La massima
In tema di diffamazione, sussiste la scriminante dell'esercizio del diritto di critica sindacale e politica nel caso in cui, in un articolo pubblicato su un "blog" locale di chiaro orientamento politico (nella specie "Brescia anticapitalista"), si stigmatizzi come "sottocultura da letamaio" la reazione del datore di lavoro alle rivendicazioni salariali, giudizialmente riconosciute, degli operai, in buona parte immigrati, in quanto funzionale alla disapprovazione della condotta di sfruttamento e delle idee "razziste" espresse sul profilo "facebook" dal datore di lavoro (Cassazione penale sez. V - 07/03/2022, n. 17784).
Fonte: CED Cass. pen. 2022
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La sentenza integrale
Cassazione penale sez. V - 07/03/2022, n. 17784
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Brescia ha parzialmente riformato la decisione del Tribunale di quella stessa città - che aveva dichiarato G.F. colpevole di diffamazione a mezzo stampa commessa attraverso la pubblicazione sul blog "(OMISSIS)", nelle date del 15, 21, 26 febbraio (OMISSIS), di articoli diffamatori nei confronti della persona offesa B.G., condannandolo alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa, con le statuizioni in favore della parte civile - ha assolto l'imputato dai fatti commessi il 21 e il 26 febbraio (OMISSIS), per l'insussistenza del fatto, ritenendo trattarsi di legittimo esercizio del diritto di critica sindacale, e ha confermato la affermazione di responsabilità per il residuo episodio del 15 febbraio (OMISSIS), rideterminando la pena e riducendo la provvisionale assegnata dal primo giudice, nonché revocando il beneficio della sospensione condizionale della pena.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, con il ministero del difensore di fiducia, il quale svolge quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, è denunciata erronea applicazione degli artt. 595 e 51 c.p., e correlato vizio della motivazione, in relazione all'esercizio del diritto di critica sindacale.
Sostiene la Difesa ricorrente che le espressioni ritenute diffamatorie erano anch'esse
esercizio del diritto di critica sindacale, e lamenta che la Corte territoriale ha decontestualizzato le affermazioni, collegate alla denuncia delle condizioni di sfruttamento dei lavoratori.
2.2. Con il secondo motivo è denunciata l'inosservanza dell'art. 125 c.p.p., comma 2 e mancanza della motivazione, per l'omessa pronuncia in ordine alla causa di non punibilità di cui all'art. 599 c.p., oggetto di specifico motivo di appello. In particolare, sarebbe ravvisabile l'ingiustizia del fatto altrui desumibile dalla circostanza che le ragioni della protesta dei lavoratori dipendenti dell'azienda della parte civile - di cui il ricorrente si era fatto portavoce con la pubblicazione degli articolo incriminati, compreso quello residuo oggetto del ricorso - è sfociata nell'accoglimento delle rivendicazioni lavoristiche, come da sentenze di merito allegate; parimenti riscontrati i requisiti dello stato d'ira (l'imputato ha dichiarato, in sede datoriale, la propria indignazione per la condotta datoriale) e dell'immediatezza della reazione.
2.3. Con il terzo motivo è dedotta violazione dell'art. 522 c.p.p., comma 2, in relazione alla indeterminatezza della imputazione con riguardo alla mancata enunciazione in forma chiara e precisa della circostanza aggravante del fatto determinato.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione dell'art. 541 c.p.p., giacché la Corte di appello, pur dopo l'assoluzione parziale, integrante, sotto il profilo civilistico, una soccombenza parziale della parte civile, ha solo ridotto l'entità della condanna alle spese, invece di disporne la compensazione in virtù dell'analogica applicazione del principio della soccombenza declinato dall'art. 91 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
E' fondato, in modo assorbente, il primo motivo.
1.Va ricordato, in premessa che, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (Sez. 5,n. 2473 del 10/10/2019 (dep. 2020), Rv. 278145, con riferimento ad una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che la frase incriminata potesse essere scriminata in base al diritto di "critica sindacale" ed ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna pronunciata ai soli effetti civili).
