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Evasione fiscale: l’accertamento induttivo è sufficiente a fondare la responsabilità penale?


evasione fiscale - reato


Con la sentenza n.32683/24, la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità dell'utilizzo del metodo induttivo, basato su movimentazioni bancarie, per la ricostruzione dei volumi d'affari.

Nel caso di specie, la Corte ha respinto il ricorso di un imputato, condannato per evasione fiscale, che contestava l'applicazione di tale metodo e la mancanza di prove specifiche sui costi sostenuti.

La decisione afferma che il giudice penale può fondare il proprio convincimento su presunzioni induttive, qualora supportate da elementi documentali, e chiarisce l'onere della prova in capo all'imputato nel giustificare le spese deducibili.


La vicenda processuale

Pi.An. era stato condannato in primo grado dal Tribunale di Rimini per reati di natura fiscale, in particolare per omessa dichiarazione e indebita detrazione di costi non giustificati, relativi agli anni d’imposta 2011 e 2012.

La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza del 15 dicembre 2023, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, dichiarando prescritti i reati limitatamente all’anno 2011, ma confermando la condanna per i fatti relativi al 2012, riducendo la pena e l'ammontare della confisca.

Pi.An. aveva quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando in particolare l’uso del metodo induttivo puro per la ricostruzione dei ricavi da parte dei giudici di merito.

Sosteneva che le movimentazioni bancarie non avrebbero potuto essere considerate come univoci elementi probatori senza riscontri precisi e contestava l'assenza di documentazione adeguata, come questionari e fatture.


La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo manifestamente infondato, e ha confermato la piena legittimità del metodo induttivo adottato dai giudici di merito.

Secondo la giurisprudenza consolidata, infatti, è consentito al giudice penale basarsi su elementi induttivi e su movimentazioni bancarie per ricostruire i ricavi dell'imputato, purché tali dati siano corroborati da ulteriori elementi di prova, anche induttivi, che possano essere apprezzati nel contesto generale.

Nel caso in esame, il giudice di merito ha correttamente utilizzato le movimentazioni bancarie come base probatoria, integrandole con questionari inviati a soggetti che avevano intrattenuto rapporti con la società e dichiarazioni testimoniali.

In particolare, la Cassazione ha ribadito il principio secondo cui, in materia di reati tributari, il giudice penale non è vincolato dagli accertamenti fiscali, ma può comunque utilizzare i dati emersi in sede tributaria come elementi probatori, sempre che questi siano validamente motivati e riscontrati (cfr. Cass. Sez. III, n. 24225/2023 e Cass. Sez. IV, n. 22105/2023).


Inversione dell’onere della prova sui costi

Una delle principali contestazioni del ricorrente riguardava l’asserita inversione dell’onere della prova in merito alla mancata indicazione dei costi relativi al 2012. Secondo Pi.An., la Corte d'Appello avrebbe erroneamente posto a suo carico l’onere di dimostrare l'esistenza di tali costi.

Tuttavia, la Cassazione ha respinto tale doglianza, chiarendo che, quando emergono elementi indiziari chiari, come le movimentazioni bancarie, l'onere difensivo spetta all'imputato, che deve offrire giustificazioni adeguate e documentate. In questo caso, Pi.An. non aveva prodotto elementi sufficienti per dimostrare l'esistenza di costi nel 2012, a differenza di quanto avvenuto per il 2011, circostanza che ha legittimato la decisione dei giudici di merito di non considerare i costi presunti per quell’anno.


Il metodo induttivo: la copertura costituzionale

La Corte ha inoltre richiamato la giurisprudenza costituzionale in materia di accertamenti fiscali e metodo induttivo, con particolare riferimento alla sentenza n. 225/2005 della Corte Costituzionale, che ha stabilito la legittimità della presunzione secondo cui i prelevamenti ingiustificati dai conti correnti possono essere considerati come ricavi, salvo che il contribuente non dimostri il contrario. In linea con tali principi, la Cassazione ha escluso ogni violazione del diritto di difesa.


Conclusioni

In base a quanto emerso, la Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile, condannando Pi.An. al pagamento delle spese processuali e a una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende, ribadendo che i ricavi accertati attraverso le movimentazioni bancarie non possono essere contestati in assenza di idonee giustificazioni documentali da parte del contribuente.


 

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