Proponiamo una sentenza di merito, pronunciata dal Tribunale di Udine, con la quale l'imputato è stato condannato per i reati di minaccia e lesioni personali.
Tribunale Potenza, 06/12/2023, (ud. 21/11/2023, dep. 06/12/2023), n.1625
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto del G.U.P. presso questo Tribunale, ritualmente notificato, veniva disposto il giudizio a carico di Pr.Gi. per i reati a lui ascritti in epigrafe.
Verificata la regolarità delle notifiche, si costituiva Parte Civile Po.En. chiedendo la condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni a lui cagionati con le condotte in contestazione.
Nel corso dell'istruttoria dibattimentale, venivano escussi, in qualità di testi, la persona offesa Po.En., Co.Gi., Co.Ja., Bo.Cl. e l'operante Di.St..
Venivano, inoltre, escussi, in qualità di Consulenti delle parti, Fl.Gi. e De.Lo.. All'esito della loro deposizione, si acquisivano gli elaborati scritti da loro redatti.
Veniva, altresì, acquisita documentazione relativa alle condizioni di salute della persona offesa all'esito dei fatti, dei video riproducenti ciò che si è verificato quella sera, una precedente sentenza per fatti analoghi emessa dal Giudice di Pace di UDINE.
L'imputato accettava di sottoporsi all'esame richiesto in sede di istanze istruttorie.
All'odierno imputato sono contestati:
- il reato di cui agli artt. 582,583, comma primo, n. 1, e 585 C.p. per aver cagionato a Po.En., aggredito - per motivi abbietti o futili - con calci e pugni, lesioni personali giudicate guaribili in gg. 54 (capo 1);
- il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 612 C.p. per avere minacciato un male ingiusto (anche la morte) a Po.En..
I fatti risalgono al 25.02.2018.
Il teste Po.En. riferisce che la sera del 25.02.2018, in macchina (una FIAT GRANDE PUNTO 1300 MULTI JET) con la sua compagna Co.Gi., partì da Mortegliano (UD), verso le 19.30 e si diresse a Remanzacco (UD) con l'intenzione di andare alla "Ca.".
Durante il tragitto, sulla tangenziale all'altezza della località Terenzano (comune di Pozzuolo del Friuli - UD), si trovò davanti un veicolo che marciava a velocità estremamente ridotta e con andatura incerta.
Lo sorpassò dopo qualche attimo, nel momento in cui le condizioni della strada lo consentissero.
Circa 100 m dopo il suddetto sorpasso, dallo specchietto retrovisore, vide veicolo lampeggiare e lì per lì pensò ad un avviso di presenza di qualche pattuglia. Ci fu un primo lampeggiamento cui seguì un rallentamento della vettura condotta dal teste. Ce ne fu un secondo e lì il teste capì che forse qualcosa non andava, tant'è che decise di uscire dalla tangenziale e di cambiare strada andando verso la rotonda del "Be." di Pradamano (UD). L'altro veicolo, però, lo seguì e gli si avvicinò sempre di più, tant'è che la ragazza che era col teste si spaventò e disse: "Andiamo via".
Il teste proseguì la sua corsa fino a Remanzacco (UD), dove aveva intenzione di segnalare la cosa ai Carabinieri.
Arrivò davanti alla Caserma e la macchina suddetta continuò a seguirlo.
Il teste citofonò alla Caserma dei Carabinieri e vide che non c'era alcun agente all'interno. Dopo un paio di minuti, lasciò il proprio recapito telefonico all'operatore che rispondeva al citofono.
Il teste venne richiamato sul telefonino e, durante lo squillo, sopraggiunse un altro veicolo, un NISSAN QASHQAI, in senso opposto a dove lui aveva parcheggiato.
Il conducente di quest'ultimo veicolo (alto circa m 1,90 e riconosciuto in aula nell'odierno imputato) abbassò il finestrino mentre il teste era al telefono con l'operatore. Quest'uomo, del tutto sconosciuto al teste, apparve subito alterato, aveva gli occhi rossi, si mise a scattare delle foto ed iniziò a chiedere al teste perché avesse accelerato così e perché l'avesse sorpassato.
Il teste non raccolse la provocazione cercando di far morire la cosa sul nascere. Peraltro, era ancora al telefono con l'operatore.
Visto il protrarsi dell'indifferenza del teste, l'altro soggetto cominciò ad inveire con frasi del tipo: "Non sai chi sono io, te la faccio pagare ...Ho una cintura nella macchina".
Arrivò, ad un certo punto, un terzo soggetto dalle retrovie che chiese cosa stesse accadendo.
Il teste spiegò che c'era stato questo inseguimento da parte dell'altra macchina, che aveva chiamato i Carabinieri e che era in attesa di una pattuglia.
