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Minaccia: la gravità va valutata nel contesto in cui si collocano le espressioni verbali (Cassazione penale n. 8193/19)


Reato di minaccia (art. 612 c.p.)

La massima

In tema di reati contro la persona, ai fini della configurabilità del reato di minaccia grave, ex art. 612, comma 2, c.p. , rileva l'entità del turbamento psichico determinato dall'atto intimidatorio sul soggetto passivo, che va accertata avendo riguardo non soltanto al tenore delle espressioni verbali profferite ma anche al contesto nel quale esse si collocano. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto, in relazione a minacce di morte, l'insussistenza dell'ipotesi aggravata alla luce del contesto in cui le stesse erano intervenute, costituito da una comune lite tra proprietari di fondi confinanti - Cassazione penale , sez. V , 14/01/2019 , n. 8193).

Fonte: Ced Cassazione Penale


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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Foggia ha confermato la condanna di C.A. per il reato di minaccia commesso in danno delle costituite parti civili P.A. e G.G..


2. Avverso la suddetta pronunzia propone ricorso per cassazione l'imputato, con atto a firma del proprio difensore, articolando cinque motivi.


2.1. Con il primo motivo si lamenta che, in violazione del disposto di cui all'art. 420-ter c.p.p., la sentenza di appello, al pari del provvedimento di primo grado, avrebbe ingiustificatamente rigettato un'istanza di rinvio per concomitante impegno professionale del difensore esclusivamente sulla base dell'astratta valutazione della natura bagatellare del procedimento, affermata esclusivamente in ragione del suo oggetto e cioè un reato di competenza del giudice di pace, ritenuto di per sè non ostativo alla nomina di un sostituto.


2.2. Con il secondo motivo si deduce l'omessa o comunque non corretta valutazione da parte del Tribunale di elementi idonei a inficiare la credibilità delle dichiarazioni delle persone offese, con particolare riferimento alla produzione documentale della difesa relativa alla pendenza di un procedimento a carico di G.G. e Ci.Ma.Ro. - rispettivamente persona offesa e teste nel presente processo - per il reato di calunnia, in danno dello stesso C., al momento della denuncia dei fatti oggetto del presente processo. Peraltro, tale ulteriore vicenda giudiziaria avrebbe implicato la necessità di esaminare le persone offese ai sensi dell'art. 210 c.p.p. o dell'art. 197-bis c.p.p., con la conseguente operatività dell'art. 192 c.p.p., comma 3, mentre nella sentenza impugnata mancherebbe qualsivoglia valutazione di tale questione. I Giudici di primo e secondo grado avrebbero altresì omesso di considerare un altro elemento, tale da pregiudicare l'attendibilità delle dichiarazioni rese dalle costituite parti civili, e rappresentato dalla mancata effettuazione, risultante dalla nota di trasmissione alla Procura della Repubblica del 14.6.2012, dell'intervento dei Carabinieri di (OMISSIS), evocato invece in querela dalle persone offese.


2.3. Con il terzo motivo si eccepisce la mancata rilevazione, nei giudizi di merito, dell'incompetenza per materia del giudice di pace. Secondo il ricorrente, il riferimento in querela a minacce di morte rivolte alle persone offese avrebbe dovuto condurre il pubblico ministero a contestare la fattispecie di minaccia aggravata, di competenza del tribunale, che il giudice di appello avrebbe invece erroneamente ritenuto non configurabile.


2.4. Con il quarto motivo si censura il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, con particolare riguardo all'esame di testi a discarico la cui assunzione era stata revocata dal giudice di primo grado, con provvedimento che il ricorrente dichiara di impugnare contestualmente alla sentenza di appello. La decisione del Tribunale si porrebbe altresì in contrasto con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia di rinnovazione della prova dichiarativa in appello.


2.5. Con l'ultimo motivo si lamenta la mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, intervenuta prima della pronuncia della sentenza di secondo grado, verificatasi in assenza di espressi provvedimenti dichiarativi dell'interruzione o sospensione del corso della prescrizione ad opera del Giudice di pace.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e per certi versi inammissibile e deve conseguentemente essere rigettato.


2. Il primo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato e generico.


2.1 Invero, secondo le Sezioni Unite, l'esigenza del difensore di svolgere la sua attività professionale in un altro procedimento può ritenersi legittimo impedimento, idoneo a fondare il rinvio dell'udienza ai sensi dell'art. 420-ter c.p.p., a condizione che il difensore: a) prospetti l'impedimento non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni; b) indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l'espletamento della sua funzione nel diverso processo; c) rappresenti l'assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l'imputato; d) rappresenti l'impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell'art. 102 c.p.p. sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio (Sez. Un., n. 4909/2015 del 18/12/2014, Torchio, Rv. 262912). Secondo quanto chiarito anche in precedenza dalla Suprema Corte, a fronte di un'istanza che presenti effettivamente i contenuti sopra indicati, è poi compito del giudice operare un bilanciamento tra le esigenze della giurisdizione e quelle proprie della difesa, valutando se il concomitante impegno rappresentato sia effettivamente tale da giustificare il rinvio, alla luce degli elementi indicati (Sez. Un., n. 29529 del 25/6/2009, P.G. in proc. De Marino, Rv. 244109).


