Indice:
1. I fatti ed il processo
Nella giornata del 23 gennaio 2019, presso un ristorante situato a Ceprano, si verificava una situazione di conflitto tra I. e una donna, identificata come A., con cui l'imputato era in compagnia.
Un agente di polizia giudiziaria, operante dei Carabinieri, interveniva sul posto in seguito ad una segnalazione di lite.
Arrivato sul luogo, notava I. urlare contro la donna e, alla vista delle forze dell'ordine, iniziava ad inveire contro di loro.
Nonostante i tentativi di separare I. e la donna, quest'ultimo cercava ripetutamente di raggiungerla, scagliandosi verso di lei e lanciando un oggetto contro A. e i militari.
Di conseguenza, le forze dell'ordine bloccavano fisicamente I. e lo arrestavano.
La persona offesa, convivente di I., testimoniava che prima dell'intervento delle forze dell'ordine, l'imputato minacciava l'aveva minacciata, brandendo un coltello e proferendo delle minacce violente nei suoi confronti.
Tizio veniva indagato per il reato di minaccia aggravata e sottoposto a processo.
In seguito all'attività istruttoria, il Tribunale di Frosinone concludeva che era stata raggiunta la prova del reato e che pertanto I. aveva minacciato la donna con un coltello e proferito minacce violente nei suoi confronti.
Il Tribunale dichiarava quindi l'imputato colpevole del reato di minaccia aggravata e lo condannava a quattro mesi di reclusione, considerando anche il fatto che lo stesso era stato precedentemente condannato per altri reati non colposi, evidenziando una maggiore capacità a delinquere e una pericolosità sociale.
2. Le questioni di diritto affrontate dal Giudice
Nel caso in esame, il Tribunale ha stabilito che il reato di minaccia aggravata, ai sensi dell'articolo 612, comma 2 c.p. si configura allorquando un individuo, con l'intenzione di intimidire un'altra persona, brandisce un'arma (nel caso di specie un coltello) e proferisce minacce violente nei confronti della vittima.
Il Tribunale ha sottolineato che l'elemento oggettivo del reato consiste nella limitazione della libertà psichica della vittima, causata dalla prospettazione di un male ingiusto, il quale dipende dalla volontà dell'agente.
L'elemento soggettivo è rappresentato dal dolo generico, ossia dalla consapevolezza e volontà dell'agente di intimidire seriamente la vittima.
Inoltre, il tribunale ha considerato la recidiva dell'imputato, stabilendo che la condanna precedente dell'imputato per altri reati non colposi doveva ritenersi indicativa una maggiore capacità a delinquere e di una intensa pericolosità sociale, pur decidendo di applicare la sola recidiva di cui all'articolo 99, comma 1 c.p.
Infine, il Tribunale ha affrontato la questione delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo che, data la gravità del fatto commesso e le caratteristiche della condotta dell'imputato, non sussistevano elementi sufficienti per giustificare il riconoscimento di tali attenuanti.
3. La sentenza integrale
Tribunale Frosinone, 22/05/2023, (ud. 27/02/2023, dep. 22/05/2023), n.445
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con decreto del 30 dicembre 2020, il Pubblico Ministero presso la locale Procura della Repubblica ha esercitato l'azione penale nei confronti di Fo.Al. disponendone la citazione dinanzi a questo Tribunale per rispondere del reato a lui ascritto, riportato nell'imputazione in epigrafe.
All'udienza del 12 luglio 2021, si è disposto di procedere in assenza dell'imputato, ricorrendo i presupposti di cui all'art. 420 bis c.p.p., è stato dichiarato aperto il dibattimento e sono state ammesse le prove richieste dalle parti; il procedimento è stato quindi rinviato per l'espletamento dell'istruttoria dibattimentale.
All'udienza del 20 dicembre 2021 sono stati escussi i testi (…) ed è stata acquisita al fascicolo la documentazione prodotta dal Pubblico Ministero.
Disposto un rinvio del procedimento per i motivi indicati nel verbale in atti del 5 maggio 2022, all'udienza del 20 ottobre 2022, intervenuto il mutamento della persona fisica del giudicante, l'odierno assegnatario del procedimento ha proceduto al rinnovo dell'istruttoria e, tenuto conto dell'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la pronuncia del 10 ottobre 2019, n. 41736, sono stati dichiarati utilizzabili i verbali delle dichiarazioni rese dinanzi ad altro giudicante, stante la rinuncia manifestata dal P.M. al nuovo esame dei testi già sentiti e l'assenza di richieste avanzate dalla difesa; è stata poi escussa la persona offesa (…) ed è stata acquisita al fascicolo la sentenza prodotta dal P.M.
All'odierna udienza, esaurita l'attività istruttoria, si è disposta la discussione orale, al termine della quale, sulle conclusioni formulate dalle stesse sopra trascritte, è stata pronunciata la sentenza di cui al dispositivo, pubblicato mediante lettura.
2. Le risultanze istruttorie acquisite nel contraddittorio dibattimentale hanno offerto conferma del fatto rappresentato nella contestazione accusatoria, ascrivibile all'imputato.