Questo ragazzo, che disse di chiamarsi Ja.Co. e che lasciò anche il suo recapito telefonico, rimase lì finché non si allontanò l'altra macchina.
Il teste si trattenne ancora in attesa dell'arrivo dei Carabinieri. Poco dopo, arrivò a piedi il conducente della NISSAN che lo colpì con un calcio all'altezza del ventre. Il teste riuscì a coprirsi con entrambe le mani. Ne sferrò anche un secondo e, a quel punto, il teste, per prevenire ulteriori aggressioni lo spinse facendolo cadere a terra.
Tornò di lì a poco il suddetto James che divise i due contendenti.
I Carabinieri arrivarono quando l'alterco era finito.
Il teste, nel frattempo, aveva cominciato ad avvertire dolori alla mano destra (il cui palmo era stato attinto dal calcio sferrato) che gli impediva di guidare (ed anche di mettere in moto la macchina), tant'è che chiese ai Carabinieri di accompagnarlo al Pronto Soccorso. Mise la chiave per l'accensione, ma non riuscì neanche a girarla. La sua ragazza era in stato di agitazione.
I Carabinieri scortarono per un tratto la vettura alla cui guida si mise la ragazza.
In sede di controesame, il teste riconosce alcune delle foto prodotte dalla difesa e, in particolare, una in cui lo si vede col telefono in mano. Riferisce che stava chiamando i Carabinieri.
Il teste Di.St., in servizio presso la Stazione CC di Feletto Umberto (Comune di Tavagnacco - UD), riferisce di aver eseguito un intervento nella serata del 25.02.2018, nel Comune di Remanzacco (UD). L'intervento avvenne sulla base di una. segnalazione del "sistema citofonico" della locale Caserma.
Giunto sul posto, introno alle 21.30, assieme al collega di pattuglia, il teste trovò ad attenderlo un ragazzo, identificato in Po.En., ed una ragazza.
Il primo lamentava un forte dolore ad una mano. Il teste non ricorda altri tipi di inconvenienti.
La documentazione medica in atti evidenzia quanto segue.
Po.En. viene visitato al Pronto Soccorso dell'Ospedale di UDINE alle ore 21.56 del 25.02.2018, cui riferisce che poco prima, mentre era in auto con la fidanzata e guidava sulla strada da Pozzuolo del Friuli (UD) a Pradamano (UD), ebbe a superare un veicolo che poi lo inseguiva fino alla Caserma dei Carabinieri. Il conducente di questo secondo veicolo lo insultò ed in un primo momento se ne andò. Poi però tornò a piedi e lo colpì con calci e pugni al tronco e all'arto superiore destro.
All'esame obiettivo, il paziente presentava una "tumefazione del I metacarpo e I dito mano destra, dolorabili alla palpazione, dolorabilità al polso dx".
L'esame radiografico, eseguito il 26.02.2018, evidenziava una "frattura lievemente angolata, a più rime, alla base del I metacarpo".
Alla visita ortopedica del 26.02.2018, la frattura viene definita "pluriframmentaria diafiasaria del I metacarpo della mano destra". All'esame obiettivo, si riscontrava una "tumefazione al primo metacarpo della mano destra", una "evidente tumefazione al primo raggio" con "dolorabilità alla palpazione e alla mobilizzazione passiva".
Viene posizionato un "palmare alla mano destra" e si "pone indicazione al trattamento chirurgico".
In data 01.03.2018, il paziente viene sottoposto ad intervento di "riduzione di frattura 1A metacarpo a dx e stabilizzazione con 2 fili di K e gesso" in soggetto affetto da "frattura scomposta 1A metacarpo". La rimozione del "gesso" e dei "fili di K" viene programmata di lì ad un mese. Viene applicato un "reggibraccio".
In sede di visita ortopedica di controllo, eseguita dalla Dott.ssa Ma., in data 16.04.2018, si procede alla rimozione dei "chiodi di STEINMANN", si consiglia movimento, ma senza sforzi, il controllo viene fissato dopo 7 gg.
Dalla Consulenza redatta dal Dott. Fl. e dalla deposizione da lui resa in aula, si evince che, al momento della visita peritale, il paziente Po.En. accusa deficit stenico nella presa di forza con la mano destra e deficit nella presa di pinza tra 1 e 2 dito.
Sulla mano destra si reperta cicatrice puntiforme da infissione di filo di STEIN-MANN. Risulta ben conservata la "trapezio-metacarpale". Si riscontra, tuttavia, un limite di 1/3 nella flessione della metacarpofalangica e di alcuni gradi nell'estensione. Nella presa di forza, risulta un certo grado di ipostenia per lieve insufficienza del 1 raggio.
Il Consulente ritiene che la frattura riscontrata nel caso di specie sia da ascrivere ad una "azione contusiva diretta trasmessa sull'asse longitudinale del 1 raggio della mano destra" e risulti, quindi, pienamente compatibile con la presenza di un aggressione quale quella descritta.
