1. La vicenda
La Corte d'appello di Napoli confermava una sentenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere che condannava F. e A. per minaccia aggravata e, solo A., per violazione di un provvedimento del Questore di Caserta.
Il tribunale di primo grado aveva condannato entrambi gli imputati a due mesi di reclusione e una multa di 12.000 euro.
Il difensore dei ricorrenti proponeva un ricorso per cassazione articolato in due motivi.
Il primo motivo contestava la condanna per il reato di minaccia aggravata, sostenendo che il fatto avrebbe dovuto essere qualificato come minaccia semplice o danneggiamento, in quanto non erano chiari il numero dei partecipanti all'aggressione e il bersaglio dell'azione.
Il secondo motivo, riguardante solo il ricorrente F., riguardava la violazione del suo diritto a presenziare in udienza a causa della detenzione domiciliare.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione chiedeva l'inammissibilità del ricorso, sostenendo che riproponeva gli stessi motivi dell'appello senza affrontare adeguatamente la sentenza della Corte d'appello.
La Corte di Cassazione dichiarava inammissibili entrambi i motivi.
Sul primo motivo, la Corte riteneva che non si confrontasse in modo specifico con le argomentazioni della sentenza impugnata e che fosse proposto per motivi non consentiti dalla legge.
Sul secondo motivo, la Corte sottolineava che il ricorrente non forniva alcuna prova della persistenza della detenzione domiciliare al momento dell'udienza.
In conclusione, la Corte confermava le condanne e condannava i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro ciascuno a favore della Cassa delle ammende.
2 La massima
Ai fini dell'integrazione del delitto di minaccia aggravata dalla presenza di più persone riunite è sufficiente la semplice concorrenza, nell'esplicazione della minaccia, di una pluralità di persone riunite, anche se soltanto alcune di esse siano state identificate, derivando da detta pluralità in sé la maggiore gravità dell'illecito quale ragione della circostanza aggravante (Cassazione penale sez. III, 16/02/2021, n.23927).
Fonte: Ced Cassazione Penale
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3. La sentenza integrale
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 24.09.2019, la Corte d'appello di Napoli confermava la sentenza emessa in data 15.06.2016 dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere, appellata dal F. e dall' A., che li aveva condannati per il reato di minaccia aggravata e, il solo A., per aver violato il provvedimento del Questore di Caserta che gli faceva divieto di accedere per la durata di anni cinque agli stadi italiani in cui si disputavano partire della squadra di calcio del Caserta, in relazione a fatti contestati come commessi in data 1.04.2012, disponendo aggiungersi nel dispositivo della sentenza di primo grado l'inciso "ed Euro 12.000 di multa" dopo le parole "mesi due di reclusione".
2. Contro la sentenza ha proposto congiunto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dei ricorrenti, iscritto all'Albo speciale previsto dall'art. 613 c.p.p., articolando due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione quanto alla condanna per il reato di cui all'art. 612 cpv c.p..
In sintesi, si duole la difesa dei ricorrenti per non aver i giudici di appello tenuto conto delle argomentazioni difensive circa la mancata riqualificazione giuridica del fatto. Sostiene la difesa che la fattispecie del reato di minaccia grave sarebbe già ricompresa nel reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 6, comma 6, che punisce chi prende parte attiva ad episodi di violenza su cose o persone, in occasione o a causa di manifestazioni sportive o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza. Aggiunge la difesa che affinchè possa ritenersi integrata l'aggravante dell'art. 612 cpv. c.p., deve essere valutata la gravità della minaccia tenendo conto delle lesioni minacciate, e dell'insieme di circostanze che accompagnano la condotta. Nella specie la qualificazione giuridica sarebbe errata essendo incerto il numero dei partecipanti all'aggressione, avvenuta con pugni, del pullman della squadra avversaria. Non vi sarebbero rilievi fotografici, e la circostanza sarebbe emersa dalle dichiarazioni di un agente di polizia che sarebbe stato incerto, nel corso della sua deposizione, circa il numero dei partecipanti, indicando un numero diverso da quello indicato nell'informativa da lui redatta. Il reato avrebbe quindi dovuto essere riqualificato in manaccia semplice, sicchè, difettando la condizione di procedibilità, gli imputati avrebbero dovuto essere prosciolti o, comunque, avrebbe dovuto essere qualificato giuridicamente in danneggiamento ex art. 625 c.p., essendo destinatario dell'aggressione non una persona ma il pullman preso di mira dai tifosi, donde emergerebbe un travisamento del fatto.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione della legge processuale, con riferimento esclusivo alla posizione del ricorrente F., per non aver il primo giudice e la Corte d'appello ritenuto violato il diritto dell'imputato a presenziare in udienza, nonostante il difensore avesse richiesto, nel corso del dibattimento, il rinvio dell'udienza per legittimo impedimento dell'imputato in quanto ristretto agli arresti domiciliari. Errata sarebbe stata la motivazione del rigetto, in quanto la detenzione domiciliare era stata disposta alcuni mesi prima dell'udienza cui avrebbe dovuto partecipare il F.. Richiama a sostegno una decisione di questa Corte (Cass., n. 18455/2014).
