L’uso delle chiavi per finalità diverse da quelle consentite integra il delitto di furto in abitazione (Cass. Pen. n. 11744/2025)
- Avvocato Del Giudice
- 16 apr
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La sentenza in esame affronta una questione di particolare rilievo in tema di furto in abitazione (art. 624-bis c.p.), chiarendo la rilevanza del consenso limitato all’accesso e la sua revoca implicita qualora l’ingresso avvenga per finalità predatorie, ancorché l’autore del reato disponga legittimamente delle chiavi dell’immobile per ragioni di lavoro. Il principio si inserisce nel solco di un consolidato orientamento giurisprudenziale che valorizza il nesso finalistico tra l’introduzione e l’impossessamento.
Fatto
La Corte di Appello di Napoli aveva confermato la condanna dell’imputata per il reato di cui all’art. 624-bis c.p., per essersi introdotta nello studio professionale della persona offesa — dove svolgeva saltuariamente attività di pulizie e del quale possedeva le chiavi — impossessandosi di beni personali e professionali (agende, assegni protestati, computer).
La difesa ricorreva in Cassazione articolando quattro motivi:
la violazione dell’art. 131-bis c.p. per mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto;
la richiesta di riqualificazione del reato in furto semplice, con conseguente declaratoria di improcedibilità per remissione di querela;
il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche;
la richiesta di riduzione del trattamento sanzionatorio per modico valore e modalità rudimentali del fatto.
Decisione
La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso per le seguenti ragioni:
In merito al primo motivo, la Corte ha richiamato il principio affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza Tushaj (n. 13681/2016), secondo cui la valutazione sulla particolare tenuità del fatto richiede un esame congiunto e complesso degli indici di cui all’art. 133 c.p. La Corte territoriale aveva correttamente valorizzato il valore economico e professionale del computer sottratto e i precedenti specifici dell’imputata, nonché il mancato completamento della messa alla prova.
Quanto alla riqualificazione in furto semplice, la Cassazione ha ricordato che l’art. 624-bis c.p. si riferisce a condotte che violano l’altrui domicilio. In particolare, ha ribadito che l’accesso all’immobile non è lecito quando l’autorizzazione sia finalizzata esclusivamente a specifiche attività (es. pulizie) e l’ingresso avvenga per scopi diversi e predatori. Il consenso del titolare all’accesso è condizionato e si estingue in caso di abuso della finalità originaria.
Anche la doglianza relativa al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche è stata ritenuta inammissibile, in considerazione della proclività a delinquere dell’imputata, desunta dai suoi precedenti penali.
Infine, la Corte ha respinto la richiesta di riduzione della pena, reputando adeguato il trattamento sanzionatorio irrogato dalla Corte territoriale, proprio in relazione alla personalità dell’agente e alla gravità oggettiva del fatto.
Principio di diritto
«Integra il delitto di furto in abitazione ex art. 624-bis c.p. la condotta di chi, pur avendo ricevuto le chiavi di un immobile per ragioni di lavoro, vi accede al di fuori delle finalità per cui l’accesso era stato autorizzato, al fine di commettere un furto. Il consenso all’ingresso deve ritenersi condizionato e circoscritto, e viene meno nel momento in cui l’agente ne abusa per finalità predatorie.»