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Diffamazione: sussiste comunicazione con più persone anche in caso di segreto professionale


Corte di Cassazione

La massima

In tema di diffamazione, sussiste il requisito della comunicazione con più persone anche quando uno dei due destinatari sia tenuto al segreto professionale. (Fattispecie relativa alla manifestazione di espressioni offensive della reputazione di una collega di lavoro nel corso di un incontro di mediazione con il dirigente aziendale, tenuto in forma riservata con l'assistenza di uno psicologo - Cassazione penale sez. V - 30/11/2020, n. 8890)


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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del giorno 19 dicembre 2019 (dep. il 10 gennaio 2020) il Tribunale di Firenze, a seguito dell'appello interposto nell'interesse di P.L., in riforma della sentenza del Giudice di pace di Firenze del 14 marzo 2019, ha assolto perché il fatto non sussiste la stessa P. dall'imputazione di diffamazione commessa in danno (art. 595 c.p.) di M.E. ed ha revocato le statuizioni civili in favore di quest'ultima contenute nella medesima pronuncia di primo grado.


2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la parte civile, per i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.


2.1. Con il primo motivo ha denunciato la violazione della legge penale (in particolare, dell'art. 595 c.p.), adducendo che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe escluso la tipicità del fatto dell'imputata ritenendo che P.L. non abbia proferito l'espressione offensiva a lei contestata innanzi a più persone, atteso che uno dei due soggetti presenti, ossia P.C. era tenuto al segreto professionale.


2.2. Con il secondo motivo é stata allegata la violazione della legge penale (in particolare dell'art. 51 c.p.), poiché la sentenza impugnata avrebbe ritenuto la condotta scriminata dall'esercizio del diritto di critica senza avere alcun riguardo al requisito della verità del fatto dichiarato dall'imputata e ravvisando erroneamente il requisito della pertinenza, entrambi presupposti per il riconoscimento della scriminante.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso é fondato nei termini che si espongono.


1. E' utile in primo luogo dar conto della vicenda oggetto di imputazione, come ricostruita in maniera incontestata dalle sentenze di merito. Tra P.L. e l'impresa per la quale presta attività lavorativa era un sorta una controversia di lavoro poiché , al rientro in servizio dopo l'astensione per maternità, all'imputata erano state attribuite mansioni diverse dalle precedenti che erano ormai svolte da M.E.. Il giorno (OMISSIS), nel corso di un colloquio di mediazione cui erano presenti lo psicologo C.P. e il dirigente J.A., a specifica richiesta la P. aveva manifestato l'intenzione di assumere nuovamente la mansione precedentemente svolta, il dirigente le aveva rappresentato l'impossibilità di dar corso a quanto da lei chiesto poiché i dati sensibili appresi nello svolgimento delle stesse mansioni dovevano rimanere conosciuti da poche persone, tra cui la nuova incaricata M.E.. Era in quel momento che l'imputata aveva rappresentato di aver sentito dalla propria stanza la M. diffondere il contenuto dei messaggi di posta elettronica ad altri ed aveva aggiunto che il collega R.R. le aveva confidato di aver appreso della malattia professionale di A.I. dalla propria madre, la quale era in confidenza con la madre della M.. Risulta, poi, che il dirigente aziendale avesse riferito alla M. il contenuto del colloquio, chiedendole se fosse vero che ella aveva diffuso i dati sensibili dell' A., circostanza negata dall'odierna parte civile.


Il Tribunale di Firenze ha riformato la pronuncia di condanna emessa in primo grado, ritenendo fondato il gravame interposto nell'interesse della P.. Più in particolare, ha negato la sussistenza del delitto di diffamazione, poiché l'imputata aveva espresso le proprie considerazioni sulla M. in una sede qualificata alla presenza dello psicologo aziendale tenuto al segreto professionale e del dirigente aziendale, soltanto dopo che alla M. erano state affidate le mansioni già svolte dalla P. e solo dopo che le era stato opposto un rifiuto alla nuova attribuzione delle sue vecchie mansioni; in tal modo, ad avviso del Tribunale, l'imputata ha espresso in una sede riservata e qualificata il proprio lecito diritto di critica con espressioni del tutto pertinenti all'oggetto del contendere ed espresse anche in forma contenuta.


2. Tanto premesso, con il primo motivo é stata dedotta la violazione della legge penale (deduzione che deve riferirsi alla norma sostanziale rilevante nella specie, ossia l'art. 595 c.p., e non anche all'art. 530 c.p.p. pure menzionato dal ricorrente; cfr. Sez. 5, n. 47757 del 07/10/2016, Altoé , Rv. 268404 - 01). In particolare, si é prospettata l'erronea esclusione della tipicità della condotta di P.L., sulla base dell'altrettanto erroneo assunto che ella nel caso di specie non abbia comunicato con più persone.


Alla luce della formula assolutoria impiegata ("perché il fatto non sussiste"), del fatto che il Tribunale ha espressamente affermato la fondatezza in toto dell'appello (con il quale era stata dedotta proprio tale questione), deve ritenersi che l'accoglimento del gravame sia stato integrale; nonostante la sentenza di appello non abbia affermato a chiare lettere di aver escluso l'elemento oggettivo del reato perché la P. non avrebbe comunicato con più persone, il Tribunale ha comunque fatto riferimento al fatto che - come assunto dall'appellante - uno dei due soggetti presenti, ossia C.P., fosse tenuto al segreto professionale.


2.1. La statuizione é frutto di un error iuris.


L'art. 595 c.p., incrimina chiunque, comunicando con più persone, offenda l'altrui reputazione (nei casi in cui la comunicazione non sia diretta all'offeso che vi resta estraneo; cfr. Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742 - 01; Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Vicaretti, Rv. 276502 - 01).