Tenendo conto delle "sequele post-chirurgiche", del periodo di "tutela gessata" e della "disfuzionalità post-rimozione gesso", il Consulente reputa di quantificare la durata della malattia e dell'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni in giorni 54 (dal 26.02.2018 al 20.04.2018).
La lieve ipostenia nella chiusura a pugno della mano provoca, a giudizio del tecnico, una disfunzionalità talmente modesta da non raggiungere la soglia menomativa necessaria alla congiurazione di un indebolimento permanente d'organo.
In sede di deposizione dibattimentale, il Consulente chiarisce di aver eseguito una visita personale alla presenza anche dei Consulenti delle altre parti.
A precisa domanda del legale dell'imputato, il Consulente risponde che "il tipo anatomico di frattura" risulta più compatibile con una condizione di difesa dell'interessato al momento del colpo. La "frattura angolata e pluriframmentaria" riscontrata nel caso di specie, è, infatti, generata da un'azione diretta sullo scheletro del metacarpale.
Qualora l'impatto traumatico fosse stato causato da un pugno scagliato dallo stesso infortunato, l'azione contusiva avrebbe interessato gli altri metacarpali (dal secondo al quinto).
La teste Co.Gi., da diversi anni, è la compagna di Po.En.
Ricorda che la sera di domenica 25.02.2018, verso le ore 20/20.30, decise col suo ragazzo di andare a mangiare un gelato. I due andarono a Remanzacco (UD), in un locale chiamato "La.". Partirono in macchina da Mortegliano (UD) e, sulla tangenziale, all'altezza dell'uscita di Terenzano (Comune di Pozzuolo del Friuli -UD), si trovarono davanti un'auto modello NISSAN QASHQAI. Po.En., che era alla guida, la superò e proseguì la marcia.
Ad un certo punto, la vettura su cui viaggiava la teste uscì dalla tangenziale e prese una strada secondaria che passa dietro all'esercizio commerciale "Be.".
Fin lì, la teste non aveva notato nulla di anomalo. Poco dopo, però, si rese conto che l'auto che seguiva (la stessa NISSN QASHQAI di cui sopra) continuava a lampeggiare e si avvicinava più volte. Si ebbe la sensazione dell'inseguimento.
Il Po. cercò anche di farsi superare, ma la cosa non avvenne.
Giunto davanti alla Stazione CC di Remanzacco (UD), il Po. scese dalla vettura e chiamò i militari. Non c'era però nessuno in servizio. Rispose un centralinista cui venne spiegata la situazione.
In quel momento, sopraggiunse l'altro mezzo. Nel frattempo, era arrivato un ragazzo che diceva di chiamarsi Ja.Co. e che chiese se fosse tutto a posto perché aveva notato qualcosa di strano.
Il conducente della NISSAN QASHQAI abbassò il finestrino e chiese contezza del sorpasso eseguito, dicendo - in sostanza - ad En. che non doveva permettersi di fare una manovra del genere. Iniziò poi con una serie di insulti e minacce verbali del tipo: "bastardi ...ho una cintura in macchina, non finisce qui, voi non sapete chi sono io". Resasi conto della serietà della situazione, la teste scese per fotografare la targa della vettura NISSAN. L'uomo le diede della "sgualdrina".
Questo soggetto viene riconosciuto in aula nell'odierno imputato.
Dopo le minacce, l'uomo si portò, in macchina, verso la gelateria. Dopo un po' tornò indietro a piedi ed aggredì En. con calci e pugni puntati verso la pancia ed il ventre.
En., in un primo momento, rimase "irrigidito". Subito dopo, però, cercò di proteggersi e reagì solo dopo aver visto che l'altro non si fermava.
Nel frattempo, Ja.Co., che si era allontanato, tornò perché vide che la situazione precipitava.
Costui intervenne per separare i due contendenti che, nel frattempo, erano caduti a terra.
In sede di controesame, la teste riferisce di essere tutt'ora terrorizzata dall'evento e che, ogni volta che si mette alla guida, rivive lo spiacevole momento.
Il teste Co.Ja. conferma di aver assistito ad una lite tra persone a lui non note, avvenuta nel Comune di Remanzacco (UD), in prossimità della Caserma dei Carabinieri. Era il 25.02.2018 intorno alle ore 21.15.
Precisa di aver visto due uomini ed una ragazza e di essere intervenuto per separare i due uomini che si stavano azzuffando.
La ragazza era disperata e piangeva. Riferì di "incomprensioni" che avevano dato la stura ad una baruffa.
A seguito di contestazione, emerge che - in sede di indagini preliminari - il teste aveva dichiarato di aver parlato col ragazzo che era in compagnia di questa ragazza che gli avrebbe raccontato che il conducente della NISSAN QASHQAI lo aveva inseguito a partire dallo svincolo di Terenzano e aveva insultato e minacciati lui e la ragazza nel momento in cui si erano fermati.
