Proponiamo una sentenza di merito, pronunciata dalla Corte di Appello di Napoli, VI Sezione, con la quale è stata confermata la sentenza di condanna pronunciata in primo grado nei confronti di un imputato, accusato del reato previsto dall'art. 612 c.p.
Corte appello Napoli sez. VI, 24/07/2023, (ud. 11/07/2023, dep. 24/07/2023), n.9795 (Dr.ssa Claudia Picciotti Presidente relatore, Dr Massimiliano De Simone Consigliere, Dr Nicola Erminio Paone Consigliere).
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza emessa in data 18.05.2022 dal G.M. del Tribunale di Napoli, Ca.Gi. veniva dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 612 co. 1 c.p e, per l'effetto, condannato, esclusa la contesta aggravante e ridotta la pena per il rito, alla pena di euro trecento di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, nonché al risarcimento dei danni cagionati alla costituita parte civile liquidati in Euro cinquecento. Altresì, il Ca.Gi. veniva condannato alla rifusione, in favore dello Stato quale anticipatario, delle spese sostenute dalla parte civile, La.Ri., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, per il presente procedimento che liquida in comprensivi Euro 862,50, già compreso il rimborso sulle spese generali.
Il convincimento del giudice di prime cure in ordine al giudizio di penale responsabilità espresso nei confronti dell'imputato fondava principalmente sulla querela presentata da La.Ri. in data 12.3.2019. Dalle risultanze probatorie emergeva che in tale data, la La. contattava Ca.Gi., da cui era separata dal 4.12.2018, al fine di ottenere i documenti necessari per compilare la domanda annuale ISEE per le detrazioni scolastiche dei loro figli. In tale occasione, il Ca.Gi. si rivolgeva verso la La., proferendo in dialetto partenopeo e in tono minaccioso le seguenti parole: "non devi chiamarmi più al cellulare altrimenti in qualsiasi posto ti incontro ti riempio di botte! Adesso mi tolgo di mezzo facendo intervenire la mia famiglia, puoi anche recarti dai carabinieri tanto i documenti non te li do!". La La. precisava di aver avuto paura poiché in passato era stata percossa dai genitori del Ca.Gi., sebbene non li avesse mai denunciati per il timore di possibili ritorsioni.
Avverso la sentenza de qua ha interposto appello la Difesa dell'imputato chiedendo, in prima battuta, la pronuncia assolutoria del Ca.Gi. perché il fatto non sussiste ovvero non costituisce reato. A tal proposito, la Difesa ha sostenuto che la minaccia come proferita da Ca.Gi. non era idonea ad incidere sulla libertà morale della persona offesa, innanzitutto in quanto esternata telefonicamente. Altresì, le frasi erano rivolte a far cessare le telefonate da parte della La., la quale non poteva esser stata intimorita anche alla luce della personalità di entrambi le parti e dei dissapori originati dalla fine del matrimonio. A sostegno di ciò, la Difesa precisava che la La. effettuava ulteriori telefonate al Ca.Gi., ottenendo anche i documenti richiesti. In via gradata, chiede l'assoluzione del Ca.Gi. per particolare tenuità del fatto, tenuto conto delle modalità della condotta ed avuto riguardo al minimo pericolo della lesione del bene protetto. In via ancora più gradata, chiede le concessioni attenuanti generiche e i benefici di legge poiché negati dal giudice di primo grado con una formula di stile priva di carattere individualizzante e di riferimenti concreti.
L'odierna udienza si è svolta nelle modalità di cui all'art. 23 bis L. 176/2020.
La Difesa di La.Ri., costituita parte civile nel procedimento de quo, ha reso le conclusioni scritte, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado, nonché la refusione delle spese sostenute dalla parte civile, ammessa al gratuito patrocinio.
Ciò premesso, l'appello è infondato e deve essere respinto.
Al riguardo, va preliminarmente osservato che, quanto al merito della decisione di condanna dell'imputato in ordine al reato contestato per il quale il predetto è stato ritenuto responsabile, questa Corte ritiene integralmente condivisibili la ricostruzione dei fatti e la motivazione posta a fondamento della decisione di primo grado, in aderenza alle risultanze processuali, legittimamente acquisite e pertanto pienamente utilizzabili, da parte del giudice di prime cure, ad esse riportandosi (così come ormai ritenuto legittimo dalla giurisprudenza della Suprema Corte, vedi tra le altre Cass. Sez. I, n. 46350/03 e Cass. Sez. III, n. 27300/04 che sottolinea come la motivazione della sentenza di secondo grado "deve essere concisa e riguardare gli aspetti "nuovi" o contradditori o effettivamente mal valutati").
Per tale motivo la Corte fa proprie, sul punto, le argomentazioni spese nella sentenza impugnata, che possono ritenersi in questa sede integralmente richiamate.
