di Anna Mauro
LE SEZIONI UNITE SUL DIVIETO DI AVVICINAMENTO AI LUOGHI FREQUENTATI DALLA PERSONA OFFESA.
Indice:
1. Premessa
1. Premessa
Il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa è una misura cautelare personale di tipo coercitivo istituita dall’art. 9 del d.l. n. 11 del 23 febbraio 2009 convertito, con modificazioni, dalla l. 23 aprile 2009, n. 38.
Tale misura è finalizzata ad interrompere le condotte persecutorie tenute dall’indagato già prima della verifica processuale e dell’accertamento della sua responsabilità penale e appare funzionale sia alla tutela dell’incolumità della persona offesa da aggressioni verbali o fisiche, sia alla protezione di quest’ultima dal turbamento derivante dall’incontro o dalla percezione della vicinanza con lo stalker. Il suo contenuto è duplice potendo il giudice prescrivere all’intimato di non avvicinarsi a luoghi determinati, in funzione del fatto che sono abitualmente frequentati dalla persona offesa, o imporre al medesimo di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa.
Esigenze di particolare tutela possono poi comportare, come previsto all’art. 282-ter, comma 2, cod. proc. pen., la necessità di prescrizioni ulteriori al divieto di avvicinamento alla vittima che può essere esteso anche ai luoghi abitualmente frequentati dai prossimi congiunti di questa o da suoi conviventi o ad essa legate da una relazione affettiva.
Tale divieto generale appare speculare rispetto a quello di cui al primo comma e ad esso può accompagnarsi anche l’obbligo di mantenere da tali luoghi e da tali persone una determinata distanza.
È possibile, inoltre, disporre anche il divieto di comunicazione, con qualsiasi mezzo, con le persone protette. Imprecisati temperamenti alle suddette restrizioni, del tutto rimessi alla discrezionalità del giudice, sono poi previsti nell’ultimo comma dell’art. 282-ter cod. proc. pen. quando la frequentazione dei luoghi da parte dell’imputato e della vittima sia necessaria per motivi di lavoro o esigenze abitative.
Anche se la misura cautelare di cui all’art. 282-ter cod. proc. pen. è stata introdotta in concomitanza con la previsione del delitto di atti persecutori, si è ritenuto, da una parte della dottrina, che essa possa trovare applicazione generalizzata per qualsiasi delitto che preveda una pena superiore ai tre anni di reclusione avendo l’art. 282-ter cod. proc. pen. un ambito e una portata generale.
A tal proposito, si è sottolineato che, nella disposizione in questione, sono assenti divieti legislativi e che ciò consentirebbe di ampliare il perimetro applicativo della misura al fine di evitare contatti che potrebbero essere causa di nuove violenze e di evitare ad un tempo la più grave misura degli arresti domiciliari.
Ad ogni buon conto, non può non rilevarsi che, però, è abbastanza evidente che tale misura cautelare, essendo volta ad attuare la protezione del “soggetto debole”, possa, quantomeno, trovare applicazione anche per reati “affini” al delitto di cui all’art. 612-bis cod. pen., come, ad esempio, per il delitto di lesioni aggravate, di estorsione (ove si presenti in forme attenuate di modesta gravità) e per delitti a sfondo sessuale. Sul punto, le Sezioni unite, nella sentenza in commento, hanno preso posizione chiara e inequivocabile avendo affermato, sia pure per incidens, che «non vi è ragione di escludere l’adozione della misura per reati obiettivamente di altra natura in cui risulta necessario tutelare la persona da aggressioni mirate. Quindi, non potrà mai ritenersi la misura formalmente applicabile esclusivamente per reati astrattamente conformi alla ratio del d.l. n.11 del 2009, come affermato, invece, da Sez. 4, n. 2147del 13/1/2021, Macellaro, Rv. 28048.
Non vi è alcun dubbio, si legge nella sentenza, che la legge abbia introdotto la nuova misura avendo di mira determinate materie, ma la stessa legge, in modo altrettanto indiscutibile, ha scelto di inserire la disposizione nella materia generale delle misure coercitive senza alcuna limitazione.
L’articolo del codice che prevede tale misura cautelare precede quello del divieto e obbligo di dimora (art. 283 cod. proc. pen.), misura anch’essa specificamente finalizzata ad impedire che si ripetano le occasioni lesive per le vittime di atti dannosi ed offensivi, ma anche ad interrompere possibili complicità con residenti in un determinato ambiente.
Quest’ultima misura, quindi, ha quale elemento di riferimento un preciso territorio dal quale l’indagato non può allontanarsi o nel quale non deve dimorare né accedervi senza l’autorizzazione del giudice ed è determinata dall’esigenza di tutela della collettività; la misura del divieto di avvicinamento, invece, prescinde da un preciso riferimento geografico in quanto riguarda, più genericamente, “determinati luoghi” da individuarsi con riferimento ad un preciso dato di fatto costituito dalla frequentazione di quei luoghi dalla persona offesa e mira a proteggere essenzialmente la persona offesa non solo dal pericolo di minacce e aggressioni fisiche, ma, anche, dal turbamento che le deriva dalla percezione dello stalker.