2. Con riguardo al bene giuridico tutelato dall'art. 595 c.p., esso è individuato, secondo l'elaborazione di questa Corte, nell'onore nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (la reputazione intesa quale patrimonio di stima, di fiducia, di credito accumulato dal singolo nella società e, in particolare, nell'ambiente in cui quotidianamente vive e opera) di ciascuna persona; secondo quella che viene comunemente identificata come concezione fattuale dell'onore, ciò che viene tutelato attraverso l'incriminazione in parola, è l'opinione sociale del "valore" della persona offesa dal reato, distinguendosi la lesione della reputazione da quella dell'identità personale, che, secondo la definizione di autorevole dottrina, corrisponde al diritto dell'individuo alla rappresentazione della propria personalità agli altri senza alterazioni e travisamenti. Interesse che può essere violato anche attraverso rappresentazioni offensive dell'onore ma che, al di fuori di tale evenienza, non ha autonoma rilevanza penale, integrando la lesione esclusivamente un illecito civile(Sez. 5 n. 849 del 6/11/1992, dep. 1993, Rv. 193494). L'evento del reato di diffamazione è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente, a incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino (tra le tante, Sez. 5 n. 5654 del 19/10/2012). Si tratta di evento, non fisico, ma, psicologico, consistente nella percezione sensoriale e intellettiva, da parte di terzi, dell'espressione offensiva (Cass. Sez. 5 n. 47175 del 04/07/2013, Rv. 257704).
3. La vicenda qui scrutinata attiene alle parole utilizzate dall'imputato su un blog denominato "(OMISSIS)" per commentare la condotta datoriale in occasione di una protesta sindacale organizzata dagli operai di una cooperativa per motivi collegati al recesso dal contratto di appalto della azienda di cui la persona offesa era amministratore delegato. Come si legge nella sentenza impugnata, con un primo breve articolo pubblicato il 12 febbraio (OMISSIS) il ricorrente aveva informato i lettori dello sciopero in corso dovuto a rivendicazioni salariali, il cui linguaggio era stato commentato dal B.; ne era seguito un botta e risposta tra i due, nel corso del quale ciascuno aveva espresso le proprie opinioni sullo sciopero, sulle relative motivazioni e sulla legittimità o meno del picchetto e dello sciopero in generale. A seguito della querela presentata dal B., è stata elevata l'imputazione con riguardo a tre articoli, relativi tutti a quella stessa vertenza sindacale; a seguito dell'assoluzione pronunciata dalla Corte di appello per gli altri due episodi, l'unico che viene in rilievo è quello relativo all'articolo scritto il giorno 15 febbraio (OMISSIS) dal titolo " Una giornata al picchetto" nel quale si descriveva "la giornata passata con i lavoratori in lotta alla (OMISSIS), di fronte alla serrata selettiva decisa dall'arrogante padroncino, B.G., che ha impedito agli scioperanti di entrare (...). Evidenzia la sentenza impugnata che, nel corpo dell'articolo, dopo essersi riferito alla persona offesa con la frase "dall'alto della sua arroganza di razzista ignorante", l'autore proseguiva con le frasi: " basta dare un'occhiata alla pagina Facebook di mr. B. per capire che razza di individuo sia. Piena di immondizia razzista contro gli immigrati (...) di luoghi comuni al bar di periferia, di sottocultura da letamaio".
3.1. Come si evince dalla sentenza impugnata, l'imputato è si è assunto la paternità degli articoli, che aveva scritto di proprio pugno, e ha spiegato che il blog era la "voce" del proprio gruppo di militanti, visitato mediamente da una cinquantina di lettori, con vasti interessi sul piano tecnico/culturale. In virtù di tale contesto di fatto, la Corte ha, pertanto, riavvisato la connotazione offensiva di talune espressioni contenute negli articoli in questione, ma ha correttamente inquadrato le espressioni e i commenti utilizzati dall'imputato sul suo blog come rientranti nel diritto di critica sindacale, ritenendo, quindi, che, per due dei tre articoli incriminati, non si fosse superato il limite della continenza, ricorrendo l'esimente dell'esercizio legittimo del diritto di critica sindacale, mentre nel residuo - quello qui in esame - l'autore avesse invece dato vita a un ingiustificato attacco "ad hominen".