Questa Corte ha già rilevato che "il bene giuridico tutelato dall'art. 595 c.p., é l'onore nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (la reputazione intesa quale patrimonio di stima, di fiducia, di credito accumulato dal singolo nella società e, in particolare, nell'ambiente in cui quotidianamente vive e opera) di ciascuna persona, e l'evento é costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente, a incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino (...). Si tratta di evento, non fisico, ma, psicologico, consistente nella percezione sensoriale e intellettiva, da parte di terzi, dell'espressione offensiva" (Sez. 5, n. 39059 del 27 giugno 2019, Belpietro, Rv. 276961 - 01, che richiama, tra l'altre, Sez. 5, n. 47175 del 04/07/2013, Aquilio Ulizio, Rv. 257704).


Ebbene, nel caso di specie, la tipicità del fatto non può certo escludersi perché uno dei due soggetti (ulteriori rispetto all'imputata) presenti all'incontro di mediazione in discorso fosse lo psicologo C.P., per la dirimente considerazione che l'offesa alla reputazione della M. si era già prodotta allorché (oltre allo J.) anche il C. aveva ricevuto la comunicazione dell'espressione della P. (il cui tenore offensivo non é in discussione); e ciò a prescindere dalla circostanza che il C. fosse o meno tenuto al segreto.


E' dunque fondato il primo motivo di ricorso.


3. Il Tribunale di Firenze ha, comunque, osservato che l'imputata si é espressa in una sede qualificata - dopo che alla M. erano state affidate le mansioni già attribuite a lei e successivamente al rifiuto del dirigente di conferirle nuovamente alla stessa P. -, esercitando il proprio diritto di critica con dichiarazioni pertinenti all'oggetto del contendere ed espresse in forma contenuta. Occorre, pertanto, esaminare - al fine di decidere in ordine all'annullamento o meno della sentenza impugnata - anche il secondo motivo di ricorso.


3.1. Con il secondo motivo é stata prospettata la violazione dell'art. 51 c.p..


Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe ritenuto giustificato il fatto dell'imputata, per l'esercizio del diritto di critica in contrasto con i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità.


Infatti:


- anzitutto, nulla avrebbe argomentato sulla verità del fatto dichiarato dalla P. che sulla scorta delle dichiarazioni testimoniali risulterebbe "non veritiero"; e neppure si sarebbe espressa sulla convinzione della P. della veridicità di quanto riportato ai propri interlocutori;


- inoltre, avrebbe ritenuto la sussistenza del requisito della pertinenza, nonostante la riunione nel corso della quale la P. si era espressa nei termini predetti fosse finalizzata a mediare tra la posizione dell'imputata e quella del suo datore di lavoro e la P. avesse invece denigrato l'operato professionale della M.; in altri termini, quantunque l'oggetto dell'incontro fosse il rapporto di lavoro della P., quest'ultima avrebbe proferito espressioni offensive relative all'operato di un'altra collega perché quest'ultima l'aveva sostituita nelle sue mansioni.


3.2. Il motivo di ricorso é fondato, nei termini che si espongono.


La giurisprudenza di questa Corte é consolidata nell'affermare che "in tema di diffamazione, ai fini della applicazione dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica, non può prescindersi dal requisito della verità del fatto storico ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica" (Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, Coppola, Rv. 272432 - 01; cfr. pure Sez. 5, n. 36602 del 15/07/2010, Selmi, Rv. 248432 - 01).


Infatti, l'esercizio del diritto di critica incontra limiti "rinvenibili, secondo le linee ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, nella difesa dei diritti inviolabili, quale é quello previsto dall'art. 2 Cost., onde non é consentito attribuire ad altri fatti non veri, venendo a mancare, in tale evenienza, la finalizzazione critica dell'espressione (....). La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioé , normalmente, un contenuto di veridicità limitato alla oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse" (Sez. 5, n. 12180 del 31/01/2019, Valente).


3.3. Ebbene, nel caso di specie la sentenza impugnata, allorché ha affermato che la P. nel caso in esame aveva esercitato "il proprio lecito diritto di critica", ha fatto riferimento alla sede in cui ella si é espressa e ritenuto la pertinenza e la forma contenuta dei suoi asserti; tuttavia, la pronuncia non ha esaminato ex professo il tema della verità del fatto attribuito dall'imputata alla M.. Né dai passi della motivazione che riportano l'esito delle prove orali può trarsi che il Tribunale abbia ritenuto la veridicità degli asserti della P. (o che, ad avviso dello stesso Giudice, ella li abbia ritenuti veri per errore assolutamente scusabile: cfr. già Sez. 5, n. 11199 del 11/08/1998, Mattana, Rv. 212131 - 01), avendo piuttosto il provvedimento dato conto che: la M. ha negato di aver mai divulgato dati riservati appresi nello svolgimento della propria attività lavorativa (ammettendo solo di conoscere il collega R. e la sua famiglia); e il R. non risulta aver confermato di aver appreso dati sensibili dalla M. (avendo anzi dichiarato di esser stato lui a riferire alla madre della malattia dell' A., contrariamente a quanto affermato dall'imputata).


In conclusione, sulla scorta dei detti elementi, il Tribunale ha erroneamente applicato l'art. 51 c.p., al caso concreto, in difetto del requisito in discorso; deve, allora, ravvisarsi la dedotta violazione di legge (Sez. 5, n. 47757/2016, cit.).


4. In conclusione, in accoglimento del ricorso proposto dalla parte civile, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello (art. 622 c.p.p.).


P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.


Così deciso in Roma, il 30 novembre 2020.


Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

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