2. La questione sottoposta al vaglio delle Sezioni unite
Con un’articolata ordinanza, del 28.1.2021, dep. il 1.3.2021, la Sesta Sezione ha richiesto al Primo Presidente di valutare la rimessione degli atti alle Sezioni Unite sulla questione, oggetto di conflitto in giurisprudenza, così cristallizzata nella formulazione dell’Ufficio del Massimario: «Se, nel disporre la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, ex art. 282-ter cod. proc. pen., il giudice debba determinare specificatamente i luoghi oggetto di tale divieto».
Il Collegio, ricostruita la vicenda processuale, ha evidenziato la sussistenza di un contrasto interpretativo sulla questione concernente l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 282-ter, co. 1, cod. proc. pen: secondo un primo orientamento, formatasi soprattutto in riferimento al reato di maltrattamenti, occorre specificare i luoghi a cui l’intimato non deve avvicinarsi poiché in tal modo si assicura completezza e specificità al provvedimento, se ne favorisce l’esecuzione e si agevola il controllo in ordine al rispetto delle prescrizioni in esso contenute; secondo altra opzione interpretativa, formatosi soprattutto con riferimento al delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis cod. pen., ove la condotta si connoti per la persistente e invasiva ricerca di contatto con la vittima, non occorre specificare i luoghi in relazione ai quali è fatto divieto di avvicinamento in quanto siffatto divieto è riferito non ai luoghi, ma alla persona offesa, ovunque essa si trovi. La specificazione dei luoghi, per tale orientamento, trova giustificazione solo quando le modalità della condotta non manifestino un campo di azione che esuli dai luoghi che costituiscono punti di riferimento della vita.
La Sezione rimettente ha osservato, preliminarmente, che la lettera della legge non offre indicazioni dirimenti circa la correttezza e l’adeguatezza dell’una o dell’altra opzione interpretativa e che la congiunzione «o» adoperata dal legislatore nell’art. 282-ter cod. proc. pen. — «con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, anche disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’art. 275-bis.» — non appare determinante in relazione alla scelta dell’una o dell’altra opzione interpretativa.
Il Collegio, quindi, ha evidenziato che non necessariamente le due opzioni interpretative tratteggiate sono da intendersi in termini di alternatività occorrendo, piuttosto, «l’adozione delle opportune precisazioni circa i limiti di applicazione delle prescrizioni secondo le necessità richieste dalla specificità del caso» e che «l’art. 282-ter cod. proc. pen. consente di modulare il divieto di avvicinamento sia guardando ai luoghi frequentati dalla vittima che prendendo come parametro di riferimento direttamente il soggetto che ha patito l’azione delittuosa, potendo l’iniziativa cautelare essere strutturata imponendo all’indagato di tenersi ad una certa distanza dalla vittima».
A tal proposito, ha richiamato la decisione adottata sempre dalla Sezione sesta, con la sentenza n. 2866 del 23/6/2015, J.A.K.W.S., che si pone in una posizione intermedia tra i due contrapposti orientamenti e che ritiene che i due profili di possibile intervento cautelare «ben possono convivere all’interno dello stesso provvedimento» in quanto non si tratta «di due misure, ma di un’unica misura con contenuto flessibile da declinare a seconda delle esigenze di neutralizzazione del rischio di reiterazione imposte dal caso di specie».
Lo sforzo interpretativo, si è affermato nell’ordinanza di rimessione, dovrà, dunque, misurarsi non necessariamente in termini di alternatività, ma piuttosto adottando opportune precisazioni circa i limiti di applicazione delle prescrizioni secondo le necessità del caso. Se il provvedimento si limita a fare riferimento alla persona offesa e non anche ai luoghi da questa frequentati, per la sezione rimettente, «non è necessario delimitare attraverso l’indicazione di luoghi ben individuati, il perimetro di operatività del divieto», mentre, quando fa riferimento anche ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, allora «il divieto di avvicinamento deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi rispetto ai quali è inibito l’accesso all’indagato». Il contenuto flessibile della norma in questione consente all’interprete di adattare la misura alle caratteristiche del fatto e alla pericolosità dell’indagato, sia guardando ai luoghi frequentati dalla vittima, sia prendendo come parametro di riferimento direttamente il soggetto che ha patito l’azione delittuosa.
Nel primo caso, il divieto di avvicinamento dovrebbe necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi rispetto ai quali è inibito l’accesso all’indagato, mentre, nel secondo, non occorrerebbe delimitare il perimetro di operatività del divieto.
