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Istanza di gratuito patrocinio e omissione del TFR: rileva il dolo generico e non l’errore sul modello 730 (Cass. pen. n. 15461/2025)

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Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Cassazione, IV Sezione Penale, ha annullato con rinvio la decisione con cui la Corte d’appello di Catanzaro aveva assolto l’imputato dal reato di falsità in dichiarazioni finalizzate all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ritenendo insussistente l’elemento soggettivo a fronte dell’omessa indicazione del trattamento di fine rapporto percepito nell’anno di riferimento.

La decisione costituisce un importante chiarimento in materia di limiti di rilevanza dell’errore sul diritto extrapenale, dolo generico, e configurabilità del reato ex art. 95 D.P.R. 115/2002 anche in presenza di mera omissione di redditi soggetti a tassazione separata.


Il fatto

L’imputato era stato tratto a giudizio per avere dichiarato, nel procedimento penale n. 1369/2017, un reddito familiare per l’anno 2016 pari a € 9.325,00, occultando invece – secondo l’accertamento della Guardia di Finanza – la percezione di un importo complessivo di € 19.820,52, in violazione del limite previsto per l’ammissione al gratuito patrocinio.

La Corte d’appello aveva riformato la condanna di primo grado, ritenendo che la non rilevabilità del TFR dalla certificazione fiscale allegata alla domanda (modello 730) escludesse l’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie incriminatrice.


La motivazione della Corte

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del Procuratore Generale, rilevando che la motivazione della sentenza assolutoria risulta viziata da un’erronea applicazione dell’art. 5 c.p., in quanto l’errore dell’imputato non attiene a un elemento extrapenale autonomo, ma a una norma integratrice del precetto penale, ossia l’art. 76, comma 3, del D.P.R. n. 115/2002, espressamente richiamata dall’art. 95 TUSG.

La norma, ricordano i giudici di legittimità, impone di includere nel computo del reddito anche le somme assoggettate a tassazione separata, tra cui rientra, ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. a), TUIR, il trattamento di fine rapporto.

È dunque irrilevante che tali somme non fossero ricomprese nel modello fiscale utilizzato (730), essendo l’errore riferito a una disposizione che funge da elemento normativo della fattispecie penale, con conseguente inapplicabilità dell’art. 47, comma 3, c.p..


I principi di diritto affermati

La Corte ha ribadito una serie di principi già consolidati:

  • il reato di cui all’art. 95 D.P.R. 115/2002 è configurabile anche in presenza di omissioni parziali nella dichiarazione sostitutiva di certificazione ai fini dell’ammissione al patrocinio;

  • la fattispecie richiede dolo generico, inteso come consapevolezza della falsità o della omissione rilevante;

  • l’errore sulla rilevanza di determinati redditi, ove riferito a norme integratrici del precetto penale (come l’art. 76 TUSG), non è idoneo ad escludere la colpevolezza (Cass., sez. IV, n. 14011/2015, Bucca; n. 418/2022, Baccini);

Solo un errore incolpevole ed inevitabile, debitamente dimostrato, può escludere la punibilità ai sensi della sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale, secondo criteri di particolare rigore (Cass., sez. III, n. 8410/2018, Venturi).


La decisione

Alla luce di tali principi, la Corte ha annullato la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Catanzaro, affinché rivaluti la sussistenza dell’elemento soggettivo, tenendo conto della necessaria consapevolezza della falsità omissiva, dell’irrilevanza del mero difetto di conoscenza delle norme tributarie, e della inadeguatezza della sola allegazione del modello 730 quale esimente.


Conclusione

La sentenza in commento conferma l’orientamento rigoroso della giurisprudenza penale in tema di gratuito patrocinio, sanzionando non solo le condotte commissive ma anche quelle omissive nella dichiarazione dei redditi. L’interprete e il difensore dovranno prestare particolare attenzione all’onere di diligenza richiesto al richiedente il beneficio, in assenza del quale non è configurabile un errore rilevante sotto il profilo della colpevolezza.


 

Nota a sentenza

L’omessa dichiarazione del TFR nella domanda di patrocinio a spese dello Stato integra il delitto di cui all’art. 95 D.P.R. n. 115/2002, anche in caso di errore sull’obbligo dichiarativo: il dolo generico resta richiesto, ma non è sufficiente l’invocazione del modello ISEE

(Cass. pen., sez. IV, 8 aprile 2025, n. 15461)

di Salvatore del Giudice


1. Il fatto e le decisioni di merito

Con sentenza dell’8 aprile 2025, la Corte di cassazione, IV Sezione penale, ha annullato con rinvio l’assoluzione pronunciata in appello nei confronti di un imputato accusato di aver falsamente dichiarato, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, un reddito familiare inferiore ai limiti di legge. In particolare, l'imputato aveva omesso di indicare, tra i redditi percepiti, un'importante somma ricevuta a titolo di anticipazione sul trattamento di fine rapporto (TFR), percepita nel corso dell’anno indicato nella domanda.