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 25.01.2021, ha chiesto ha dichiararsi inammissibile il ricorso, poichè ripropone i motivi di appello senza confrontarsi con la sentenza della Corte che ha motivato in modo congruo. Ed invero: a) sull'assenza di alcuna ragione di legittimo impedimento a comparire all'udienza di A., per via dello stato di detenzione domiciliare che non è stato tempestivamente comunicato, ricorda come la giurisprudenza deve ritenersi ormai consolidata: "In tema di impedimento a comparire, può legittimamente procedersi in contumacia dell'imputato -detenuto agli arresti domiciliari per altra causa - quando tale condizione non emerga dagli atti e l'imputato, o il suo difensore, non si siano diligentemente attivati per darne comunicazione all'autorità giudiziaria procedente." Sez 5 n. 48911/18, Rv. 274160; b) sulla determinatezza del contenuto del DASPO che faceva divieto di presenziare anche nei pressi dello stadio durante il transito dei calciatori avversari; c) sulla procedibilità d'ufficio dell'art. 612 nell'ipotesi di cui al comma 3 del medesimo articolo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il congiunto ricorso, trattato ai sensi ex D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 è inammissibile.
2. Il motivo di ricorso personale del F. è inammissibile.
3. Ed invero, i giudici di appello hanno rigettato l'eccezione di nullità per mancato accoglimento dell'istanza di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento del ricorrente all'ud. 15.06.2016 in quanto hanno ritenuto che l'istanza avrebbe potuto essere accolta solo in caso di assolvimento dell'onere di tempestiva comunicazione, visto che la detenzione domiciliare era stata disposta con ordinanza del 20.10.2015, dunque otto mesi prima dell'udienza in questione.
Trattasi di motivazione immune da censure in diritto, dovendosi dare continuità all'orientamento maggioritario, conforme al decisum delle Sezioni Unite n. 35399 del 2010 (Sez. U., n. 35399 del 24/06/2010 - dep. 01/10/2010, F., Rv. 247837), secondo cui l'imputato già citato in giudizio in stato di libertà e successivamente detenuto per altra causa versa in stato di legittimo impedimento solo se tale nuova condizione sia tempestivamente comunicata, di guisa che, solo nel caso in cui la detenzione sopravvenga a ridosso immediato dell'udienza, si può ammettere che la relativa comunicazione avvenga in udienza anche attraverso il difensore, purchè risulti circostanziata ed esprima la volontà dell'imputato di essere presente al dibattimento (v., tra le tante: Sez. 4, n. 14416 del 01/02/2012 -dep. 16/04/2012, Rega, Rv. 253301 - 01; da ultimo, in senso conforme: Sez. 4, n. 10157 del 18/02/2020 - dep. 16/03/2020, Akhmedov, Rv. 278610 - 01).