3. I punti essenziali del contrasto
Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, è necessario determinare specificamente i luoghi oggetto del divieto di avvicinamento alla persona offesa. Per tale opzione ermeneutica, siffatto principio trova la sua ragion d’essere non solo perché il dato normativo fa espresso riferimento a luoghi “determinati”, ma anche perché, diversamente ragionando, l’indagato verrebbe assoggettato a limitazioni della propria libertà personale di carattere indefinito. Solo tipizzando la misura, si afferma, il provvedimento cautelare assume una conformazione completa, che consente il controllo delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che la legge intende assicurare, garantendo, così, il giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza, improntate alla tutela della vittima, e il minor sacrificio della persona sottoposta ad indagini.
Tale filone interpretativo trova la sua prima espressione nella sentenza della Sez. 6, n. 26819 del 7/4/2011, C., , Rv. 250728-01, in cui si afferma che «il provvedimento con cui il giudice dispone, ex art. 282-ter cod. proc. pen., il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi oggetto del divieto, perché solo in tal modo il provvedimento assume una conformazione completa, che ne consente l’esecuzione ed il controllo delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che si vuole assicurare».
Nella specie, la Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata che poneva all’indagato, per i reati di atti persecutori, maltrattamenti e lesioni commessi ai danni del coniuge separato, il generico divieto di avvicinarsi “a tutti i luoghi frequentati dalla persona offesa”. In linea con tale orientamento, si pongono, sia pure talvolta con alcune peculiarità, Sez. 5, n. 27798 del 4/4/2013, S., Rv. 257697-01; Sez. 6, n. 14766 del 18/3/2014, F., Rv. 261721- 01; sez. 5, n. 495 del 21/10/2014, dep. 2015, S.G.N.; Sez. 5, n. 5664 del 10/12/2014, B., dep. 2015, Rv. 262149-01; Sez. 6, n. 8333 del 22/1/2015, R., Rv. 262456-01; Sez. 5, n. 28225 del 26/5/2015, Rv. 265297-01; Sez. 3, n. 1629 del 6/10/2015, dep. 2016, V. che, sempre con riferimento alla misura disposta in relazione ai reati di atti persecutori, maltrattamenti in famiglia e lesioni, esprimono sostanzialmente tutte il medesimo principio di cui si è detto.
Secondo l’orientamento in esame il generico riferimento ai “luoghi frequentati dalla persona offesa”, senza alcuna ulteriore individuazione, viola la prescrizione normativa là dove essa prevede che il divieto di avvicinamento si riferisca a luoghi determinati.
È, quindi, necessaria un’opera di determinazione che il legislatore – a differenza che per le altre misure cautelari ordinarie il cui contenuto è interamente predeterminato – affida al giudice della cautela che dovrà formare un catalogo dei luoghi interdetti al destinatario della misura perché “abitualmente frequentati dalla persona offesa”. In altri termini, al giudice spetta il compito, «oltre che di verificare i presupposti applicativi ordinari, di riempire la misura di quelle prescrizioni essenziali per raggiungere l’obiettivo cautelare ovvero per limitare le conseguenze della misura stessa».
L’efficacia della misura cautelare ex art. 282-ter cod. proc. pen., preordinata ad evitare il pericolo di reiterazione delle condotte illecite è, pertanto, subordinata al contenuto delle prescrizioni imposte, nel senso che essa deve essere modellata in relazione alla situazione di fatto. Il tasso di determinatezza del provvedimento è, altresì, funzionale a garantirne l’esecuzione e a consentire il controllo delle relative prescrizioni.
Completezza e specificità del provvedimento costituiscono, dunque, «una garanzia per il giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza, incentrate sulla tutela della vittima, e il minor sacrificio della persona sottoposta ad indagini».
Viceversa, la misura cautelare ex art. 282-ter cod. proc. pen., riferita genericamente “a tutti i luoghi frequentati dalla vittima”, non rispetta il disposto normativo e si risolve nell’inaccettabile imposizione all’indagato di una condotta di non facere indeterminata rispetto ai luoghi, la cui individuazione finisce per essere di fatto rimessa «alle decisioni (o anche al capriccio) dell’offeso, a cui sarebbe rimesso sostanzialmente di stabilire il contenuto della misura.
Tanto … anche nel caso la frequentazione avvenga, con priorità, da parte della persona sottoposta ad indagini, con la conseguenza – a dir poco paradossale - di imporgli un facere (allontanarsi dal luogo) anche quando sia la persona offesa ad avvicinarsi ad esso» (cosi, Sez. 5, n. 5664/2014, dep. 2015, cit.).