Il teste ribadisce di aver parlato con la ragazza e che, comunque, il ragazzo che era con lei era presente.
Verificato che la baruffa non era più in corso, il teste si allontanò e si portò verso "Bo.".
Dopo però notò che il conducente della NISSAN QASHQAI aveva parcheggiato, era sceso e si stava dirigendo di corsa verso i ragazzi.
A quel punto, si diresse di nuovo verso i ragazzi notando che il conducente della NISSAN QASHQAI stava aggredendo l'altro ragazzo con calci e pugni.
L'antagonista reagì per difendersi.
Il teste intervenne per dividere i due.
Il conducente della QASHQAI, una volta rialzatosi, rimaneva sull'aiuola antistante la Caserma e inveiva nei confronti degli altri due ragazzi dicendo testualmente: "Bastardi, vi ammazzo tutti". Ripeté la frase più volte sputando in direzione dell'altro ragazzo.
La teste Bo.Cl. è la moglie dell'imputato. Accetta di sottoporsi all'esame, pur avvisata della facoltà di astenersi riconosciutale dalla legge per via del vincolo di coniugio.
Riferisce di non essere stata presente ai fatti oggetto del presente processo.
Racconta che quella sera si era mossa assieme al marito con due macchine. Ad un certo punto, sulla via del ritorno, verso Remanzacco (UD), lei guidava una delle macchine (a bordo c'era anche sua figlia piccola) ed il marito era davanti a lei con la sua.
Durante il tragitto - ad un certo punto - una vettura eseguì un sorpasso ad ambo le vetture muovendosi in modo un po' scomposto ossia prima rallentando e poi accelerando.
La teste riferisce di essersi un po' allarmata, ma poi proseguì lungo la strada.
Arrivò fino a casa dove si diresse direttamente assieme alla bimba.
Il marito proseguì altrove ed arrivò a casa dopo 30-40 minuti piuttosto scosso.
Aveva l'abbigliamento un po' sgualcito, con del fogliame addosso e riferì di aver preso dei pugni in testa e di sentire dolore.
Aveva dei graffi e gli venne applicato del ghiaccio per tamponare il dolore.
Riferì che dopo la manovra che aveva compiuto quel veicolo, aveva voluto approfondire la situazione vedendo chi ne fosse alla guida. Riferì anche che si era fermato da una persona che conosce (l'ex Sindaco), perché voleva capire se si poteva risalire all'identità di quella persona che si era comportata un po' da gradasso.
La sera stessa di mise in contatto sia con l'ex Sindaco sia col Vicecomandante della Stazione di Buttrio (UD) (tale Di. o qualcosa del genere).
Dalla Relazione del Consulente De.Lo. e della di lui deposizione in dibattimento, si evince che la frattura sia da attribuire per essere frattura tipica dei pugili.
È una lesione che si produce per un cosiddetto trauma diretto ed è tipica lesione d'attacco che è la fase in cui il pugile usa il massimo della forza.
Quello che, a parere del Consulente in esame, non convince della ricostruzione del collega Fa. è che la lesione - essendo insorta praticamente subito dopo il trauma - non avrebbe mai potuto consentire al soggetto che l'aveva subita di sferrare, a sua volta, un pugno.
Dalle dichiarazioni rese dall'imputato, dapprima in sede di interrogatorio e poi di esame ante iudicem, si evince che il 25.02.2018, alle ore 20.30 circa, era di ritorno da Mortegliano (UD) assieme alla moglie ed alla figlia di appena un mese. Lui era a bordo della NISSAN QASHQAI, colore grigio metallizzato, targata (...), mentre la moglie e la figlia viaggiavano su altra vettura dietro la sua.
Durante la marcia, una vettura a forte velocità eseguiva un sorpasso superando ambo i veicoli della famiglia.
La manovra dell'autovettura veniva inoltre "eseguita in maniera scomposta" e per questo l'imputato rimase "sbalordito ed intimorito". La vettura aveva inoltre un "assetto ribassato ed estremamente sportivo".
Pensando che la manovra fosse "esuberante e dimostrativa", l'imputato riferisce di aver azionato per due volte il devioluci allo scopo di dare un segnale di attenzione. Il conducente dell'altro veicolo, tuttavia, incominciava a mettere in atto una serie di accelerazioni e rallentamenti repentini "con fare provocatorio". Gli sbalzi di velocità erano così repentini da sparire spesso dal campo visivo e da impedire finanche il rilevamento della targa.
Ad un certo punto, l'autovettura sparì definitivamente dalla visuale dell'imputato.
