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Non può invocarsi l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni se si chiede, con minaccia, un risarcimento senza accertamento giudiziale (Cass. Pen. n. 12497/2025)


La pronuncia in esame affronta un tema di particolare rilievo nei rapporti tra il reato di estorsione (art. 629 c.p.) e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.), soffermandosi inoltre sulla questione, assai dibattuta, del riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di lieve entità a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 2023.


Fatto

Con sentenza del 7 ottobre 2024, la Corte d'appello di Milano ha confermato la condanna pronunciata dal Tribunale di Alessandria nei confronti di C.T., imputata del reato di estorsione aggravata. L'imputata era accusata di aver preteso, con modalità intimidatorie, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, ritenendo che la persona offesa le avesse sottratto due telefoni cellulari.


Decisione

La Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando come le doglianze prospettate fossero, da un lato, in fatto e dunque non scrutinabili in sede di legittimità, e, dall'altro, inammissibili in relazione alla mancata proposizione, in appello, della questione relativa alla circostanza attenuante del fatto di lieve entità.


Principi di diritto

Violazione di legge e vizio di motivazione

La Corte ha ribadito il principio secondo cui non è configurabile il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.) nel caso in cui un soggetto pretenda, con violenza o minaccia, la restituzione di un bene ovvero il pagamento di una somma di denaro da un soggetto solo sospettato di aver commesso un reato in danno dell'agente. In mancanza di un accertamento giudiziale, la pretesa diviene arbitraria e l'uso della violenza la qualifica come estorsione.


Fatto di lieve entità e pronuncia della Corte costituzionale n. 120/2023

La Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il secondo motivo, chiarendo che il mancato riconoscimento della nuova attenuante prevista dalla sentenza n. 120/2023 non è deducibile in cassazione se la questione non è stata specificamente sollevata in appello. Il giudice può applicare la diminuente anche d'ufficio, ma l'omesso esercizio di tale potere non costituisce vizio censurabile, salvo che l'attenuante non sia mai stata prospettata neanche implicitamente.

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