Il teste Squillante Carmine, operante di P.G. in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Ceprano, ha riferito che il 23 gennaio 2019 si recava, unitamente al suo collega, presso il ristorante (…) sito in Ceprano poiché era stata segnalata alla Centrale Operativa una lite in atto tra due avventori.
Giunto sul posto, il teste ha spiegato che all'interno del locale notava la presenza dell'odierno imputato già noto alle forze dell'ordine che urlava animatamente contro una donna in lacrime e che alla vista dei militari iniziava ad inveire contro di loro.
Il teste ha dunque riferito che invitavano l'imputato e la donna che si trovava in sua compagnia, poi identificata in (…), ad uscire fuori dal locale, anche in considerazione dello stato di agitazione mostrato da quest'ultima, ma il prevenuto, nonostante gli operanti avessero circondato la donna per evitare un contatto diretto tra i due, cercava più volte di raggiungerla scagliandosi verso di lei, procurandosi altresì un oggetto prelevato dalla propria autovettura che lanciava contro la A. e i militari, motivo per il quale le forze dell'ordine decidevano di bloccare il Fo. assicurandolo con le manette d'ordinanza.
Il teste ha infine riferito che l'imputato veniva accompagnato presso gli uffici di P.G. ove veniva dichiarato in stato di arresto (fatti in relazione ai quali è stata pronunciata, all'udienza del 15 febbraio 2019, la sentenza n. 297/19), specificando infine che sulla base delle dichiarazioni rese dalla donna sottoponevano a sequestro un coltello (cfr. verbale di sequestro in atti).
In merito alla vicenda è stata escussa la persona offesa (…), convivente dell'imputato, la quale, con specifico riferimento al fatto per cui è processo, ha riferito che il 23 gennaio 2019, poco prima dell'intervento degli operanti di P.G. all'interno del ristorante suindicato, a seguito della lita insorta con il Fo., quest'ultimo, brandendo un coltello prelevato dal tavolo, la minacciava proferendo nei suoi confronti le seguenti parole "Puttana, tanto stasera ti uccido" (cfr. p. 6 e 7 delle trascrizioni dell'udienza del 20 ottobre 2022: "sì, ha preso il coltello e mi voleva ammazza", "era sul tavolo il coltello e quanto ha detto "io ti ammazzo, puttana" ha preso il coltello sul tavole", sul punto v. anche pp. 9 e 10 delle trascrizioni della medesima udienza).
Nel corso dell'istruttoria dibattimentale è stata infine sentita la teste (…), la quale ha riferito che era stata lei a richiedere l'intervento del militare in considerazione del comportamento violento e minaccioso posto in essere dall'imputato nei confronti della donna all'interno del ristorante sopra menzionato.
3. Le esposte risultanze istruttorie consentono di ritenere provato il fatto rappresentato nella contestazione accusatoria, ascrivibile all'odierno imputato.
In tal senso depongono le dichiarazioni rese dalla persona offesa (…), non costituitasi parte civile, la quale ha ricostruito la vicenda per cui è processo, descrivendo in modo sufficientemente circostanziato il comportamento tenuto dall'imputato, per effetto del quale è stata vittima della minaccia riportata nella contestazione accusatoria, rendendo una deposizione che, nel suo complesso, appare immune da apprezzabili contraddizioni, credibile sotto il profilo prettamente intrinseco e genuina, tanto più che non sono emersi elementi (né sono stati prospettati) di segno contrario tali da far ritenere sussistenti particolari ragioni che avrebbero potuto indurre la predetta a rendere un racconto non veritiero.
A ciò si aggiunga che le dichiarazioni rese più in generale dalla persona offesa sul comportamento aggressivo e minaccioso assunto dall'imputato nei suoi confronti, già di per sé attendibili e credibili, hanno trovato riscontro in quelle rese dalla teste (…) e dall'operante di P.G. (…), i quali hanno fornito un racconto in relazione al quale non sono emersi elementi per dubitare della sua attendibilità.
Le argomentazioni che precedono consentono pertanto di ritenere provato ed ascrivibile all'imputato il fatto oggetto di contestazione accusatoria, integrante il reato di cui all'art. 612, co. 2, c.p., essendo indubbio, alla stregua delle precisioni fornite dalla persona offesa, che la minaccia verbale sia stata accompagnata dall'ostentata presenza del coltello.
Sul piano dell'elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice, com'è noto, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 612 c.p., è richiesta una limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione di un male ingiusto che possa essere cagionato alla vittima e che dipenda dalla volontà dell'agente. Nel caso di specie, la condotta posta in essere dall'imputato, consistente nell'aver brandito all'indirizzo della persona offesa un coltello, pronunciando contestualmente le espressioni minacciose sopra riportate, integra, con evidenza, il reato di minaccia contestato, aggravato ai sensi del comma 2 dell'art. 612 c.p. (procedibile d'ufficio, motivo per il quale non può esplicare alcuno effetto l'intervenuta remissione di querela), presentando un chiaro ed inequivoco carattere intimidatorio ed essendo certamente idonea ad incutere timore e ad impaurire ad impaurire la vittima, nonché ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo.