Ritenuto "l'atteggiamento del conducente" tale da mettere in pericolo l'incolumità sua, della compagna, della figlia ed anche "di altri utenti della strada", l'imputato stesso racconta che, una volta giunto a Remanzacco (UD), decideva di portarsi presso la Stazione CC per segnalare l'accaduto.
Ivi giunto, notava una autovettura parcheggiata nei pressi dell'ingresso ed un soggetto di sesso maschile in piedi intento a parlare al telefono cellulare.
L'imputato si fermò, abbassò il finestrino e chiese al soggetto se fosse stato lui il responsabile della precedente condotta di guida. Non riceveva risposta e veniva guardato con aria di sufficienza e provocazione dall'altro soggetto che continuava a parlare al cellulare.
Ad un certo punto, da una vettura che poi l'imputato riconobbe come quella che aveva effettuato la contestata manovra, scese una ragazza che si avvicinò di corsa alla di lui autovettura scattando una serie di foto con un telefono cellulare all'autovettura, alla targa ed alla persona.
Neanche la ragazza si degnò di dare una risposta alle stesse domande che furono rivolte anche a lei.
La donna "non era affatto agitata, né impaurita e non stava piangendo e, in considerazione del fatto che la stessa si stesse avvicinando ad una autovettura sconosciuta con un conducente sconosciuto e di cui non poteva prevedere la reazione scattando delle foto con un atteggiamento sicuramente provocatorio", non dava alcuna impressione di essere terrorizzata.
A quel punto, l'imputato proseguì andando a parcheggiare la macchina in prossimità dell'esercizio commerciale "La." per poi fare ritorno a piedi nei pressi della Caserma.
Venne chiesto un ulteriore chiarimento e, a quel punto, nasceva un alterco col conducente dell'altro veicolo che l'imputato dichiara di aver allontanato a causa della sua animosità e della manifestata aggressività, allo scopo di prevenire eventuali reazioni inconsulte.
Il soggetto reagiva scaraventando l'imputato a terra, bloccandolo, salendogli addosso e colpendolo con ripetuti pugni alla testa, all'altezza del cranio. I pugni erano molto violenti e tali da procurare molto dolore.
"Spiazzato da tale aggressiva reazione", l'imputato cercava di proteggersi il viso e, dopo circa un minuto, interveniva una terza persona che provvedeva a sollevare l'aggressore dal suo corpo ed a separarlo.
Una volta rialzatosi, data la concitazione del momento e data la presenza di tre soggetti sconosciuti, l'imputato chiarì che non sarebbe finita lì e che si sarebbero dovuti vergognare tutti di quanto avevano fatto.
L'imputato ritornò a piedi alla sua autovettura e, nel rincasare, decideva di fermarsi presso un suo conoscente, An.Da., all'epoca componente della Giunta Comunale, al quale rappresentò l'accadimento allo scopo di potere avere eventuali indicazioni, essendo sua "ferma intenzione ... giungere ad un chiarimento della questione".
L'interlocutore, dopo aver ascoltato il racconto e constatato le sue condizioni fisiche, rassicurava l'imputato dicendogli che lo "avrebbe messo in contatto con chi di dovere".
Il giorno successivo, gli venne fornito il numero del Mar.llo Capo Di., cui vennero inviate, tramite (...), alcune foto che l'imputato aveva a sua volta raccolto.
Il Maresciallo Di. rispose che non conosceva personalmente i soggetti e diceva che non erano persone del posto.
L'imputato esclude di essersi rivolto di sua iniziativa in modo volgare e minaccioso, come avrebbe riportato la teste Co..
L'imputato esclude che possa aver assistito ai fatti un quarto soggetto. Quest'ultimo si sarebbe materializzato solo quando lui era già a terra.
Visto l'altro soggetto che stava telefonando, avrebbe pensato di chiedere direttamente a lui spiegazioni. Non avendole ottenute, nacque l'alterco.
In base a tali risultanze istruttorie, va osservato quanto segue.
L'imputato, come spesso accade in frangenti del genere, si difende attaccando ovvero scaricando sul Po., ed in parte sulla sua ragazza, le responsabilità di un atteggiamento arrogante e tale da rifiutare ogni forma di dialogo.
A fronte di una marcata divergenza di prospettazioni, i punti fermi da cui partire sono i dati di fatto concordemente affermati da tutti i soggetti escussi.
È pacifico che il Po., con la sua macchina, ha effettuato un sorpasso alla macchina del Pr.Gi. sulla tangenziale.
È altrettanto pacifico che il Pr.Gi. ha dapprima sfanalato e poi seguito il Po. fino alla Caserma CC di Remanzacco (UD). Dalla dichiarazione dell'imputato e dalla testimonianza di sua moglie, si sa anche che - per seguire il Po. - l'uomo ha lasciato che sua moglie e sua figlia andassero a casa da sole.