4. Al riguardo, è opportuno considerare che il diritto di critica, rappresentando l'esternazione di un'opinione relativamente a una condotta, ovvero a un'affermazione, altrui, si inserisce nell'ambito della libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall'art. 21 della Carta costituzionale e dall'art. 10 della Convenzione EDU. Proprio in ragione della sua natura di diritto di libertà, esso può essere evocato quale scriminate, ai sensi dell'art. 51 c.p., rispetto al reato di diffamazione, purché venga esercitato nel rispetto dei limiti della veridicità dei fatti, della pertinenza degli argomenti e della continenza espressiva.
4.1. La nozione di "critica", quale espressione della libera manifestazione del pensiero, oramai ammessa senza dubbio dall'elaborazione giurisprudenziale, e che viene in rilievo nella fattispecie scrutinata, rimanda non solo all'area dei rilievi problematici, ma, anche e soprattutto, a quella della disputa e della contrapposizione, oltre che della disapprovazione e del biasimo anche con toni aspri e taglienti, non essendovi limiti astrattamente concepibili all'oggetto della libera manifestazione del pensiero, se non quelli specificamente indicati dal legislatore. I limiti sono rinvenibili, secondo le linee ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, nella difesa dei diritti inviolabili, quale è quello previsto dall'art. 2 Cost., onde non è consentito attribuire ad altri fatti non veri, venendo a mancare, in tale evenienza, la finalizzazione critica dell'espressione, né trasmodare nella invettiva gratuita, salvo che la offesa sia necessaria e funzionale alla costruzione del giudizio critico. (Sez. 5 n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866). 4.2. A differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, la critica si concretizza nella manifestazione di un'opinione (di un giudizio valutativo). E' vero che essa presuppone in ogni caso un fatto che è assunto a oggetto o a spunto del discorso critico, ma il giudizio valutativo, in quanto tale, è diverso dal fatto da cui trae spunto e, a differenza di questo, non può pretendersi che sia "obiettivo" e neppure, in linea astratta, "vero" o "falso". Diversamente opinando, si rischierebbe di sindacare la legittimità stessa del contenuto del pensiero, in palese contrasto con le garanzie costituzionali. (Sez. 5, n. 13549 del 20/02/2008, Pavone, Rv. 239825; Sez. 5, n. 13880 del 18/12/2007 - dep. 02/04/2008, Pandolfelli, Rv. 239816; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, PG in proc. Trevisan, Rv. 221904; Sez. 5, n. 13264 del 16/03/2005, non massimata; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, Rv. 221904; Sez. 5, n. 7499 de 14/02/2000, Rv. 216534). La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioè, normalmente, un contenuto di veridicità limitato alla oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse (Sez. 5, n. 13264 del 16/03/2005, non massimata; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, Rv. 221904; Sez. 5, n. 7499 del 14/02/2000, Rv. 216534), ma non può pretendersi che si esaurisca in essi. In altri termini, come rimarca la giurisprudenza CEDU, la libertà di esprimere giudizi critici, cioè "giudizi di valore", trova il solo, ma invalicabile, limite nella esistenza di un "sufficiente riscontro fattuale" (Corte EdU, sent. del 27.10.2005 caso Wirtshafts-Trend Zeitschriften-Verlags Gmbh c. Austria rie. n 58547/00, nonché sent. del 29.11.2005, caso Rodrigues c. Portogallo, ric. n 75088/01), ma, al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, è sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perché, se la materialità dei fatti può essere provata, l'esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata (Corte EDU, sent. del 1.7.1997 caso Oberschlick c/Austria par. 33). Ecco che la critica, a differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, concretizzandosi nella manifestazione di un'opinione meramente soggettiva (di un giudizio valutativo), non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva e asettica (cfr. ex multis Sez. 5, n. 25518 del 26/9/2016, Volpe, Rv. 270284; Sez. 5, n. 49570 del 23/9/2014, Natuzzi, Rv. 261340; Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Simeoni, Rv. 249239). Ciò in quanto il giudizio critico è necessariamente influenzato, e non potrebbe essere altrimenti, dal filtro personale con il quale viene percepito il fatto posto a suo fondamento; esso e', per sua natura, parziale, ideologicamente orientato e teso ad evidenziare proprio quegli aspetti o quelle concezioni del soggetto criticato che si reputano deplorevoli e che si intende stigmatizzare e censurare (Sez. 5, n. 19334 del 5/3/2004, Giacalone, non massimata, conf. Sez. 1 -, n. 8801 del 13/11/2018 Rv. 276167).