Per tale opzione interpretativa, dunque, è illegittima l’ordinanza che dispone, ex art. 282-ter cod. proc. pen., il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa senza determinare specificamente i luoghi oggetto di divieto, considerato che, in tal caso, all’indagato non è consentito – ferma restando la necessità che egli non si accosti fisicamente alla persona offesa ovunque la possa intercettare – di conoscere preventivamente i luoghi ai quali gli è inibito l’accesso in via assoluta, in quanto frequentati dalla persona offesa, luoghi che, pertanto, devono essere esattamente indicati.
Si specifica, inoltre, che il giudice potrà efficacemente riempire di contenuti la misura ove il pubblico ministero nella propria richiesta (e ancor prima la polizia giudiziaria) rappresenti al giudice non solo gli elementi essenziali per l’applicazione della misura stessa, ma anche quelli «apparentemente di contorno» utili per individuare dettagliatamente i luoghi precisi abitualmente frequentati dalla persona offesa o dai suoi parenti e per meglio motivare il provvedimento cautelare (in termini, Sez. 5, n. 8333/2015, cit.).
Nella sentenza n. 26819/2011 si afferma, inoltre, che anche con riferimento all’altra prescrizione di “mantenere una determinata distanza” deve escludersi che tale ordine possa riferirsi ad incontri occasionali non cercati volontariamente dall’intimato poiché, ragionando diversamente, «si porrebbe a suo carico un divieto indeterminato, la cui inosservanza potrebbe risultare non voluta in quanto del tutto casuale».
In conclusione, dunque, la specificità e la determinatezza del provvedimento reso a norma dell’art. 282-ter cod. proc. pen. sono indispensabili per assicurare protezione efficace alla persona offesa e al tempo stesso per garantire la legalità delle restrizioni imposte alla libertà dell’indagato.
Secondo un diverso indirizzo interpretativo, formatosi, si ripete, prevalentemente con riferimento al delitto di atti persecutori, quando la condotta si connota per una persistente ricerca di avvicinamento della vittima, è legittimo il provvedimento che, ex art. 282-ter cod. proc. pen., dispone il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa senza indicare dettagliatamente i luoghi oggetto di divieto, dovendo la predetta individuazione avvenire con riferimento ai luoghi in cui, di volta in volta, venga a trovarsi l’offeso.
Si è anche affermato che, sempre nel caso di persistente ricerca di avvicinamento della vittima, è legittimo il provvedimento che obblighi il destinatario della misura a mantenere una certa distanza dalla persona offesa, ovunque questa si trovi, senza specificare i luoghi oggetto del divieto.
Si sono espresse, in tal senso, sempre con talune peculiarità e sempre prevalentemente con riferimento alla misura disposta in tema di atti persecutori, Sez. 5, n. 13568 del 16/1/2012, V., Rv. 253296-01 e 253297-01; Sez. 5, n. 36887 del 16/1/2013, A., Rv. 257184-01; Sez. 5, n. 14297 del 27/2/2013, F.; Sez. 5, n.19552 del 26/3/2013, D.R., Rv.255512-01 e Rv.255513-01; Sez. 5, n. 48395 del 25/9/2014, P., Rv. 264210-01; Sez. 6, n. 28666 del 23/6/2015, I.A.K.W.S.; Sez. 5, n. 30926 dell’8/3/2016, S., Rv. 267792-01; Sez. 5, n. 28677 del 14/3/2016, C., Rv. 267371-01; Sez. 6, n. 42021 del 13/9/2016, C, Rv. 267898-01; Sez. 3, n. 19180 del 14/3/2018, Otranto; Sez. 5, n. 18139 del 26/3/2018, B., Rv. 273173-01; Sez. 5, n. 7633 del 29/1/2019, Singh; Sez. 6, n. 44906 del 18/9/2019, M.; Sez. 5, n. 1541 del 17/11/2020, dep. 2021, L., Rv. 280491-02; Sez. 6, n. 2242 del 19/1/2021, F. Detta giurisprudenza pone in evidenza che l’individuazione dei luoghi non può che essere fatta per relationem con riferimento ai luoghi in cui, di volta in volta, venga a trovarsi la persona offesa in quanto, ragionando diversamente, non potendo a priori, da parte del giudice, individuarsi e, quindi, elencarsi, tutti i posti in cui quest’ultima potrebbe trovarsi, sarebbe legittima la compresenza nel medesimo luogo sia dell’imputato sia della vittima, con la conseguenza che verrebbe ad essere frustrata la ratio della norma che è quella di tutelare, nel modo più completo possibile, il diritto della persona offesa di circolare liberamente in condizioni di assoluta sicurezza.
