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Diffamazione: non sussiste in caso di legittima doglianza per una situazione ingiusta subita


Corte di Cassazione

La massima

Non costituisce diffamazione l'esposizione di una legittima doglianza rispetto ad una situazione ritenuta ingiustamente lesiva di diritti o prerogative, laddove si tratti di una consentita interlocuzione tra (e con) soggetti istituzionali, coinvolti nell'ambito di un contesto per sua natura conflittuale. (Fattispecie relativa all'invio da parte di un avvocato, nell'ambito di una procedura esecutiva, di una missiva all'ufficiale giudiziario nella quale si affermava "ritengo che lei abbia sostanzialmente rifiutato di adempiere ai doveri che il suo ufficio le impone" per contestare la attendibilità di un verbale di pignoramento negativo, nella quale la Corte ha escluso che ricorresse l'elemento oggettivo dell'offesa all'onore ed alla reputazione del pubblico ufficiale - Cassazione penale sez. V - 12/11/2019, n. 11294).


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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Novara confermava la decisione del Giudice di Pace di quella stessa città che aveva ritenuto l'avvocato A.A. colpevole del reato di diffamazione, aggravata dalla attribuzione di un fatto determinato, in danno dell'ufficiale giudiziario R.R., fatto commesso il (OMISSIS), con la trasmissione, mediante fax, di una missiva indirizzata all'UNEP di Novara - e diretta all'attenzione del predetto R.. In detta missiva, criticando l'operato del pubblico ufficiale in occasione di un pignoramento negativo del 07/08/2014 presso Poste Italiane, il ricorrente dubitava della credibilità di un verbale attestante la mancanza di disponibilità da parte di un ufficio postale; contestava la legittimità delle motivazioni, erroneamente attestanti la invalidità e inefficacia del precetto, invece, ritualmente notificato; e concludeva testualmente affermando "ritengo che lei abbia sostanzialmente rifiutato di adempiere ai doveri che il suo ufficio le impone".


2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, con il patrocinio del difensore, il quale ne ha chiesto l'annullamento svolgendo sei motivi.


2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge e correlato vizio della motivazione perchè, trattandosi di fatto inquadrabile nella fattispecie astratta dell'oltraggio a pubblico ufficiale, è stata ritenuta in modo erroneo la competenza del Giudice di Pace, invece del Tribunale. Si duole, in particolare, che la sentenza impugnata abbia escluso che si trattasse di oltraggio, per non essere avvenuta l'offesa in presenza della vittima, nè contestualmente al compimento dell'atto dell'ufficio, dal momento che, invece, la disposizione normativa di cui all'art. 341 bis c.p. non richiede alcuno dei detti elementi. La sentenza è altresì contraddittoria per avere escluso il predetto reato, confermando tuttavia, la aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 10. L'imputato andava, quindi, assolto per abolitio criminis, rientrando la condotta in esame nella fattispecie di oltraggio abrogata, non assorbita dalla novellata fattispecie di cui all'art. 341 bis c.p..


2.2. Analoghi vizi vengono denunciati con il secondo e il terzo motivo, con riguardo all'art. 51 c.p., dolendosi il difensore ricorrente che il fatto non sia stato ritenuto scriminato dall'esercizio del diritto di critica, di cui ricorrono i presupposti della veridicità, della pertinenza e della continenza delle espressioni utilizzate per contestare l'operato del pubblico ufficiale. D'altro canto, la missiva in questione, avente il contenuto di una diffida o di atto di intimazione di carattere stragiudiziale, era stata inoltrata nell'adempimento degli obblighi professionali di avvocato, al fine di richiedere, per il proprio assistito, un risarcimento del danno, attività per la quale rileva, altresì, la causa di non punibilità di cui all'art. 598 c.p.. ricomprendente anche gli atti c.d. pre - giudiziali. Inoltre, era stata sporta anche denuncia penale, poi archiviata, nei confronti dell'operato del p.u.


2.3. Si denunciano ancora violazione di legge e correlato vizio della motivazione con riferimento all'art. 599 c.p. per non essere stata valutata la esimente della provocazione, (nella specie della c.d. contestualità dilazionata) rispetto al contenuto offensivo del verbale del pubblico ufficiale, che aveva contestato all'imputato di avere notificato un precetto senza rispettare la disposizione di cui all'art. 145 c.p.c. circostanza, peraltro, non veritiera.


2.4. Con il quinto motivo ci si duole dell'assenza di motivazione con riferimento al ravvisato carattere offensivo delle parole utilizzate nella missiva incriminata. D'altro canto, la sentenza è illogica e contraddittoria nella motivazione riguardante il profilo della comunicazione con più persone, diretta non al singolo pubblico ufficiale che aveva operato nella procedura esecutiva affidata al ministero del ricorrente, ma all'intero Ufficio Unep, sicchè la comunicazione era avvenuta solo con i diretti destinatari della stessa, e, in ogni caso, era stata la stessa persona offesa a dare diffusione allo scritto.