4.3. Quanto al requisito della continenza, giova rammentare che essa concerne un aspetto sostanziale e un profilo formale. La continenza sostanziale, o "materiale", attiene alla natura e alla latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all'interesse pubblico alla comunicazione o al diritto-dovere di denunzia: essa si riferisce, dunque, alla quantità e alla selezione dell'informazione in funzione del tipo di resoconto e dell'utilità/bisogno sociale di esso. La continenza formale attiene, invece, al modo con cui il racconto sul fatto è reso o il giudizio critico esternato, e cioè alla qualità della manifestazione: essa postula, quindi, una forma espositiva proporzionata, "corretta" in quanto non ingiustificatamente sovrabbondante al fine del concetto da esprimere. Questo significa che le modalità espressive attraverso le quali si estrinseca il diritto alla libera manifestazione del pensiero, con la parola o qualunque altro mezzo di diffusione, di rilevanza e tutela costituzionali (ex art. 21 Cost.), postulano una forma espositiva corretta della critica - e cioè astrattamente funzionale alla finalità di disapprovazione - e che non trasmodino nella gratuita e immotivata aggressione dell'altrui reputazione. Tuttavia, essa non è incompatibile con l'uso di termini che, pure oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, per non esservi adeguati equivalenti. (Sez. 5, n. 11905 del 05/11/1997, G, Rv. 209647). In realtà, secondo il consolidato canone ermeneutico di questa Corte, al fine di valutare il rispetto del canone della continenza, occorre contestualizzare le espressioni intrinsecamente ingiuriose, ossia valutarle in relazione al contesto spazio - temporale e dialettico nel quale sono state profferite, e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur forti e sferzanti, non risultino meramente gratuiti, ma siano invece pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere (Sez. 5 n. 32027 del 23/03/2018, Rv. 273573). Con questo si intende ribadire che la diversità dei contesti nei quali si svolge la critica, così come la differente responsabilità e natura della funzione dei soggetti ai quali la critica è rivolta, possono giustificare attacchi anche violenti, se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi: sono, in definitiva, gli interessi in gioco che segnano la "misura" delle espressioni consentite (Sez. 1,n. 36045 del 13/06/2014, P.M in proc. Surano, Rv. 261122; Sez. 5, n. 21145 del 18/04/2019 Rv. 275554). Compito del giudice e', dunque, di verificare se il negativo giudizio di valore espresso possa essere, in qualche modo, giustificabile nell'ambito di un contesto critico e funzionale all'argomentazione, così da escludere la invettiva personale volta ad aggredire personalmente il destinatario (Sez. 5 n. 31669 del 14/04/2015, Rv. 264442), con espressioni inutilmente umilianti e gravemente infamanti (Sez. 5 n. 15060 del 23/02/2011, Rv. 250174). Il contesto dialettico nel quale si realizza la condotta può, dunque, essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non può mai scriminare l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest"ultimo in quanto tale (Sez. 5 n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866). Si è così affermato che esula dai limiti del diritto di critica l'accostamento della persona offesa a cose o concetti ritenuti ripugnanti, osceni, o disgustosi, considerata la centralità che i diritti della persona hanno nell'ordinamento costituzionale(Sez. 5 n. 50187 del 10/05/2017, Rv. 27143).
5. Delineata la cornice entro la quale deve essere valutata la sussistenza della predetta scriminante, e applicando tali principi alla fattispecie in esame, si osserva che i giudici della Corte di appello hanno ravvisato nelle espressioni utilizzate dall'imputato contenuti esorbitanti dal diritto di critica, ovvero non continenti rispetto al contesto dialettico nel quale si inserivano, con valutazione che il Collegio non condivide.
