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Diffamazione: è aggravata nel caso di invio in busta chiusa senza dicitura “riservata-personale”


Corte di Cassazione

La massima

In tema di diffamazione, il requisito della comunicazione con più persone è integrato dall'invio di una denuncia al Procuratore della Repubblica e, per conoscenza, al Procuratore generale presso la Corte d'appello e al Presidente della Corte d'appello, in busta chiusa non recante la dicitura "riservata – personale", essendo tale denuncia destinata a essere conosciuta anche dagli addetti all'apertura e smistamento della corrispondenza (Cassazione penale sez. V - 08/03/2019, n. 30727).


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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Milano, in funzione di appello, ha confermato la pronuncia del Giudice di pace in sede, con la quale D.F.N. era stato dichiarato colpevole del reato di diffamazione nei confronti di P.M.R. (giudice di pace di Biella) e condannato, concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena di Euro 1.000 di multa, oltre al risarcimento del danno liquidato nella somma di Euro 1.500,00.


1.1. Si tratta dell'accusa promossa nei confronti della parte lesa, attraverso la denuncia del (OMISSIS), diretta al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Biella e, per conoscenza, al Procuratore presso la Corte di appello di Torino e al Presidente della Corte di appello di Torino, con la quale veniva esposto che l'udienza fissata per il 24 marzo era tenuta fraudolentemente il giorno precedente e che la P., avrebbe tenuto un comportamento doloso nell'ambito di una procedura avviata dal figlio del D.F., nella quale la controparte del denunciante si sarebbe procurata, con il consenso del giudice di pace, un illecito profitto avendo la certezza di conseguire il pagamento, stante il potere di imporlo con l'atto di precetto e con la minaccia di esecuzione, denunciando lo sviamento della funzione del giudice di pace, con abuso di ufficio.


2. Avverso il descritto provvedimento ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo, con i motivi di seguito riassunti, due vizi.


2.1. Il primo motivo denuncia erronea applicazione di legge penale e vizio di motivazione, con riferimento alla configurazione del reato di diffamazione e del requisito della comunicazione a più persone.


Secondo il Tribunale le modalità di spedizione dell'esposto (busta chiusa) e l'effettivo ricevimento da parte di due distinte autorità delle tre cui la denuncia era indirizzata (Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino e Presidente della Corte di appello di Torino) erano circostanze mai dedotte in primo grado, comunque non idonee a scalfire la configurabilità del reato di diffamazione, posto che, in ogni caso, la veste dei soggetti cui la denuncia era stata trasmessa per conoscenza (in veste istituzionale e, a quanto alla Presidenza della Corte di appello, quale organo titolato ad avviare procedimenti disciplinari a carico della P.) non inficia il requisito della comunicazione a più persone.


Deduce il ricorrente che tali circostanze erano state evidenziate nell'appello per chiedere l'assoluzione, al fine di sostenere che l'imputato aveva inviato la denuncia, per conoscenza, agli organismi giurisdizionali superiori, ma in busta chiusa proprio per garantirne la riservatezza e che mancala prova della comunicazione diffamatoria, circostanza sulla quale, senz'altro, l'appellante aveva ottemperato all'onere di allegazione.


2.2. Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione dell'art. 51 c.p. anche nella forma putativa di cui all'art. 59 c.p. e vizio di motivazione.


Si assume che in alcun punto dell'atto di appello, diversamente da come motivato dal Tribunale, il ricorrente aveva chiesto applicarsi l'art. 598 c.p. avendo, invece, richiesto l'applicazione della causa di giustificazione dell'art. 51 c.p.. Il D.F. avrebbe esercitato il diritto di querela, nel pieno convincimento della fondatezza di quanto denunciato. Sicchè si deduce vizio di motivazione avendo il Tribunale escluso l'applicabilità dell'esimente dell'art. 598 quale applicazione estensiva dell'art. 51 c.p., richiesta mai formulata in questi termini con il gravame.


Il Tribunale sostiene che il delitto di diffamazione non è escluso dalla convinzione della verità dei fatti narrati, ritenendo irrilevante qualsiasi indagine soggettiva sulla plausibilità delle accuse, tenuto conto che i termini utilizzati erano stati gratuitamente offensivi e del tutto sganciati dai fatti denunciati, con il chiaro scopo di denigrare pubblicamente la parte lesa.


Per contro il ricorrente assume di aver inserito nella denuncia fatti espressione del concorso in condotte fraudolente per conseguire un ingiusto profitto, senza che a tale denuncia siano aggiunte espressioni denigratorie e sovrabbondanti rispetto allo scopo informativo della denuncia e, comunque, non tali da superare il limite della continenza. Sicchè il contenuto di quanto denunciato far sorgere, in capo al denunciante, alcuna responsabilità per diffamazione, nemmeno dal punto di vista civilistico, così vanificando la funzione della denuncia non calunniosa.


3. Risulta depositata memoria della parte lesa, che ha esposto che sui fatti oggetto della denuncia inoltrata dal D.F. era stata chiesta l'archiviazione del procedimento e, su opposizione della persona offesa, disposte dal Giudice per le indagini preliminari, investigazioni, all'esito delle quali il pubblico ministero formulava nuova richiesta di archiviazione, poi accolta. Il Giudice per le indagini preliminari aveva, in definitiva, escluso la sussistenza del delitto di abuso di ufficio e rilevato l'infondatezza delle accuse, quanto alla data dell'udienza tenuta (essendo proprio il 23 la data alla quale il rinvio era stato disposto) quanto all'aver consentito ad altro soggetto un illecito profitto, considerando che il ricorso del D.F. era tardivo ed inammissibile ex lege, nonchè quanto al dolo nella liquidazione delle spese, stante la congruità della liquidazione per l'allora vigente tariffa. Infine, con riferimento al rigetto dei tre ricorsi del figlio del denunciante, si era ritenuto non censurabile, in sede penale, l'esito delle decisioni del giudice di pace, sfavorevoli alla parte.