2.2 Il Tribunale di Foggia, richiamate correttamente le medesime pronunzie, ha ritualmente svolto il giudizio di cui sopra, ritenendo tuttavia insufficiente la deduzione relativa all'impossibilità di nominare un sostituto ai sensi dell'art. 102 c.p.p., in quanto genericamente motivata in relazione alla presunta "delicatezza" delle questioni rimesse alla competenza del Giudice di pace. Riferimento ritenuto inidoneo ad assolvere l'onere da cui era gravato il difensore a fronte del fatto che si procedeva per reati di entità minore (tanto da non prevedere l'irrogazione di pene detentive) e in concreto per un fatto verificatosi nel corso di una banale lite tra vicini. Ed il tentativo di evidenziare nel ricorso le sottese ragioni di "delicatezza" del procedimento (peraltro facendo riferimento anche all'esito del procedimento e cioè attraverso una giustificazione a posteriori ovviamente inconferente) costituisce la plastica dimostrazione della legittimità della decisione del Tribunale e cioè dell'astrattezza e insufficienza dell'originaria prospettazione difensiva, non in grado di soddisfare i requisiti posti dalla ricordata giurisprudenza di legittimità per l'ammissibilità dell'istanza di rinvio per concomitante impegno professionale.


3. Anche il secondo motivo è inammissibile.


3.1 Manifestamente infondata è in primo luogo la deduzione relativa alla necessità di escussione delle persone offese ai sensi dell'art. 210 c.p.p. o dell'art. 197-bis c.p.p., in ragione dell'affermata pendenza di un diverso procedimento per il reato di calunnia, commesso in danno del C., a carico della G. e della Ci.. Il ricorrente non ha invero fornito alcun elemento che induca a ritenere esistente un'ipotesi di connessione o di collegamento tra i menzionati procedimenti, ai sensi degli artt. 12 e 371 c.p.p., comma 2, lett. b), tale da giustificare l'applicazione delle citate norme processuali, non essendo sufficiente in tal senso la parziale coincidenza, nei termini indicati, dei soggetti negli stessi coinvolti. Pertanto, non essendo le persone offese qualificabili come imputate in procedimento connesso o collegato, non può nemmeno affermarsi la pretesa necessità di applicazione dell'art. 192 c.p.p., comma 3, ai fini della valutazione delle dichiarazioni rese dalle medesime.


3.2 Altro profilo di inammissibilità del motivo di ricorso in esame è costituito dalla sua formulazione in termini generici, nella parte in cui il ricorrente lamenta il travisamento della prova documentale prodotta dalla difesa e la non corretta valutazione della credibilità delle persone offese. Con riguardo alla questione dell'omessa valutazione, da parte del Tribunale, della nota di trasmissione alla Procura della Repubblica dei Carabinieri di (OMISSIS), che, indicando il mancato intervento delle forze dell'ordine sul luogo del fatto, in contrasto con il contenuto della denuncia-querela, rivelerebbe la scarsa attendibilità delle persone offese, si deve osservare come il ricorrente si limiti a richiamare la suddetta prova documentale, senza allegarla al ricorso o riportarne integralmente il contenuto. Peraltro, si può rilevare come manchi l'indicazione delle ragioni per cui alla prova asseritamente non valutata dovrebbe essere riferita natura decisiva, o comunque rilevante, ai fini della decisione, atteso che gli atti menzionati, incluse le fotografie acquisite al fascicolo dibattimentale, sono al contrario indicativi della presenza dei Carabinieri sul luogo della vicenda. Il motivo deve quindi ritenersi generico, coerentemente con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, qualora si denunci il vizio di motivazione di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), che risulti da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame", è onere del ricorrente provvedere alla loro integrale trascrizione o allegazione, a pena di inammissibilità del ricorso (ex multis Sez. 2, n. 20677 del 11/4/2017, Schioppo, Rv. 270071). Inoltre, è costante l'affermazione nella giurisprudenza di legittimità, in materia di travisamento della prova, della necessità che la prova di cui si lamenta l'omessa valutazione abbia carattere decisivo ai fini della decisione (Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499), così da rendere illogico il ragionamento del giudice alla luce dell'essenziale forza dimostrativa dell'elemento non considerato.