In ogni caso, assorbente è il rilievo per cui il ricorrente non svolge alcuna censura avverso quella parte della motivazione con cui la Corte d'appello evidenzia come, al momento dell'udienza, non fosse stata fornita alcuna prova circa la persistenza ed attualità dello stato di detenzione domiciliare, proprio a seguito del decorso di un considerevole lasso temporale rispetto alla data dell'ordinanza che lo aveva disposta (20.10.2015).
Non confrontandosi con tale argomento della motivazione, il motivo è pertanto inammissibile, non attingendo una delle due rationes decidendi dell'impugnata ordinanza. Ed invero, questa Corte ha già avuto modo di affermare che è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle diverse "rationes decidendi" poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017- dep. 23/01/2018, Rv. 272448 - 01).
4. Può quindi procedersi all'esame del primo motivo, comune ad entrambi i ricorrenti, che si appalesa parimenti inammissibile.
5. E' anzitutto affetto da genericità per aspecificità, in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive svolte nel motivo di appello (che, vengono, per così dire "replicate" in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elementi di novità critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilità.
Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
6. Lo stesso è inoltre da ritenersi proposto per motivi non consentiti dalla legge, in quanto non scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata, risolvendosi invero in una critica sterile e non argomentata delle ragioni per le quali la sentenza sarebbe affetta dal dedotto vizio motivazionale.
Ed invero, dall'esame della sentenza, risulta palese la manifesta infondatezza del motivo, atteso che la Corte d'appello, con percorso argomentativo immune da vizi logici, indica nell'impugnata sentenza le ragioni per le quali ha ritenuto sussistere la responsabilità dei ricorrenti e, segnatamente, sussistente il delitto di cui all'art. 612 cpv c.p., su cui si appuntano le comuni censure.
7. Quanto alla mancata qualificazione giuridica del delitto nel reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 6, comma 6, i giudici di appello escludono qualsiasi assorbimento del primo nel secondo, stante la irriducibile diversità fra le condotte in questione e fra i beni giuridici tutelati dalle due norme.
Orbene, al di là della correttezza argomentativa sul punto, ad escludere nella specie qualsivoglia "assorbimento" del delitto di minaccia aggravata nel delitto previsto dalla L. n. 401 del 1989, art. 6, comma 6, posto che, la materialità del fatto non è identica in entrambe le fattispecie, in quanto, mentre l'elemento costitutivo del delitto di cui all'art. 612 cpv. c.p. è la minaccia grave ad altri di un ingiusto danno, l'elemento materiale del delitto di cui all'art. 6, comma 1, legge citata, consiste nella violazione del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive nei confronti di quelle categorie di soggetti indicate alle lettere da a) a d) della disposizione in esame, rispetto alla quale la minaccia costituisce una forma di manifestazione della condotta attraverso la quale viene infranto il divieto di accesso.
Non si versa, pertanto, in un'ipotesi di reato complesso ex art. 84 c.p., per aversi il quale non basta che più fatti costituenti reato abbiano qualche elemento in comune, occorrendo invece che uno di essi converga interamente in un'altra figura criminosa tanto da perdere la sua autonomia e diventare, quindi, elemento costitutivo o circostanza aggravante dell'altro. In difetto di tali presupposti, come nel caso di specie, sussiste il concorso formale dei reati, nulla rilevando la parziale coincidenza dei rispettivi momenti consumativi (v., nel senso che la parziale identità di alcuni elementi comuni, non consente l'assorbimento di un reato nell'altro: Sez. 2, n. 3528 del 27/09/1982 - dep. 23/04/1983, Rv. 158589; Sez. 2, n. 599 del 11/03/1970 - dep. 29/03/1971, Rv. 117330).
8. Manifestamente infondato, è, poi, il motivo con cui si deduce la asserita non configurabilità del reato in esame nella forma aggravata, essendo incerto il numero delle persone partecipanti all'aggressione.
Ed invero, sul punto il ricorrente svolge censure di merito, limitandosi a contestare la valutazione operata dai giudici di merito che hanno ritenuto come la deposizione del teste della polizia giudiziaria, apparisse assolutamente lineare e priva di lacune o contraddizioni, avendo questi sostenuto di aver immediatamente riconosciuto i due imputati reiterando in giudizio il riconoscimento fotografico, precisando ancora che la minaccia era stata posta in essere da un gruppo di una ventina di persone, con conseguente configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 339 c.p. che rende procedibile il delitto di minaccia.