In forza, dunque, di un provvedimento giudiziale che non elenchi in modo tassativo i luoghi non frequentabili dall’ imputato, questi dovrà immediatamente allontanarsi dal posto in cui sia pure casualmente venga a trovarsi anche la persona offesa. «L’indicazione specifica nel titolo cautelare dei luoghi oggetto del divieto attiene solo a quelli in cui l’accesso è inibito in via assoluta all’indagato» (cosi, da ultimo, Sez. 6, n. 2242/2021); solo in tal modo, si afferma, può essere adeguatamente tutelata l’incolumità della persona offesa e garantita la libertà di circolazione e il completo svolgimento, in sicurezza, della sua vita di relazione.
Nella citata sentenza n. 13568/2012 si evidenzia che «il divieto di avvicinamento previsto dall’art. 282-ter cod. proc. pen. riferendosi alla persona offesa in quanto tale, e non solo ai luoghi da questa frequentati, esprime una precisa scelta normativa di privilegio della libertà di circolazione del soggetto passivo ovvero di priorità dell’esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza, anche laddove la condotta di persistenza persecutoria non sia legata a particolari ambiti locali; con la conseguenza che il contenuto concreto della misura in questione deve modellarsi rispetto alla predetta esigenza e che la tutela della libertà di circolazione e di relazione della persona offesa non trova limitazioni nella sola sfera del lavoro, degli affetti familiari e degli ambiti ad essa assimilabili» e, ancora, che «la misura cautelare del divieto di avvicinamento, prevista dall’art. 282-ter cod. proc. pen., può contenere anche prescrizioni riferite direttamente alla persona offesa ed ai luoghi in cui essa si trovi, aventi un contenuto coercitivo sufficientemente definito nell’imporre di evitare contatti ravvicinati con la vittima, la presenza della quale in un certo luogo è sufficiente ad indicare lo stesso come precluso all’accesso dell’indagato».
Secondo questo orientamento, il presupposto della misura in questione è da individuarsi «nella sussistenza di esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa», e ciò sia su un piano prettamente statico e, quindi, limitato al luogo di abitazione della persona offesa, sia su un piano dinamico là dove le circostanze rendano concreto il pericolo di un’aggressione della stessa nel corso dello svolgimento della sua vita di relazione.
La tutela “dinamica” della persona offesa rappresenta il naturale epilogo di un percorso normativo segnato da due interventi: il primo, attuato con l’art. 1 della legge 4 aprile 2001, n. 154 e il secondo che, con il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con legge 23 aprile 2009, n. 38, ha introdotto la nuova fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612-bis cod. pen. e previsto, altresì, all’art. 9, il divieto di avvicinamento di cui all’art. 282-ter, comma 1, cod. proc. pen.
Alla luce del quadro normativo di riferimento, si è quindi affermato, nelle sentenze sopra riportate, che l’art. 282-ter cod. proc. pen. «si inserisce coerentemente nelle finalità di tutela che si è visto essere proprie della misura in esame nella preesistente previsione di cui all’art. 282-bis, con il palese scopo di rendere detta tutela più efficace in determinate situazioni » e si è evidenziato che è particolarmente significativo che la disposizione sia stata introdotta contestualmente alla previsione del delitto di atti persecutori, il quale ha quali manifestazioni tipiche il costante pedinamento della vittima nonché l’assunzione di atteggiamenti minacciosi e intimidatori anche in assenza di diretto contatto fisico con la persona offesa e pur tuttavia dalla stessa percepibili.
Ciò che si mette in risalto, in particolare, nelle suddette decisioni (si v., a proposito, Sez. 5, n. 13568 del 16/1/2012, V., Rv. 253296-01) è che le disposizioni di cui all’art. 282-ter cod. proc. pen., a differenza di quelle di cui all’art. 282-bis cod. proc. pen., fanno testuale riferimento, nel disciplinare il divieto di avvicinamento, «non più solo ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ma altresì alla persona offesa in quanto tale», e che, pertanto, costituiscono espressione di una precisa scelta normativa che privilegia la libertà di circolazione del soggetto passivo, garantendone l’incolumità anche quando la condotta dell’autore non sia legata a particolari ambiti locali.
Con la conseguenza che «l’originaria indicazione dei luoghi determinati frequentati dalla persona offesa rimane … significativa nel caso in cui le modalità della condotta criminosa non manifestino un campo d’azione che esuli dai luoghi nei quali la vittima trascorra una parte apprezzabile del proprio tempo o costituiscano punti di riferimento della propria quotidianità di vita, quali quelli indicati dall’art. 282-bis cod. proc. pen. nel luogo di lavoro o di domicilio della famiglia di provenienza. [Viceversa], laddove […], ed è situazione ricorrente per il reato di cui all’art. 612-bis cod. pen., la condotta oggetto della temuta reiterazione abbia i connotati della persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo in cui la stessa si trovi, è prevista la possibilità di individuare la stessa persona offesa, e non i luoghi da essa frequentati, come riferimento centrale del divieto di avvicinamento». In quest’ultimo caso, per l’orientamento in esame, non ha rilevanza l’individuazione di luoghi di abituale frequentazione della vittima, in quanto «dimensione essenziale della misura è […] a questo punto il divieto di avvicinamento a quest’ultima nel corso della sua vita quotidiana, ovunque essa si svolga». In questo senso, la giurisprudenza in esame precisa che «imporre una predeterminazione dei luoghi nel caso in cui sussista una persistente e invasiva ricerca di contatto con la vittima, in qualsiasi luogo in cui essa si trovi, significherebbe porre un’inammissibile limitazione del libero svolgimento della vita sociale della persona offesa, che viceversa costituisce precipuo oggetto di tutela della norma».