3.3 In secondo luogo, il ricorso non solo sollecita a questa Corte un sindacato sul merito del vaglio a cui il giudice di primo grado ha sottoposto le dichiarazioni delle costituite parti civili, che deve ritenersi non ammesso in sede di legittimità, ma è affetto da genericità anche con riguardo alla contestazione del ragionamento probatorio del Tribunale e in particolare all'individuazione degli elementi collocati a sostegno delle sue valutazioni. Invero, deve ribadirsi che, per giurisprudenza costante, l'art. 192 c.p.p., comma 3, che stabilisce la necessità di riscontri, non solo cd. "intrinseci", ma anche "estrinseci" rispetto alle dichiarazioni rese da imputati in procedimenti connessi o collegati, non è applicabile con riguardo all'apporto conoscitivo fornito dalla persona offesa dal reato che non rivesta la suddetta qualità; pertanto, le dichiarazioni rese dalla stessa sono sufficienti a fondare l'affermazione di responsabilità dell'imputato, purchè il provvedimento di condanna sia adeguatamente motivato in merito alla credibilità soggettiva del teste e alla coerenza intrinseca dell'oggetto della deposizione. Trattandosi, infatti, di un soggetto non "terzo" ed estraneo rispetto alla vicenda oggetto del procedimento penale, il vaglio di cui sopra deve essere più pregnante e rigoroso rispetto a quello riferibile agli altri testimoni (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214). Peraltro, si deve considerare come questa Corte abbia chiarito che la valutazione di credibilità e di coerenza intrinseca delle dichiarazioni della persona offesa, configurandosi quale giudizio di fatto, operato alla luce della dialettica dibattimentale e attinente al "modo di essere" della persona esaminata, è insindacabile in sede di legittimità, salvo che il giudice del merito sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/1/2015, Cammarota, Rv. 262575).


3.4 La sentenza impugnata, con motivazione logica e coerente alle risultanze processuali esposte, ha dato conto dello svolgimento della valutazione di credibilità di cui si è fatto cenno, riferendo alle dichiarazioni dei testi a carico caratteri di linearità espositiva, coerenza logica e reciproca convergenza. Si deve peraltro sul punto considerare come l'affermazione di responsabilità dell'imputato non si sia fondata sulle sole deposizioni delle parti civili, essendo stata altresì assunta la testimonianza di soggetti diversi, identificabili nella Ci. e nel S.. Quest'ultimo, in particolare, è persona terza ed estranea rispetto alla vicenda oggetto del processo, non coinvolta peraltro nel diverso procedimento di cui si deduce la pendenza al momento della denuncia dei fatti ad opera del P. e della G.. Pertanto, secondo quanto si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, con cui il ricorso non si confronta in modo specifico, le dichiarazioni delle parti civili sono state ritenute confermate dalle convergenti risultanze dell'esame degli altri testi, e in particolare del S.. Il ricorrente, limitandosi a denunciare l'erroneità del vaglio a cui il Tribunale aveva sottoposto le dichiarazioni delle persone offese, alla luce della prova documentale relativa alla presenza delle forze dell'ordine, nonchè della circostanza della pendenza della vicenda giudiziaria di cui sopra, non ha in alcun modo fatto riferimento alla presenza dei riscontri appena menzionati, o chiarito le ragioni per cui il ragionamento svolto in sentenza sarebbe contraddittorio nella parte in cui attribuisce una valenza maggiore a questi ultimi elementi rispetto a quelli prospettati dalla difesa.


4. Venendo al terzo motivo di ricorso, è manifestamente infondata la censura relativa all'erronea contestazione della fattispecie di cui all'art. 612 c.p., comma 1, in luogo dell'ipotesi di cui al comma 2, con la conseguente necessità, a parere del ricorrente, di rilevazione dell'incompetenza per materia del giudice di pace.


4.1 Invero, coerentemente con quanto ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurazione dell'ipotesi aggravata di minaccia è necessario avere riguardo all'entità del turbamento psichico che la condotta è idonea a determinare nel soggetto passivo, tenuto conto delle modalità di commissione del fatto e delle condizioni soggettive tanto dell'autore, quanto della vittima del reato (Sez. 5, n. 44382 del 29/05/2015, Mirabella Rv. 266055). In altre pronunzie, questa Corte ha affermato la rilevanza della valutazione non solo del tenore delle espressioni verbali profferite, ma anche del contesto in cui le stesse sono state pronunciate, a cui occorre avere riguardo nella valutazione sull'entità del turbamento che la condotta è in grado di cagionare alla persona offesa (Sez. 6, n. 35593 del 16/6/2015, Romeo, Rv. 264341).