2.5. Con il sesto motivo è denunciato vizio della motivazione in ordine alle statuizioni civili confermate dal giudice dell'appello senza replicare allo specifico motivo di appello.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Sono fondati il secondo e il terzo motivo di ricorso, con valore assorbente rispetto agli altri.


2. La vicenda scrutinata attiene alle parole utilizzate dall'imputato in una missiva inoltrata, nell'esercizio del mandato difensivo conferitogli nella procedura di pignoramento mobiliare, all'Ufficio NEP di Novara, e indirizzata all'ufficiale giudiziario R.R., nella quale si criticava l'operato del pubblico ufficiale. Come si è premesso, il ricorrente dubitava della credibilità di un verbale attestante la mancanza di liquidità da parte di un ufficio postale; contestava la legittimità delle motivazioni, erroneamente attestanti la invalidità e inefficacia del precetto, invece, ritualmente notificato; e qualificava il comportamento del pubblico ufficiale come un rifiuto di adempiere ai doveri dell'ufficio, anche sporgendo formale denuncia.


2.1. Il Tribunale gravato, nel ritenere integrato il delitto di diffamazione, dopo aver correttamente citato i principi elaborati da questa Corte sul diritto di critica, nonchè sui limiti a essi essenziali, ha concluso che, nel caso al suo esame, fosse stato superato il limite della continenza. Questo è stato giudicato oltrepassato per avere dubitato, il ricorrente, della credibilità di un pignoramento negativo presso Poste italiane "tanto più per le motivazioni da lei addotte, contrariamente a quanto da Lei indebitamente indicato", per avere affermato che l'ufficiale giudiziario " si sarebbe dovuto rifiutare di effettuare il pignoramento, piuttosto che effettuarlo negativo e farselo pagare!!!", e per avere aggiunto: "ritenendo del tutto illegittime le motivazioni da lei addotte a verbale, ritengo che lei abbia sostanzialmente rifiutato di adempiere ai doversi che il suo ufficio le impone", espressioni ritenute non proporzionate e non funzionali al giudizio critico, che si sono invece tradotte, secondo i giudici di merito, in accuse gravemente infamanti per la professionalità della persona offesa, in ragione dei riferimenti alla competenza e alla correttezza del comportamento dell'ufficiale giudiziario, per essere trasmodate in una aggressione verbale al R., nonchè per le umilianti e anomale richieste di risarcimento del danno conseguenti alle asserite inadempienze professionali. In virtù di tale contesto di fatto, il Tribunale ha considerato le espressioni utilizzate dall'imputato come offensive ed esorbitanti i limiti del diritto di critica, con giudizio che il Collegio non condivide.


3. Ritiene, infatti, il Collegio, che, nella condotta incriminata, non sia affatto riscontrabile l'elemento oggettivo del reato, mancando l'offesa all'onore e alla reputazione del pubblico ufficiale. In realtà, le espressioni utilizzate dal ricorrente - in specie quella secondo cui il pubblico ufficiale era venuto meno ai sui doveri - costituiscono la piena, quanto congrua, rappresentazione che il denunciante voleva fornire all'autorità per giustificare la propria censura in ordine alle modalità con cui era stata compiuta l'attività contestata, ed evidenziare la lesione che, dal censurato modus operandi, era derivata ai propri interessi patrimoniali (Sez. 5, n. 9634 del 13/01/2010, Rv 246890; Sez. 5; Sez. 5 n. 27616 del 11/02/2019 Rv. 276771); nè, dagli elementi acquisiti, era possibile escludere che quanto rappresentato nella comunicazione oggetto della imputazione rispondesse a verità.


3.1. Deve, cioè, affermarsi che non costituisce diffamazione la esposizione di una legittima doglianza rispetto ad una situazione ritenuta ingiustamente lesiva di diritti o prerogative, laddove si tratti, come nel caso di specie, di una consentita interlocuzione (tra e) con soggetti istituzionali, coinvolti nell'ambito di un contesto naturalmente "conflittuale", quale è quello proprio di una procedura esecutiva. In tale ambito, la missiva del soggetto che ha visto sfumare la possibilità di riscuotere il proprio credito professionale ha avuto il chiaro obiettivo, attraverso la rappresentazione della propria versione dei fatti, di sollecitare il ripristino della legalità ritenuta - a torto o a ragione - compromessa, e tale è, all'evidenza, il chiaro significato delle espressioni utilizzate dal mittente, preoccupato, o meglio indignato, per la compromissione dei propri interessi economici (Sez. 5, n. 23579 del 17/02/2014 Rv. 260213).


4. Alla luce dei principi e delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., perchè il fatto non sussiste, e tale determinazione assorbe gli altri motivi del ricorso.


4.1.L'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata determina la revoca di tutte le statuizioni civili adottate nei confronti dell'imputato nel giudizio di merito.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto sussiste. Revoca le statuizioni civili.


Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell'estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).


Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.


Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2020

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