L'imputato ammette di aver usato espressioni del tipo "non finisce qui" in ciò riscontrando parte delle dichiarazioni di parte avversa e conferma, altresì, di aver esternato una serie di rimostranze al Po., che stava facendo una telefonata e che non ha inteso prenderlo in considerazione.
Praticamente tutta la dinamica del racconto del Po. trova conferma in quanto dichiarato dall'imputato, tranne in relazione all'aspetto più importante dato dalla lesione da lui patita.
Ora, finché parla la persona offesa, si può dire che è un soggetto da prendere con le molle perché parte non tutt'altro che estranea ai fatti. Quando la versione è confermata dalla compagna dell'aggredito, si può sempre dire che è una teste di parte e che, in quanto tale, va presa anche lei con le molle.
In questo caso, però, c'è un terzo soggetto (Co.Ja.) che dichiara apertamente di non conoscere né il Po. né il Pr.Gi. che, sia pur con l'ausilio di qualche contestazione, conferma che è stato l'odierno imputato ad aggredire con calci e pugni e che il soggetto aggredito avrebbe reagito solo in un secondo tempo per difendersi.
C'è poi un dato oggettivo dato dalle conseguenze fisiche patite dai due soggetti.
Il Pr.Gi. riferisce di aver semplicemente allontanato il Po. che lo stava aggredendo e che lo avrebbe riempito con calci e pugni alla testa. Non c'è però alcun certificato medico che lo conferma. Lo conferma solo de relato la teste Bo. (che è vicina al Pr.Gi. esattamente come la teste Co. è vicina alla parte offesa Po.), la quale, tuttavia, anche a specifica domanda sul punto, ha risposto negando l'esistenza di segni esterni sulla persona del marito. La teste parla solo di dolore e di qualche graffio, sicuramente compatibile con la versione resa dal Po., il quale, peraltro, non nega di aver reagito, pur affermando di averlo fatto solo per bloccare l'ira dell'antagonista.
Alla fine della fiera, il Po. si ritrova con una mano rotta. Il Pr.Gi. si lamenta tanto, ma non risulta aver riportato granché.
Il Pr.Gi., però, non si dà per vinto ed attribuisce la lesione patita dal suo antagonista al pugno che lui stesso gli avrebbe sferrato;
La genesi delle lesioni riscontrate è anche il pomo della discordia tra le valutazioni dei due consulenti.
Senza assumere antipatici (ed improduttivi) atteggiamenti pregiudiziali, va osservato che - dalle Certificazioni Mediche - la frattura patita dal Po. risulta univocamente allocata al I metacarpo che è collocato immediatamente prima della falange prossimale del pollice e che non è la parte che entra a contatto col corpo attinto dal pugno. Il colpo inferto col pugno provoca un contatto diretto con le nocche delle altre quattro dita e non col pollice.
Il Consulente della difesa individua l'infrazione in esame come la frattura tipica del pugile e da lì deduce che la stessa sia stata provocata in una fase d'attacco.
La difesa, in sede di discussione, evidenzia che ci sarebbero degli scritti cui il suo Consulente si sarebbe ispirato che dicono esattamente quello. Quali siano questi scritti, tuttavia, non è dato sapere (non sono stati prodotti né menzionati in aula).
È sufficiente, invece, una normalissima ricerca sul web per vedere che la letteratura medica indica come "frattura del pugile" la frattura non del primo bensì del quinto metacarpo ossia dell'osso posto a contatto con la falange prossimale del mignolo (che è effettivamente la parte più esposta all'urto violento che nasce dal pugno).
Ne consegue che la frattura riscontrata nel caso di specie non può esser stata contratta nella fase d'offesa (che il Po., lo si ripete, non nega di aver posto in essere).
A smentire tale alternativa prospettazione sta anche il fatto che il Pr.Gi., a detta della sua stessa consorte, non presentava alcuna tumefazione. Se chi dà il pugno addirittura si rompe una mano, evidentemente il colpo è stato piuttosto violento. E se il colpo è stato violento lascia delle conseguenze decisamente marcate anche sul corpo attinto.
Ne consegue l'evidente verosimiglianza della prospettazione della parte offesa che ha sicuramente preso una botta sul palmo della mano allargata. Per cagionare la frattura la botta dev'esser stata anche piuttosto energica.
Nulla quaestio dunque circa la configurazione della lesione così come contestata ai sensi degli artt. 582 e 583, comma primo, n. 1, C.p..
Va evidenziato, sul punto, che, in ambito penale, la nozione di "malattia" costituiva della fattispecie della lesione personale (sia dolosa che colposa) "non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica, ..., bensì solo quelle da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l'aggravamento di esso ovvero una compromissione delle funzioni dell'organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa" (Cass. Pen., Sez. IV, 26.05.2016, n. 22156, imp. De.).