Inoltre la parte civile confuta specificamente, gli altri due motivi di ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, in quanto infondato, deve essere rigettato.


1.1. Preliminarmente va dato atto che è pervenuta richiesta di rinvio, per impedimento a comparire del difensore dell'imputato, rigettata dalla Corte con ordinanza letta a verbale. Non si ravvisa, infatti, alcun legittimo impedimento a comparire avendo l'istante fatto presente la difficoltà del difensore, a lasciare Roma, dopo la celebrazione dell'odierna udienza, a causa dello sciopero generale dei trasporti, al fine di rientrare presso la sede di provenienza. Non viene, dunque, nemmeno dedotta l'impossibilità ad essere presente all'udienza, unica ragione di impedimento idonea a legittimare il richiesto rinvio del processo.


2. Il primo motivo è infondato.


2.1. Corretta è la qualificazione giuridica del reato di cui all'art. 595 c.p., in presenza di un esposto dal contenuto offensivo per la reputazione della parte lesa, indirizzato a distinte autorità, pur se inviato, per conoscenza ed in busta chiusa, ad organismi giurisdizionali superiori.


2.1.1. In relazione alla doglianza secondo la quale il giudice avrebbe omesso di rilevare che la comunicazione offensiva non era, in realtà, diretta a più persone, si rileva come la comunicazione, indirizzata a diverse pubbliche autorità, non risulti sia stata eseguita personalmente; nè risulta che la missiva abbia avuto carattere di riservata, sicchè anche se materialmente inoltrata in busta chiusa, è da ritenersi, in sè comunicazione diretta a più persone, proprio in considerazione della natura stessa del suo contenuto. Ed invero è stato sostenuto da questa Corte di legittimità il principio secondo il quale la destinazione alla divulgazione di una lettera gratuitamente denigratoria, può trovare il suo fondamento oltre che nell'esplicita volontà del mittente-autore, anche nella natura stessa della comunicazione, in quanto propulsiva di un determinato procedimento (giudiziario, amministrativo, disciplinare) che deve essere fisiologicamente portato a conoscenza di altre persone, diverse dall'immediato destinatario (Sez. 5, n. 26560 del 29/04/2014, Cadoria, Rv. 260229 - 01; Sez. 5, 23222 del 06/04/2011, Saccucci, Rv. 250458 - 01). Sicchè, nel caso al vaglio, trattandosi di denuncia alla Procura della Repubblica, trasmessa, per conoscenza anche agli organi titolari dell'azione disciplinare, risultata contenere fatti destituiti di fondamento, senza la dicitura "riservata-personale" ma destinata, quanto meno, ad essere conosciuta anche dagli addetti all'apertura e smistamento della corrispondenza, ricorre senz'altro il requisito della comunicazione a terzi, non potendosi, all'uopo attribuire rilievo alla materiale modalità di inoltro del plico (in busta chiusa), in quanto in sè non idonea ad assicurare la riservatezza del contenuto.


2.2. Il secondo motivo è, del pari, privo di fondamento.


Nel caso al vaglio non può ricorrere la causa di giustificazione dell'art. 51 c.p., la quale sussiste solo allorchè i fatti esposti siano veri o, quanto meno, l'accusatore sia fermamente e incolpevolmente, ancorchè erroneamente, convinto della loro veridicità.


Quanto alla presunta veridicità dei fatti narrati, si rileva che correttamente e con motivazione non manifestamente illogica il giudice di secondo grado ha valorizzato il contenuto sovrabbondante e gratuito della missiva che, lungi dal limitarsi ad una mera esposizione dei fatti denunciati, si è diffusa in giudizi ed assunti, dal contenuto altamente diffamatorio nei confronti della parte lesa, espressione del superamento consapevole dei limiti della continenza espositiva e della pertinenza contenutistica. Peraltro si osserva che, nella specie, lo scritto trasmesso a diverse autorità non aveva soltanto il contenuto di denuncia-querela, ma anche quello di esposto in ordine a fatti che avrebbero potuto condurre all'adozione, a carico del giudice di pace, odierna parte lesa, di provvedimenti di tipo disciplinare.


Dunque i limiti della continenza dello scritto, nel caso al vaglio, non possono essere i medesimi di quelli fissati in relazione alla querela, nella quale è il denunciante che assume la responsabilità del promovimento dell'esercizio dell'azione penale. Detti limiti, invece, devono essere più rigidi e ristretti, trattandosi anche di esposto indirizzato alla superiore autorità disciplinare. Sennonchè, nel caso al vaglio, l'esponente, senza contenersi alla mera esposizione dei fatti, come risulta dalla ricostruzione del giudice di secondo grado, ha inserito, nel proprio atto, espressioni denigratorie, superflue e del tutto sovrabbondanti, rispetto alla mera finalità informativa dedotta con il ricorso. Al fine di valorizzare il dolo del ricorrente, il giudice di secondo grado, inoltre, ha sottolineato la peculiare veste grafica dello scritto, il quale presenta sottolineature proprio delle frasi ritenute espressione del dolo del giudice di pace nei comportamenti denunciati.


3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 a titolo di rifusione delle spese sostenute, in favore della parte civile, liquidate in considerazione della nota spese depositata, tenendo conto dell'attività svolta.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di parte civile sostenute nel grado, che liquida in Euro 2.000,00 oltre accessori di legge.


Così deciso in Roma, il 8 marzo 2019.


Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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