D'altra parte, "ai fini dell'integratone del delitto di cui all'art. 612 cod. pen. - che ha natura di reato di pericolo - è necessario che la minaccia - da valutarsi con criterio medio ed in relazione alle concrete circostante del fatto - sia idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, ancorchè il turbamento psichico non si verifichi in concreto" (v. Cass., Sez. V, 6 novembre 2013, n. 644; Cass., Sez. V, 12 maggio 2010 n. 21601).
Le accertate modalità del fatto offrono altresì evidenza della sussistenza dell'elemento soggettivo richiesto per l'integrazione del reato, costituito dal dolo generico, dovendosi ritenere che l'imputato abbia agito con la coscienza e volontà di intimorire seriamente la persona offesa.
4. Riguardo alla recidiva contestata all'imputato Fo.Al., avuto riguardo al fatto per cui è processo, considerata la natura della condotta realizzata nel caso in esame, tenuto altresì conto che l'imputato, già riconosciuto recidivo, ha riportato diverse condanne per altri delitti non colposi, si ritiene che il nuovo episodio delittuoso sia concretamente sintomatico di una sua maggiore capacità a delinquere e di una più accentuata pericolosità sociale, dovendosi tuttavia applicare in concreto la sola recidiva di cui all'art. 99, co. 1 c.p.
Deve invece escludersi la recidiva di cui all'art. 99, co. 2, n. 1 c.p. tenuto conto che le condanne riportate dall'imputato riguardato delitti di indole diversa.
5. Non sono emersi elementi obiettivamente apprezzabili che giustifichino il riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche, ostandovi i precedenti penali di cui all'imputato è gravato, nonché le modalità e le circostanze della condotta tenuta dal prevenuto, che denota un'indole violenta e aggressiva del prevenuto.
La cornice edittale prevista per la fattispecie incriminatrice appare inoltre idonea all'irrogazione di una pena proporzionata alla gravità del fatto.
Deve peraltro rilevarsi che non sussiste neppure un obbligo per il Giudice di giustificare, sotto ogni possibile effetto, l'affermata insussistenza dei presupposti del diritto alla concessione, e piuttosto, imponendosi la necessità di motivare la positiva meritevolezza, mai scontata in sè, né presunta, del beneficio ex art. 62-bis c.p. (così Cass. 20 gennaio 2015, n. 8906, secondo la quale 11 la concessione o meno delle circostanze attenuanti generiche risponde a una facoltà discrezionale del giudice, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del decidente circa l'adeguatezza della pena in concreto inflitta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo. Tali attenuanti non vanno intese, comunque, come oggetto di una benevola concessione da parte del giudice, né l'applicatone di esse costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come riconoscimento dell'esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di positivo apprezzamento", cfr., in termini sostanzialmente analoghi, anche Cass., 18 maggio 2017, n. 46568, nella cui motivazione si evidenzia che "non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione").
6. Venendo al trattamento sanzionatorio, applicati i parametri commisurativi prescritti dall'art. 133 c.p., si ritiene congruo comminare la pena finale di mesi quattro di reclusione, così determinata: p.b., per il reato di cui all'art. 612, co. 2 c.p., non contenibile nel minimo edittale, determinata in mesi tre di reclusione, avuto riguardo alle specifiche modalità e circostanze della condotta in concreto realizzata, tenuto conto dell'espressioni proferite e dell'intensità del dolo, desumibile dalle circostanze di fatto, considerata altresì la personalità dell'imputato, evincibile dal certificato del Casellario in atti, aumentata, per la recidiva di cui all'art. 99, co. 1 c.p., di mesi uno di reclusione.
Alla declaratoria di penale responsabilità consegue, per legge, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.
Non ricorrono i presupposti per il riconoscimento all'imputato dei benefici di legge, ostandovi i precedenti di cui l'imputato è gravato.
Non può inoltre procedersi all'applicazione delle semilibertà, della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità sostitutivi ex artt. 55,56 e 56-bis L. 24/11/1981, n. 689 in considerazione dell'assenza, al momento della lettura del dispositivo e degli avvisi di cui all'art. 545 bis c.p.p., sia dell'imputato che di un procuratore speciale nominato a tal fine dal prevenuto.
Quanto, invece, alla sostituzione della pena detentiva con pena pecuniaria, la stessa non appare idonea alla rieducazione dell'imputato né a prevenire il pericolo di commissione di nuovi reati, considerati gli scarsi frutti delle condanne a pena detentiva già riportate, che, evidentemente, non hanno esplicano alcuna efficacia deterrente.
Deve ordinarsi infine la confisca e la distruzione del coltello in sequestro.
La natura delle questioni trattate ha suggerito di riservare il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.,
dichiara Fo.Al. colpevole del reato a lui ascritto e, esclusa la recidiva di cui all'art. 99, co. 2, n. 1 c.p., ritenuta la sola recidiva di cui all'art. 99, co. 1 c.p., lo condanna alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali;
ordina la confisca e la distruzione del coltello in sequestro;
visto l'art. 544 c.p.p.,
indica il termine di giorni 90 per il deposito della motivazione.
Così deciso in Frosinone il 27 febbraio 2023.
Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2023.