In tale ottica, il c.d. postumo è un effetto che permane all'esito dell'evoluzione clinica del processo patologico e che ha la sua rilevanza, anche in ambito penale, solo nel momento in cui implica una significativa riduzione della funzionalità dell'organismo impedendo conseguentemente al soggetto di attendere alle sue ordinarie occupazioni (in altri termini, laddove non vi sia un indebolimento permanente di un senso o di un organo, "la lesione personale deve considerarsi grave" laddove la stessa determini una "incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni' che si protragga "oltre il quarantesimo giorno, ivi compreso il periodo di convalescenza o quello di riposo dipendente dalla malattia" - Cass. Pen., Sez. V, 29.01.2016, n. 4014, imp. Cu.).
Come si nota dalla Certificazione Medica (sulla cui base sono state elaborate le valutazioni del Consulente del P.M.), il Po., destrimane, ha avuto forti limitazioni all'uso dell'arto prensile per un periodo ben superiore a 40 giorni.
La documentazione medica dimostra che c'è stata la necessità di un intervento chirurgico di riduzione della frattura e che, ancora in data 16.04.2018, quando sono stati rimossi i chiodi di STEINMANN, veniva ancora consigliato un uso limitato alle incombenze prove di sforzi.
È evidente l'influenza di tale limitazione sulle occupazioni quotidiane, a maggior ragione per un soggetto che, essendo destrimane, usa maggiormente la mano infortunata.
L'accusa contesta altresì l'aggravante di cui all'art. 61, n. 1, C.p., richiamata dagli artt. 585 e 576 C.p.
Il testo è, a dire il vero, piuttosto generico.
Il motivo evidentemente o è abietto o è futile.
È abietto se ripugnate ai valori su cui si ispira la collettività. È futile se meramente pretestuoso ovvero fondato su qualcosa che astrattamente potrebbe rendere anche ragionevole il malumore del soggetto agente, ma in misura talmente bassa da non legittimare alcun tipo di reazione.
Cosa è successo nel caso di specie?
Anche sul punto, va evidenziato che il Po. si è trovato il Pr.Gi. dietro fino a quando ha fermato la macchina. L'imputato dice che è stato un caso e che era sua intenzione andare dai CC di Remanzacco (UD) per farsi sentire. Va però in evidente imbarazzo quando gli viene fatta la domanda sul perché non si sia subito determinato a chiamare i CC. Non solo, ma anche dopo che si è trovato - a suo dire - nell'impossibilità di segnalare la cosa, cosa fa? Non chiama il 112, ma si rivolge ad un amico consigliere comunale cui chiede un contatto privato con qualcuno che possa dargli una mano.
Francamente questo sembra più l'atteggiamento di chi vuole far pagare agli altri qualcosa di non gradito.
Cosa avrebbe fatto poi il Po.?
Ha eseguito un sorpasso. È stato spericolato? Anche sul punto le versioni divergono e francamente l'ampia serie di circostanze inattendibili fornite dall'imputato non induce a prediligere con adeguata serenità la versione da lui offerta.
D'altro canto, il Po. e la sua ragazza riferiscono anche di aver provato a cambiare strada e, ciò nonostante, il Pr.Gi. li ha comunque seguiti. Il Pr.Gi. stesso, peraltro, ammette di essere arrivato dopo il Po.. Questo nonostante l'allungamento della strada. Cosa vuol dire tutto ciò? che evidentemente è vero che gli è andato dietro.
La domanda è. Qual è la necessità di tale inseguimento per un sorpasso che non ha provocato alcun incidente? Qualora il Po. abbia effettuato una guida imprudente, quale interesse aveva a fare poi gradasso (mettendosi a rallentare ed accelerare) nei confronti di una persona che neanche conosceva?
Francamente, ritiene questo Giudice che il Pr.Gi. non abbia gradito il sorpasso ed abbia voluto far pagare la cosa a chi l'ha effettuato.
Se così non fosse, non si spiega il perché dell'inseguimento, il perché dell'aggressione manesca, il perché del ricorso all'amico consigliere e la ricerca di un contatto riservato con un operatore delle FF.OO..
Alla fine della fiera, che la condotta del Po. sia stata consona o meno, non c'è alcun buon motivo per cui il Pr.Gi. lo avrebbe dovuto inseguire, sfidare, minacciare e picchiare.
Ritiene, quindi, il Giudice scrivente perfettamente configurabile l'ulteriore aggravante del motivo futile.
Parimenti configurabile è la minaccia esternata. Quello che riferiscono sia il Po. sia la teste Co. trova riscontro nello stesso atteggiamento del Pr.Gi..
Il contatto con l'amico consigliere e le richieste a lui avanzate altro non sono che la ricerca di un canale privilegiato per soverchiare la forza dell'antagonista (che, sia detto chiaro e tondo, si è rivolto ai Carabinieri come fa qualunque cittadino). Questo rende del tutto ragionevole la configurazione delle esternazioni di superiorità e prepotenza ("voi non sapete chi sono io").