4.2 II Tribunale risulta essersi conformato all'orientamento sopra indicato, avendo, con motivazione immune da vizi, escluso la configurabilità dell'ipotesi aggravata, indipendentemente dalla pronuncia di minacce di morte ad opera dell'odierno imputato, alla luce del contesto in cui le stesse sono intervenute, costituito da una comune lite tra proprietari di fondi confinanti, e tale da condurre ad escludere l'idoneità delle frasi pronunciate a suscitare nelle persone offese un reale timore per la loro vita. Le valutazioni relative alla reale entità dell'effetto prodotto dalla condotta contestata all'imputato sulle persone offese, oggetto delle deduzioni del ricorrente, costituiscono inoltre apprezzamenti di fatto, estranei al giudizio di legittimità. Avendo l'organo dell'accusa e i giudici del merito ritenuto configurabile la fattispecie di minaccia semplice, di cui all'art. 612 c.p., comma 1, il processo appare pertanto essere stato correttamente incardinato dinanzi al giudice di pace.


5. Anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile.


5.1 Si deve in primo luogo premettere il non chiaro riferimento, nell'atto di ricorso, all'impugnazione della decisione di revoca parziale dell'ammissione di testi a discarico ad opera del Giudice di primo grado, da intendersi presumibilmente come semplice contestazione della sua correttezza. Non è peraltro presente negli atti processuali il provvedimento del Giudice di pace che avrebbe revocato l'ammissione di tali testi, mentre nei motivi di impugnazione si fa riferimento, in proposito, alla "revoca dell'ordinanza ammissiva dei testi a discarico che avrebbero dovuto riferire cosa era avvenuto "in classe" alla loro presenza" e più oltre si parla anche di "ore di lezione". Risulta dunque evidente che si faccia riferimento a fatti diversi da quelli oggetto del presente processo.


5.2 Venendo alla lamentata illegittimità della decisione di mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello, l'art. 603 c.p.p., come è noto, prevede che il giudice disponga la stessa, se non si tratta di prove scoperte o sopravvenute dopo il giudizio di primo grado, qualora ritenga di non potere decidere allo stato degli atti. Secondo un consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, la mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello è sindacabile nella sede del giudizio di legittimità solo qualora siano ravvisabili manifeste lacune o illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, che avrebbero potuto verosimilmente essere evitate mediante l'assunzione delle prove non ammesse nel giudizio di secondo grado, emergendo dalla sentenza un'evidente carenza del ragionamento probatorio del giudice (in questo senso, recentemente, Sez. 5, n. 32379 del 12/4/2018, Impellizzeri, Rv. 273577). La mancata assunzione della prova deve dunque essere tale da inficiare in maniera sostanziale le argomentazioni poste a fondamento della decisione del giudice.


5.3 A fronte della ritenuta esigenza di escussione, in sede di appello, dei Carabinieri recatisi sul posto al momento dei fatti oggetto del presente procedimento - e che peraltro secondo quanto lamentato dallo stesso ricorrente, alla luce della nota sopra richiamata, non avrebbero mai effettuato l'intervento indicato nell'atto di denuncia-querela - il Tribunale, con motivazione non caratterizzata da evidente lacunosità o contraddittorietà, ha ricondotto la decisione di rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale alla mancata decisività delle prove indicate, considerate non tali da inficiare la valutazione delle testimonianze già acquisite. Non pertinente è invece il richiamo alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo ed alle pronunzie delle Sezioni Unite in materia di rinnovazione della prova dichiarativa in appello, facendo le citate sentenze riferimento alla ben diversa ipotesi di riforma della pronunzia assolutoria a seguito di una diversa valutazione delle dichiarazioni rese nel giudizio di primo grado, e non essendo i principi dalle stesse espresse riferibili al caso di specie.


6. Il quinto motivo è parimenti manifestamente infondato, non essendosi ancora compiuto il termine di prescrizione, in ragione delle numerose sospensioni del corso della prescrizione intervenute nel giudizio di primo grado per la concessione di plurimi rinvii a causa degli impedimenti addotti dal difensore dell'imputato (e non già per il trasferimento del processo dalla sede soppressa) e non rilevando la mancata dichiarazione delle cause interruttive e sospensive con appositi e motivati provvedimenti, invero non necessari atteso che quelle verificatesi nel presente procedimento operano ex lege.


7. Nonostante il punto non sia stato oggetto di ricorso, la Corte rileva invece come la pena di 800 Euro applicata all'imputato sia illegale, atteso che all'epoca della consumazione del reato il massimo edittale previsto dall'art. 612 c.p. era quello di Euro 51. Limitatamente all'entità della pena, dunque, la sentenza impugnata deve dunque essere annullata. L'annullamento deve peraltro essere disposto senza rinvio potendosi provvedere in questa sede alla sua rideterminazione nel massimo edittale.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in Euro 51 di multa.


Dichiara il ricorso inammissibile nel resto.


Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2019.


Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2019

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