5.1. Nella fattispecie in scrutinio la Corte territoriale ha assolto l'imputato in relazione a tutte le espressioni offensive pubblicate sul blog "(OMISSIS)", sul corretto rilievo che si trattasse di frasi connesse alla dura vertenza sindacale tra la persona offesa - B., in quanto titolare della società (OMISSIS) - e gli operai, risolta, poi, in ambito giudiziario, con esito favorevole ai lavoratori. Al contrario, ha ritenuto che le espressioni contenute nell'articolo del 15 febbraio (OMISSIS) integrassero delle generiche invettive dirette alla persona in sé, esorbitanti dal collegamento con i comportamenti del B. quale datore di lavoro, o, comunque, esulanti dal requisito di continenza.
5.2. Tuttavia, dalla stessa sentenza impugnata emerge che tali espressioni sono state pubblicate in un articolo, dal titolo "Una giornata al picchetto", contenente il resoconto delle manifestazioni sindacali iniziate proprio quel giorno, con un ‘picchettò di protesta per la situazione di sfruttamento subito dai dipendenti del B., molti dei quali immigrati. Le invettive nei confronti del datore di lavoro, pur astrattamente offensive, tuttavia, risultano pienamente conferenti all'oggetto della controversia -la situazione di sfruttamento dei lavoratori denunciata a livello sindacale, e poi riconosciuta a livello giudiziale -, e, proprio perché si inseriscono appieno nel contesto di aspra critica sindacale, in quanto tendenti a stigmatizzare, con toni conflittuali, gli atteggiamenti e la complessiva condotta del datore di lavoro, non prendono di mira la persona in sé e non danno luogo a un attacco ad hominen. Il tono e le parole sono taglienti, sferzanti, perché esprimono un totale dissenso ideologico, ma non possono essere qualificati come inutilmente umilianti, né ingiustificatamente aggressivi, apparendo, al contrario, funzionali alla esplicita finalità di disapprovazione che si voleva esprimere, e perciò collocandosi senza dubbio nel perimetro della continenza espressiva.
5.3. In realtà, dalla lettura del testo, emerge con chiarezza anche la connotazione politica della critica svolta dall'autore, in primo luogo perché egli scrive su un blog di chiaro orientamento politico ("(OMISSIS)"), ma anche perché instaura - nello specifico articolo in questione - una chiara correlazione ideologica tra le idee "razziste" espresse, nei confronti degli immigrati, dal B., sul proprio profilo facebook, e le posizioni dallo stesso assunte sul piano sindacale nei rapporti con i lavoratori. Il parallelismo a cui ha dato luogo l'autore è chiaro: da una persona portatrice di idee discriminatorie nei confronti degli immigrati - in tal senso razziste - non ci si può aspettare altro che analoga "sottocultura da letamaio" nella gestione dei rapporti con la classe operaria, peraltro, composta in buona parte proprio da immigrati. In tale ottica, di critica sindacale e politica, deve essere letta anche quest'ultima espressione, che è apertamente riferita alle idee politiche del B., non certo alla sua persona.
5.4. Ed è così che ancora una volta non viene in rilievo, neppure in tale espressione, una denigrazione della persona in quanto tale, un' offesa rivolta, senza ragione, alla sfera privata, non coinvolta dall'ambito di pubblica rilevanza della notizia, mediante l'utilizzo di non pertinenti argumenta ad hominem, trattandosi, piuttosto, di una mirata, quanto oggettiva, contestazione delle posizioni ideologiche manifestate attraverso i propri profili socia/ dalla persona offesa. Le opinioni espresse nell'articolo contengono una manifesta critica dell'atteggiamento politico del datore, e sono espresse con un linguaggio niente affatto incontinente, giacché anche la parola "letamaio" è riferita, non alla persona, ma alle sue opinioni. Sono le idee a rimandare al letamaio, non il B. in quanto tale.
5.5. Da tanto discende che, anche con riguardo all'articolo pubblicato il 15 febbraio (OMISSIS), è ravvisabile l'esimente del legittimo esercizio del diritto di critica, che esclude, in concreto, l'offensività della condotta, una volta contestualizzata nella diatriba sulla legittimità delle posizioni datoriali, con pertinenti e non esorbitanti espressioni, in quanto, pur se con asprezza, funzionali all'argomentazione.
6. L'epilogo del presente giudizio di legittimità è l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato, con la conseguente revoca delle statuizioni civili in favore della parte civile costituita, B.G..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce reato. Revoca le statuizioni civili.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2022