente anche appellante, l'istanza avrebbe potuto essere avanzata anche nella fase di discussione da parte della difesa. Ex multis: Sez. 5, Sentenza n. 57491 del 23/11/2017 Ud. (dep. 22/12/2017)Rv. 271877;Sez. 2, Sentenza n. 21465 del 20/03/2019 Ud. (dep. 16/05/2019) Rv. 275782.
Alla luce dei principi e delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della parte civile, nella misura che si stima equo liquidare in Euro duemiladuecento oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese in favore della parte civile, liquidate in Euro duemiladuecento oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019