La difesa, in merito, si limita ad asserire che il teste avrebbe manifestato incertezza in dibattimento circa il numero dei partecipanti, censura tuttavia sprovvista di qualsivoglia supporto a sostegno del travisamento probatorio in cui i giudici sarebbero incorsi nell'aver invece ritenuto che il teste avesse reso dichiarazioni lineari e prive di lacune o contraddizioni.
Come è noto, infatti, in forza della regola della "autosufficienza" del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l'onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l'effettivo apprezzamento del vizio dedotto (tra le tante: Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008 - dep. 03/10/2008, Rv. 241023 - 01). E, nella specie, la difesa del ricorrente non ha nemmeno riportato il passaggio dichiarativo del teste che consentirebbe almeno l'apprezzamento del vizio dedotto.
9. Quanto alla qualificazione del fatto come minaccia semplice ai sensi del comma 1, è sufficiente replicare richiamando quanto già argomentato dalla Corte d'appello e dal PG presso questa Corte, che hanno evidenziato come si versasse nell'ipotesi dell'art. 612 c.p., comma 3, ricorrendo cioè il caso in cui si procede d'ufficio, essendo stata la minaccia fatta in uno dei modi indicati nell'art. 339 c.p., ovvero da più persone riunite. Aggravante, come è noto, per la cui integrazione basta la semplice concorrenza, nella esplicazione della violenza o della minaccia, della pluralità di persone riunite, anche se soltanto alcune di esse siano state identificate, poichè l'essenza della circostanza medesima consiste nella maggiore gravita dell'illecito insita nella compartecipazione di un certo numero di persone agli atti violenti o minacciosi (v., in termini: Sez. 3, n. 3478 del 16/12/1965 - dep. 01/03/1966, Rv. 100681 - 01).
10. Infine, quanto alla presunta errata qualificazione giuridica del fatto, che, secondo la difesa del ricorrente, avrebbe dovuto essere qualificato come danneggiamento essendo destinatario dell'azione il pullman che trasportava i giocatori della squadra avversaria, è sufficiente a destituire di fondamento l'eccezione il fatto per cui la minaccia aggravata venne rivolta ai giocatori della squadra avversaria trasportati sul pullman preso di mira dal ricorrente e dalle altre persone in sua compagnia (donde il destinatario finale dell'azione non era il mezzo quanto i soggetti al suo interno trasportati).
In diritto, poi va aggiunto il rilievo per cui tale riqualificazione giuridica ben avrebbe potuto essere operata ove al ricorrente fosse stata contestata la diversa e più grave ipotesi di reato di cui all'art. 635 c.p., comma 1 (Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui con violenza alla persona o con minaccia ovvero in occasione del delitto previsto dall'art. 331 è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni) quale scaturente dall'attuale formulazione a seguito della novella attuata con il D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, applicabile a decorrere dal 6 febbraio 2016, dunque non ai fatti contestati svoltisi in data antecedente, rispetto ai quali la fattispecie era prevista dal comma 2, n. 1, che prevedeva l'identica pena e la procedibilità d'ufficio.
Il ricorrente, dunque, non può censurare la mancata qualificazione giuridica, non avendo interesse a dolersene in quanto il fatto, riqualificato come la difesa pretenderebbe, è più gravemente punito rispetto a quello per cui è intervenuta l'affermazione di responsabilità. Pacifico è infatti che l'interesse, quale condizione di ammissibilità dell'impugnazione, sussiste solo se il gravame è idoneo ad eliminare una decisione pregiudizievole per l'impugnante determinando per il medesimo una situazione pratica più vantaggiosa di quella esistente (tra le tante: Sez. 3, ord. n. 24272 del 24/03/2010 - dep. 24/06/2010, Abagnale, Rv. 247685 - 01).
11. Alla dichiarazione di inammissibilità del congiunto ricorso segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2021