L’ambito di operatività dell’art. 282-ter cod. proc. pen., dunque, non si presta a censure di indeterminatezza giacché «le prescrizioni, anche nel generico riferimento al divieto di avvicinamento alla persona offesa e ai luoghi in cui la stessa si trovi, mantengono […] un contenuto coercitivo sufficientemente definito nell’essenziale imposizione di evitare contatti ravvicinati con la vittima, la presenza della quale in un certo luogo è sufficiente ad indicare lo stesso come precluso all’accesso dell’indagato» (così espressamente le sentenze n. 13568/2012, e n. 48395/2014 nonché, sostanzialmente nei medesimi termini, le sentenze n. 19552/2013 e n. 36887/2013, tutte citate).
L’opzione ermeneutica privilegiata, si osserva, inoltre, non è smentita nelle previsioni della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio U.E. n. 2001 del 13 dicembre 2011, in tema di ordine di protezione Europeo, in quanto l’art. 5, lett. c) – che contempla il divieto di avvicinamento alla persona protetta entro un perimetro definito - si attaglia alla previsione dell’art. 282-ter del codice di rito, richiedendo «soltanto che sia definito il perimetro all’interno del quale scatta la protezione», prescrizione che, tuttavia, come si è visto, per la giurisprudenza in esame, non sempre è possibile adottare, essendo talora imprevedibile la stessa evenienza che le due persone vengano occasionalmente in contatto.
Ne consegue che appare più ragionevole, e di maggior garanzia per gli stessi diritti di colui che viene gravato dal divieto, la soluzione che impone allo stalker di non avvicinarsi a tutti i luoghi frequentati dalla vittima, e comunque di allontanarsi da detti luoghi ove quest’ultima, «anche al di là delle […] abitudini di vita», si trovi occasionalmente. In altri termini: «fermo restando che gli è proibito di avvicinarsi ai normali recapiti della vittima, lo stalker può recarsi dove vuole, salvo doversene allontanare qualora abbia ad incontrare – anche imprevedibilmente – le persone da tutelare».
4. La decisione delle Sezioni unite
Le Sezioni unite, con la sentenza n. 3905 del 29/4/2021, Guercio, Rv. 281957, hanno affermato il seguente principio di diritto: «Il giudice che, con provvedimento specificamente motivato e nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, disponga, anche cumulativamente, le misure cautelari del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa e/o di mantenimento della distanza dai medesimi, deve indicarli specificamente, mentre, nel caso in cui reputi necessaria e sufficiente la sola misura dell’obbligo di mantenersi a distanza dalla persona offesa, non è tenuto ad indicare i relativi luoghi, potendo limitarsi a determinare la stessa».
Nella sentenza si osserva, in via preliminare, che, a ben vedere, la diversità di decisioni che ha dato luogo al contrasto appare determinata anche da differenti situazioni di fatto nelle singole vicende e che, conseguentemente, non necessariamente esse devono intendersi in termini di alternatività poiché il dettato normativo consente di «modulare il divieto di avvicinamento sia guardando ai luoghi frequentati dalla vittima che prendendo come parametro di riferimento il soggetto che ha patito l’azione delittuosa, potendo l’iniziativa cautelare essere strutturata imponendo all’indagato di tenersi ad una certa distanza dalla vittima». Sottolineano, quindi, le Sezioni unite che la finalità a cui tende la previsione normativa in esame è unica ed è da ravvisarsi nell’esigenza di evitare il contatto tra indagato e persona offesa e che le due prescrizioni possibili, previste dall’art. 282-ter, comma 2, cod. pen, non hanno riguardo a due misure cautelari diverse, eventualmente subordinate tra loro, ma ad un’unica misura modulabile con più prescrizioni, la cui somma non ha l’effetto di creare «una ‘nuova’ misura non corrispondente al paradigma normativo tipico».
Spetta, dunque, al giudice il compito di «determinare in concreto le modalità più idonee al caso concreto» in modo da tutelare, da un lato, le esigenze della vittima e, dall’altro, anche la libertà personale dell’indagato.
