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Minaccia: colpisce lo sportello con calci ed impedisce alla vittima di uscire dall'auto, condannato (Cassazione penale n. 37845/19)


Reato di minaccia (art. 612 c.p.)

La massima

La fattispecie di cui all' art. 612 c.p. è integrata anche quando, in assenza di parole intimidatorie o di gesti espliciti sia adottato un comportamento univocamente idoneo ad ingenerare timore, sicché possa essere turbata o diminuita la libertà psichica del soggetto passivo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il delitto di minaccia nel comportamento della persona che, colpendo ripetutamente lo sportello di una autovettura con dei calci, impediva alla vittima di scendere dall'auto - Cassazione penale , sez. V , 02/04/2019 , n. 37845).

Fonte: Ced Cassazione Penale


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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza, emessa in data 20 dicembre 2012, il Giudice di Pace di Forlì condannava I.D. alla pena di Euro 800,00 di multa, in relazione ai reati di cui agli art. 582 e 612 c.p., contestati al prevenuto per avere cagionato a K.T.C. lesioni personali, consistite in "Trauma cranico lieve" giudicate guaribili in giorni 3, colpendola al volto con schiaffi e pugni, e per aver minacciato la donna impedendole di scendere dall'abitacolo della vettura su cui la stessa si trovava, colpendo ripetutamente lo sportello con dei calci (fatto commesso, in (OMISSIS)).


2. L'imputato, tramite difensore di fiducia, ha proposto appello, con cui ha dedotto i seguenti motivi.


2.1 Le dichiarazioni rese dai testi escussi sono vaghe ed insufficienti, sicchè non si può ritenere raggiunta la prova della responsabilità del ricorrente in ordine ai fatti contestati.


2.2 Nessuno dei testi escussi ha confermato il fatto che il prevenuto avesse rivolto alla parte lesa espressioni minacciose, neppure riportate nel capo d'imputazione, ragion per cui non ha fondamento alcuno la condanna dell'imputato per il reato di minacce.


2.3 Il giudice ha errato nel non concedere il beneficio delle circostanze attenuanti generiche. Il potere discrezionale del giudicante non è illimitato, dovendo essere esercitato sulla base di motivazioni valide.


3. Con ordinanza dell'11/04/2018 il Tribunale di Forlì, rilevato che nella specie era stata comminata solo una pena pecuniaria e che ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 37, comma 1, l'imputato poteva proporre esclusivamente ricorso per cassazione, ha trasmesso gli atti alla Corte di Cassazione.


Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 - 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).


La novella codicistica, introdotta con la L. 20 febbraio 2006, n. 46, che ha riconosciuto la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicchè gli atti eventualmente indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell'ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta, comunque, esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova.


Ed è stato ulteriormente precisato che la modifica dell'art. 606 c.p.p., lett. e), per effetto della L. n. 46 del 2006, non consente alla Cassazione di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze. (Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099).


A ciò si aggiunga inoltre che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di ricorso per cassazione, non è possibile dedurre come motivo il "travisamento del fatto", giacchè è preclusa la possibilità per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. E' consentito, (art. 606 c.p.p., lett. e), dedurre il "travisamento della prova", che ricorre nei casi in cui si sostiene che il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. In quest'ultimo caso, infatti, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se questi elementi esistano. (Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006 - dep. 06/02/2007, P.G. in proc. Bartalini e altri, Rv. 235656).


2. Ciò posto, in termini di diritto, si osserva che, nel caso di specie, i motivi proposti, con l'atto di gravame trasmesso a questa Corte, tendono, appunto, ad ottenere un'inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.


A questo proposito, è sufficiente rimarcare che in questa sede non è consentito prendere in esame le dichiarazioni, rese dai testi escussi nell'ambito del procedimento.


Tale motivo è pertanto manifestamente infondato.


3. Segnatamente, in relazione al reato di minaccia, va poi posto in evidenza che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la fattispecie di cui all'art. 612 c.p. è integrata anche quando, in assenza di parole intimidatorie o di gesti espliciti sia adottato un comportamento univocamente idoneo ad ingenerare timore, sicchè possa essere turbata o diminuita la libertà psichica del soggetto passivo. (Conf mass n. 155374; (Conf mass n. 149018). Sez. 5, Sentenza n. 11256 del 26/11/1984 Ud. (dep. 19/12/1984) Rv. 167163 -.


In altri termini, si realizza così una sorta di minaccia "reale", il cui contenuto intimidatorio è legato alla valenza univoca del comportamento, posto in essere in via diretta mediante un'aggressione ai beni di proprietà della vittima, al fine di far intendere la vera portata del gesto e l'intento, perseguito realmente dall'autore del comportamento, di prospettare alla vittima del reato un male ingiusto.


Anche sul punto le censure sono manifestamente infondate.


4. Da ultimo, con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, va detto che è esente da censure la motivazione del giudice di merito, incentrata sui precedenti penali, risultanti a carico dell'imputato, congiunti alla contestata recidiva infraquinquennale, e sull'atteggiamento aggressivo del ricorrente, desumibile dalla banalità del fatto.


Anche tale profilo è manifestamente infondato.


5. Sulla base delle considerazioni esposte, si deve dichiarare l'inammissibilità del ricorso, con contestuale condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma, che si reputa equo determinare in Euro 2.000,00, in favore della Cassa delle ammende.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.


Motivazione semplificata.


Così deciso in Roma, il 2 aprile 2019.


Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2019

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