Ritiene solo di aggiungere questo Collegio, con riguardo alla richiesta di assoluzione di Ca.Gi., che la stessa debba essere rigettata in quanto destituita di qualsivoglia fondamento. Difatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla Difesa, la minaccia proferita da Ca.Gi. nei confronti di La.Ri. appariva idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima, a niente rilevando il successivo comportamento della La., la quale si era trovata costretta ad insistere per ottenere i documenti necessari alla compilazione dell'ISEE, pratica a favore dei di loro figli. A tal proposito, proprio in ragione del rapporto conflittuale tra i due ex coniugi, le parole proferite del Ca.Gi. erano dimostrative di un atteggiamento prevaricatore dello stesso rispetto alla La., alla quale non solo negava la trasmissione dei documenti necessari alla detta pratica, bensì rivolgeva frasi finalizzate ad intimorirla, così da far cessare ogni sua richiesta. Si ricordi che pacifica giurisprudenza di legittimità è concorde nel sostenere che "ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 612 cod. pen., che costituisce reato di pericolo, la minaccia va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto, sicché non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima, il cui eventuale atteggiamento minaccioso o provocatorio non influisce sulla sussistenza dèi reato, potendo eventualmente sostanziare una circostanza che ne diminuisca la gravità, come tale esterna alla fattispecie" (Cass. pen., Sez. II, 12/02/2019, n. 21684). Pertanto, tenuto conto del rapporto sussistente tra il Ca.Gi. e la La., il male prospettato dal Ca.Gi. appariva concretamente realizzabile ed assumeva una forza intimidatoria diretta ad impedire qualsiasi altra richiesta da parte della La.. Inoltre, al fine della configurazione del reato di minaccia, non rileva il mezzo con cui la persona offesa viene a conoscenza della minaccia, purché le modalità di esternazioni della minaccia siano idonee a raggiungere comunque la persona offesa, così da comportare una limitazione della sua libertà morale. Orbene, tenuto conto del contesto in cui veniva proferità e atteso il diniego al rilascio dei documenti richiesti dalla parte civile, nonché dei toni utilizzati, le frasi proferite dal Ca.Gi. apparivano idonee ad integrare il delitto di minaccia.
Né tantomeno risulta possibile riconoscere nel caso in esame quella particolare tenuità del fatto tale da escluderne la punibilità ai sensi dell'art. 131 bis c.p.. Infatti, il fatto contestato all'imputato non risulta suscettibile di essere valutato "particolarmente tenue" tanto da consentire l'applicazione dell'istituto previsto dall'art. 131 bis c.p.. Va, anzitutto, rilevato che, per quanto la minaccia proferita dal Ca.Gi. non sia tale da configurare la circostanza aggravante di cui all'art. 612 co. 2, l'entità dell'atto intimidatorio posto in essere dall'odierno imputato non può comunque considerarsi di lieve entità, avuto riguardo al contesto in cui veniva proferita la minaccia ed al rapporto tra l'imputato e la persona offesa. In merito, si rileva che l'orientamento giurisprudenziale più accreditato stabilisce che "ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133 co.l c.p., delle modalità della condotta, del grado di consapevolezza da esse, desumibile e dell'entità del danno o del pericolo" (Cass. pen., SS.UU., n. 13681/2016). Non basta, quindi, ai fini della concessione del beneficio summenzionato, il semplice rispetto della soglia edittale prevista, quale condizione per l'applicazione dell'art. 131 bis c.p., così come si evince dal testo stesso della norma (la quale, a seguito della riforma apportata con il D.lgs. 150/22 non deve essere superiore, nel minimo, a due anni) essendo necessario un quid pluris, consistente, per l'appunto, in un ponderato giudizio da parte dell'interprete sul concreto grado di lesività della condotta. Nel caso di specie, pertanto, osta al riconoscimento di tale scriminante la circostanza che Ca.Gi. proferiva minacce all'ex moglie, negandole quanto richiesto e, in tal modo, costringendola a non portare a compimento la pratica ISEE. In tal caso, la condotta del Ca.Gi. appariva finalizzata ad ostacolare la persona offesa nella riuscita di quest'ultima pratica, senza preoccuparsi che fosse finalizzata alle detrazioni scolastiche dei loro figli. Altresì, il tenore delle minacce dell'imputato esprimeva un effetto intimidatorio durevole nel tempo poiché egli minacciava di percuotere la La. ovunque l'avesse incontrata, avvertendola che avrebbe coinvolto anche la sua famiglia. Il quadro fattuale suesposto, pertanto, tenuto conto della modalità della condotta e del rapporto tra il Ca.Gi. e la La., inibisce l'applicazione della scriminante succitata.
Infine, in merito ai motivi quoad poenam, questo giudicante ritiene pienamente condivisibile e adeguata la dosimetria della pena così come applicata dal giudice di prime cure, non ritenendo, altresì,: di poter concedere le auspicate circostanze attenuanti generiche, giusta le modalità della condotta ottenuta dall'imputato e la sua personalità. Il Ca.Gi. assumeva nei confronti della La. un atteggiamento, sebbene solo verbalmente, aggressivo, cercando di metterla in difficoltà senza ragione ed intimorendola mediante il richiamo all'intervento anche di terzi. Orbene, alla luce di quanto detto, questa Corte ritiene che non sussistano elementi positivi tali da giustificare la concessione delle attenuanti generiche, dovendo ricordare che "la loro applicazione, oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di applicazione delle circostanze in parola" (Cass. pen., Sez. II, 7 novembre 2018, n. 9299) ragion per cui "l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione - circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta" (Cass. pen., Sez. II, 10 luglio 2009, n. 38383).
Infine, non può esser accolta neanche l'ultima istanza difensiva in ordine al riconoscimento dei benefici previsti dalla legge, essendo il motivo posto a fondamento della richiesta, generico e privo di qualsiasi riferimento ad elementi di fatto astrattamente idonei a fondarne l'accoglimento.
Sulla scorta di quanto suesposto, pertanto, deriva il rigetto dei motivi di gravame, nonché la conferma della sentenza pronunciata dal giudice di primo grado.
Dal rigetto dell'appello deriva la condanna dell'istante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile.
P.Q.M.
Visto l'art. 605 c.p.p.,
conferma la sentenza n. 5273/22 emessa dal Tribunale di Napoli in data 18.05.22, appellata dall'imputato Ca.Gi., che condanna alle spese del presente grado di giudizio, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile che liquida in Euro 900,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.
Giorni 90 per il deposito della motivazione.
Così deciso in Napoli l'11 luglio 2023.
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2023.