La misura, in altri termini, deve essere graduata «secondo il concreto rischio del caso concreto» avuto riguardo al diritto della persona offesa di poter godere di tranquillità e libertà, di frequentare i luoghi a lei abituali e di muoversi, tranquillamente, anche al di fuori di un contesto predeterminato, libera dal timore che possa essere minacciata la sua libertà fisica e morale.
L’interpretazione letterale della disposizione in esame, osserva ancora la Corte, è lineare ed univoca poiché, al primo comma, viene correlato il divieto di avvicinamento a luoghi “determinati”, abitualmente frequentati dalla parte offesa ovvero l’obbligo di mantenimento di una determinata distanza da “tali luoghi”. All’interpretazione letterale deve, poi, seguire quella logico-sistematica e una valutazione di compatibilità con i principi fondamentali in tema di diritti costituzionali di libertà e locomozione che solo prima facie parrebbero giustificare una lettura “contraria” alla possibilità di un divieto “dinamico” di avvicinamento alla persona offesa (sostenuta dal primo degli orientamenti riportati secondo cui – così, Sez. 6, n. 26819/2011 –, quando la misura si fonda sulla posizione “mobile” e imprevedibile della persona offesa, diviene «sostanzialmente ineseguibile tanto da conferire natura quasi abnorme alla misura disposta, ancor più se si considera che l’obbligo troverebbe applicazione persino nel caso in cui non sia l’indagato a cercare volontariamente il contatto con la vittima»).
Evidenziano, in senso opposto, le Sezioni unite che, quest’ultima obiezione è facilmente superabile in quanto, ove vengano fornite adeguate indicazioni sulla distanza da tenere, la misura risulta specifica ed esigibile.
Del resto, rileva ancora la Corte, solo le violazioni dolose delle prescrizioni hanno rilevanza, di talché non vi è motivo per ipotizzare il pericolo di applicare una sanzione per un incontro involontario. La misura del divieto di avvicinamento di cui all’art. 282-ter cod. proc. pen. comporta indubbiamente la limitazione della libertà di movimento dell’intimato e, pertanto, qualunque questione che a tale misura sia connessa non può prescindere dalle considerazioni che le Sezioni unite svolgono in ordine al nesso con le norme costituzionali che hanno riguardo ad uno dei valori primari dell’individuo e, cioè, la libertà. Il concetto in parola richiama immediatamente alla mente l’art. 13 Cost. che esordisce affermando che «La libertà personale è inviolabile». La lettura di tale disposizione evoca, quindi, la rubrica di cui all’art. 272 cod. proc. pen. — primo tra gli articoli che, nel codice di rito, disciplinano le misure cautelari personali — così formulata «Limitazioni alle libertà della persona».
Tale generico e ampio richiamo alle libertà della persona e non più alla libertà personale induce a ritenere che il legislatore codicistico abbia pensato, nel formulare siffatta disposizione di apertura del Titolo IV, dedicato alle misure cautelari personali, non solo a strumenti idonei ad incidere sulla libertà personale stricto sensu intesa, ma anche a misure volte a comprimere altri diritti fondamentali dell’individuo, quali la libertà di movimento e di circolazione.
Le Sezioni unite, quindi, hanno sottolineato che la formulazione ampia e generalizzata del primo comma dell’art. 13 Cost. e il riferimento nella formula di chiusura del secondo comma a «qualsiasi altra restrizione della libertà personale» fa intendere che quest’ultima è qualcosa di altro delle restrizioni ivi specificate in modo esemplificativo e non certo tassativo e che l’inserimento nell’art. 13 del divieto esplicito di qualsiasi altra restrizione oltre quelle già elencate fa intendere che il Costituente ha voluto garantire non solo quelle restrizioni che annullano totalmente, attraverso misure coercitive, la disponibilità che l’individuo ha della propria persona fisica (detenzione, ispezione o perquisizione personale), ma anche altre privazioni della libertà personale che comprimono o restringono tale libertà.
Sulla scorta della lettura dell’art. 13 Cost., le Sezioni unite, quindi, hanno affermato che non vi è ragione di dubitare della piena conformità della misura in questione, al pari delle altre misure degli arresti domiciliari e della custodia cautelare in carcere, ai principi costituzionali fondamentali che trovano disciplina nell’art. 13 Cost., sulle cui basi deve poggiare il provvedimento giudiziale che dovrà essere informato, quindi, ai principi di gradualità, adeguatezza e proporzionalità.
La necessaria tipicità dei provvedimenti restrittivi e le necessarie garanzie della libertà personale richiedono, a fronte della scarna tipizzazione normativa dei contenuti della misura la necessaria “compensazione” di un provvedimento giudiziale particolarmente rigoroso e, pertanto, nel disporre e modulare la misura, il giudice dovrà considerare l’incidenza della stessa nelle sorti e nella vita dell’intimato.