È, dunque, quanto mai, configurabile la minaccia di cui al capo B, in ordine alla quale vale la pena osservare che la condotta fisicamente aggressiva contestualmente tenuta dal soggetto agente ha indubbiamente reso assolutamente concreto l'effetto intimidatorio insito nelle frasi pronunciate.
Il concreto effetto intimidatorio, peraltro, non è neanche necessario ai fini della configurazione del reato in esame, sufficiente essendo l'idoneità della condotta a creare quell'effetto a prescindere dalle conseguenze obiettivamente prodotte (vds., da ultimo, Cass. Pen., Sez. I, 11.04.2018, n. 16139, imp. Be.). Questo rende del tutto irrilevante l'atteggiamento di indifferenza che l'imputato prova ad attribuire ai destinatari delle sue minacce.
La contestualità spazio-temporale dell'azione fa sì che - alla base delle due condotte oggi contestate - sia da ravvisare un'identità del disegno criminoso che, sul piano tencico-giuridico, implica il riconoscimento del vincolo di continuazione.
Venendo al trattamento sanzionatorio, esigenze di adeguamento della pena all'obiettivo disvalore del fatto concreto consigliano la concessione delle circostanze attenuanti generiche attesa - da un lato - l'incensuratezza (che, a tal uopo, non sarebbe però di per sé sufficiente stante il disposto di cui all'art. 62 bis, comma terzo, C.p.) e - dall'altro - la produzione di una lesione che è senz'altro grave ma che, stante la previsione di legge, è molto vicina al limite minimo della fattispecie aggravata.
Il numero delle aggravanti, le modalità esecutive del fatto e l'assenza di qualunque fattore che consente di ritenere - se non proprio giustificabile, quanto meno comprensibile, a livello sociale - una qualsiasi forma di reazione a quello che - a dire dell'imputato - sarebbe accaduto sono però fattori che non consentono di andare al di là di un giudizio di mera equivalenza né di quantificare la pena base in misura inferiore ad anni 1 e mesi 10 di reclusione (la riconosciuta sussistenza delle attenuanti impone di para-metrare la sanzione ai limiti edittali della fattispecie base di cui all'art. 582 C.p.).
Con l'aumento per la continuazione, si sale al valore finale 'di anni 2 di reclusione. Alla declaratoria di responsabilità consegue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.
La biografia penale dell'imputato non è ostativa al riconoscimento della sospensione condizionale della pena.
Si ritiene, nel caso di specie, di riconoscere tale beneficio, attesa la prognosi positiva di ravvedimento che, in questa sede, si formula confidando nell'effetto deterrente della mera inflizione della condanna.
Alla condanna segue, inoltre, la condanna al risarcimento del danno a favore della Parte Civile costituita che si liquida come in dispositivo, nei limiti della provvisionale richiesta dalla parte stessa, in via evidentemente equitativa tenendo conto sia delle considerazioni già svolte in punto di obiettiva gravità del fatto sia dei riflessi sulla persona offesa, che ha evidentemente dovuto affrontare un periodo di riabilitazione. Sarà un successivo giudizio civile a quantificare il surplus dovuto. Trattandosi di debito di valore, tale somma va, in primo luogo, rivalutata in ragione degli indici ISTAT. Sul capitale rivalutato vanno poi applicati gli interessi al tasso legale. L'intervallo temporale di riferimento dei due calcoli è quello tra il giorno del venire in essere dell'obbligo (che coincide con la data di consumazione del fatto) e quello dell'effettivo adempimento.
La Parte Civile costituita deve essere rifusa anche delle spese di costituzione e difesa che si liquidano come in dispositivo tenendo conto della lunghezza del procedimento e della difficoltà delle questioni affrontate.
P.Q.M.
VISTI gli artt. 533 e 535 C.p.p.
DICHIARA
Pe.Gi. colpevole dei reati a lui ascritti e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti nonché ritenuta la continuazione, lo condanna alla pena di anni 2 (due) di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.
Pena sospesa.
VISTI gli artt. 538 ss. C.p.p.,
CONDANNA
altresì Pr.Gi.:
- al risarcimento del danno a favore della costituita Parte Civile che si liquida - in via provvisionale - in complessivi Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre interessi da calcolarsi
al tasso legale sul capitale rivalutato secondo gli indici ISTAT dalla data di commissione del fatto sino a quella dell'effettivo soddisfo, rimettendo le parti alla sede civile per l'ulteriore quantificazione;
- alla rifusione delle spese di costituzione e difesa della costituita Parte Civile che si liquida in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00) oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.
MOTIVI RISERVATI nel termine minimo di legge.
Così deciso in Udine il 20 novembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2023.