La Corte d’appello aveva riformato la pronuncia di condanna di primo grado, ritenendo che l’errore in cui sarebbe incorso l’imputato — consistente nella mancata dichiarazione di redditi non risultanti dalla certificazione fiscale utilizzata (nella specie, il modello 730) — potesse ritenersi scusabile e tale da escludere l’elemento soggettivo del reato.


2. La qualificazione giuridica della condotta omissiva

La Corte di legittimità ha ripercorso i principi consolidati in materia, ribadendo che il delitto previsto dall’art. 95 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo Unico Spese di Giustizia) è integrato anche da omissioni parziali o falsità per omissione, ossia da dichiarazioni incomplete che impediscano all’autorità di valutare correttamente i requisiti reddituali del richiedente.

Il riferimento è all’art. 76, comma 3, del TUSG, che impone la dichiarazione anche dei redditi esenti, soggetti a imposta sostitutiva o a tassazione separata, come appunto il TFR (ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. a, TUIR). Pertanto, la non dichiarazione di tali somme integra l’elemento oggettivo della fattispecie anche in presenza di un reddito complessivo effettivo superiore al limite fissato dall’art. 76, comma 1.


3. Il dolo generico e l’errore “scusabile”

Quanto all’elemento soggettivo, la Corte ha ribadito che il reato è punibile a titolo di dolo generico, consistito nella coscienza e volontà di attestare una situazione reddituale difforme da quella reale.

Ai fini dell’integrazione della fattispecie non è richiesta la prova dell’intento specifico di frodare lo Stato, ma è sufficiente la consapevolezza di rendere dichiarazioni non veritiere o omissive.

Sotto questo profilo, la Corte ha censurato l'approccio della Corte d'appello, che aveva fondato l’assoluzione sul fatto che l’imputato aveva fatto affidamento sul contenuto del modello 730 e della certificazione rilasciata da un CAF.

In assenza di una motivazione puntuale e rigorosa sulla inescusabilità dell’errore — che, per giurisprudenza costituzionale (sent. n. 364/1988), può assumere rilevanza solo se inevitabile e non superabile con l’ordinaria diligenza — il giudice di merito ha indebitamente eliso il profilo soggettivo del reato, incorrendo in un vizio di legge.

La Corte ha richiamato altresì il principio secondo cui l’errore sulla nozione di reddito rilevante ai fini dell’ammissione al beneficio non è scusabile ai sensi dell’art. 47, comma 3, cod. pen., trattandosi non di un errore su legge extrapenale ma su elemento normativo della fattispecie penale, espressamente richiamato (art. 76 TUSG).


4. Prospettive ricostruttive e rilievi sistematici

La decisione si inserisce nel solco di una lettura rigorosa della disciplina sul patrocinio a spese dello Stato, ispirata alla finalità di contrastare abusi nel ricorso a uno strumento pensato per garantire effettività all’accesso alla giustizia.

L’impostazione adottata dalla Corte ribadisce un principio rilevante anche in prospettiva deontologica e sistemica: la dichiarazione sul reddito non è un mero adempimento formale, ma un’autocertificazione dotata di rilevanza pubblicistica, assistita da presunzione di veridicità e rilevante anche ai fini penali. La responsabilità personale non può essere elusa invocando l'erroneità del dato contenuto in moduli compilati da terzi o da intermediari fiscali, se mancano riscontri oggettivi sulla inevitabilità dell’errore.

Va sottolineato che la sentenza non nega in assoluto la rilevanza di un errore sul dato reddituale, ma ne circoscrive la rilevanza in termini molto stringenti, imponendo al giudice del rinvio una verifica puntuale sulla sussistenza dei requisiti dell’errore scusabile in senso tecnico.


5. Conclusioni

La pronuncia in esame rappresenta un’importante riaffermazione del principio di responsabilità soggettiva nella materia delle dichiarazioni per l’ammissione al gratuito patrocinio, contribuendo a definire i confini dell'elemento soggettivo e della rilevanza penale delle omissioni dichiarative.

La sentenza, inoltre, chiarisce il rapporto tra verità dichiarativa, dolo generico ed errore rilevante, richiedendo una rigorosa motivazione per escludere il dolo sulla base di elementi estranei o insufficienti. Il rinvio alla Corte d’appello impone una nuova e più approfondita valutazione, questa volta conforme ai parametri normativi e giurisprudenziali consolidati.



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