Pur non essendo di secondaria importanza la vera novità introdotta dall’art. 282-ter cod. proc. pen., che è costituita dall’aver creato «uno schermo di protezione» attorno alla vittima, si osserva nella sentenza in commento, che la misura in questione «ha un profilo di favore proprio per l’indagato che, certamente, vedrà una minore limitazione della propria libertà rispetto alle altre misure maggiormente afflittive (artt. 284 e ss. cod. proc. pen.) in grado di impedire il contatto fisico e visivo con la persona offesa.[…] Se, quindi, si dovesse affermare l’impossibilità di applicare un divieto di avvicinamento "mobile" ovunque si trovi la parte offesa, non può sottovalutarsi la tutela del diritto della persona nei cui confronti viene disposta la misura e la spiccata vocazione di siffatti provvedimenti alla funzione special-preventiva propria non del diritto processuale, quanto piuttosto del diritto penale sostanziale».
Tali considerazioni portano, quindi, la Corte a poter superare agevolmente l’obiezione del primo degli orientamenti riportati in ordine all’ "eccessiva gravosità" della misura e ad affermare che essa «proprio per la sua peculiarità rispetto alle misure "generaliste", non solo non è troppo afflittiva ma, anzi, riduce al massimo la compressione dei diritti di libertà dell’indagato limitandoli, ben più di altre misure, a quanto strettamente utile alla tutela della vittima».
In conclusione, quindi, la prescrizione del divieto di avvicinamento ai "luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa" non può prescindere dalla chiara indicazione di quali siano tali luoghi in modo da garantire alla persona offesa la libertà nei suoi contesti quotidiani.
In questo caso, è del tutto irrilevante che la persona offesa sia presente o meno: il divieto vale anche se all’indagato è noto che il soggetto protetto si trovi in tutt’altro posto; semplicemente, sia per la massima garanzia della vittima che per la facilità ed efficacia dei controlli, l’indagato deve sempre e comunque tenersi a distanza da tali luoghi che potranno anche essere indicati in forma indiretta, purché si raggiunga la finalità di dare certezza all’indagato sulla estensione del divieto.
Ne consegue che, avendo l’indagato l’obbligo di non cercare il contatto con la persona offesa, persino in ipotesi d’incontro casuale, egli, acquisita la consapevolezza della presenza della persona offesa, è tenuto ad allontanarsi, ripristinando la distanza determinata a lui imposta.
In tal modo, dunque, le Sezioni unite hanno tracciato la via perché possa attuarsi il difficile equilibrio tra le esigenze di tutela della vittima e le imprescindibili esigenze di garanzia dei diritti costituzionali dell’indagato al fine di assicurare concreta efficacia alle misure utili per far fronte e prevenire sviluppi criminogeni potenzialmente degenerativi di cui è sempre più densa la cronaca quasi quotidiana.
Indice delle sentenze citate Sentenze della Corte di cassazione Sez. 6, n. 26819 del 7/4/2011, C., , Rv. 250728-01 Sez. 5, n. 13568 del 16/1/2012, V., Rv. 253296-01 e 253297-01 Sez. 5, n. 36887 del 16/1/2013, A., Rv. 257184-01 Sez. 5, n. 14297 del 27/2/2013, F. Sez. 5, n.19552 del 26/3/2013, D.R., Rv. 255512-01 e Rv. 255513-01 Sez. 5, n. 27798 del 4/4/2013, S., Rv. 257697-01 Sez. 6, n. 14766 del 18/3/2014, F., Rv. 261721-01 Sez. 5, n. 48395 del 25/9/2014, P., Rv. 264210-01 Sez. 5, n. 5664 del 10/12/2014, B., Rv. 262149-01 Sez. 5, n. 495 del 21/10/2014, dep. 2015, S.G.N. Sez. 6, n. 8333 del 22/1/2015, R., Rv. 262456-01 Sez. 5, n. 28225 del 26/5/2015, Rv. 265297-01 Sez. 6, n. 28666 del 23/6/2015, I.A.K.W.S. Sez. 3, n.1628 del 6/10/2015, V. Sez. 5, n. 30926 dell’8/3/2016, S., Rv. 267792-01 Sez. 5, n. 28677 del 14/3/2016, C., Rv. 267371-01 Sez. 6, n. 42021 del 13/9/2016, C, Rv. 267898-01 Sez. 3, n. 19180 del 14/3/2018, Otranto Sez. 5, n. 18139 del 26/3/2018, B., Rv. 273173-01 Sez. 5, n. 7633 del 29/1/2019, Singh Sez. 6, n. 44906 del 19/9/2019, M. Sez. 5, n. 1541 del 17/11/2020, dep. 2021, L., Rv. 280491-02
Fonte: CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ufficio del Massimario Rassegna della giurisprudenza di legittimità Gli orientamenti delle Sezioni Penali Anno 2021 VOLUME II