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Omesso versamento di ritenute certificate: che cos'è e quando si configura il reato previsto dall'art. 10-bis del D.lgs. 74/2000

Aggiornamento: 5 giorni fa

Omesso versamento di ritenute certificate

Indice:



 

  1. Che cos’è il reato di omesso versamento di ritenute certificate

Il reato di omesso versamento di ritenute certificate, disciplinato dall’art. 10-bis del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si configura quando un soggetto tenuto a operare come sostituto d’imposta trattiene dalla retribuzione del lavoratore le imposte dovute e, pur rilasciando la certificazione fiscale prevista dalla legge, omette di versare tali somme all’Erario entro la scadenza prevista.

Si tratta di una violazione di natura penale, che si distingue dall’illecito meramente amministrativo per la presenza di una soglia quantitativa e per la natura fraudolenta della condotta. In particolare, l’omissione diventa penalmente rilevante solo se l’importo non versato supera i 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta.

La gravità della fattispecie deriva dal fatto che il sostituto, avendo trattenuto somme destinate allo Stato, agisce in posizione fiduciaria: la mancata corresponsione del tributo integra una violazione del dovere pubblico più che una semplice inadempienza civilistica.

 “La natura pubblicistica delle somme trattenute comporta un obbligo rafforzato in capo al sostituto, che agisce quale longa manus dell’Amministrazione finanziaria” (Cass. pen., sez. III, 28 novembre 2017, n. 10810).

  1. Il ruolo del sostituto d’imposta

La figura del sostituto d'imposta è prevista dall'art. 64 del D.P.R. 600/1973. Si tratta del soggetto (di norma, il datore di lavoro) tenuto per legge a trattenere alla fonte le imposte dovute dai propri dipendenti, per poi riversarle all’Erario.

L’obbligo non si limita alla trattenuta: il sostituto è altresì tenuto a rilasciare ai sostituiti una certificazione (Certificazione Unica), attestante le ritenute operate, e a presentare il modello 770 all’Agenzia delle Entrate, entro i termini stabiliti.

Questo meccanismo consente allo Stato di semplificare la riscossione e di evitare il rischio di evasione da parte del contribuente finale, ma presuppone una assoluta lealtà da parte del sostituto.


  1. Gli elementi costitutivi del reato

Il reato si struttura in due momenti logicamente e giuridicamente distinti:

  1. Una condotta commissiva, che si concreta nella trattenuta delle ritenute fiscali dalla retribuzione del lavoratore, ovvero nell’appropriazione di somme destinate all’Erario e trattenute in nome e per conto dello Stato;

  2. Una condotta omissiva, rappresentata dal mancato versamento di tali somme entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta.

Questa struttura bifasica evidenzia la peculiarità della fattispecie incriminatrice, che sanziona non l’inadempimento generico, ma un comportamento che implica un’appropriazione indebita di risorse pubbliche già nella disponibilità del sostituto.

Affinché il reato possa dirsi integrato, è necessario che ricorrano congiuntamente i seguenti elementi:

  • la trattenuta effettiva delle somme da parte del sostituto;

  • il rilascio della certificazione attestante l’operata ritenuta nei confronti dei lavoratori o altri sostituiti;

  • l’omesso versamento delle somme entro il termine previsto dalla legge, quando l’importo non versato superi la soglia di 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta.

“Non è sufficiente, ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 10-bis del D.lgs. n. 74 del 2000, la sola acquisizione del modello 770, occorrendo la prova del rilascio delle certificazioni ai sostituiti” (Cass. pen., sez. III, 5 luglio 2018, n. 49705)

Il termine di riferimento, quale momento consumativo del reato, è individuato nella scadenza prevista per la presentazione del modello 770, che funge da punto di verifica per l’adempimento dell’obbligo tributario e per la rilevanza penale dell’omissione.


  1. La prova del reato e il valore delle certificazioni

La prova del reato deve fondarsi sull’effettivo rilascio delle certificazioni ai sostituiti. È dunque necessario che l’accusa dimostri, in modo preciso e documentato, che le certificazioni attestanti le ritenute siano state non solo redatte ma anche materialmente consegnate o messe a disposizione dei lavoratori o dei percettori del reddito.

Secondo giurisprudenza costante (Cass. pen. sez. III, n. 40526/2014), non è sufficiente la sola presentazione del modello 770: tale documento ha finalità dichiarative e informative rivolte all’Amministrazione finanziaria e non equivale alla certificazione individuale rilasciata al sostituito, che rappresenta invece il presupposto necessario per la configurabilità del reato.

La Suprema Corte ha più volte evidenziato come la semplice predisposizione o l’invio telematico del modello 770 non possa surrogare il requisito della consegna effettiva delle certificazioni: manca, in tal caso, l’esternazione del documento verso la sfera giuridica del destinatario, che è elemento imprescindibile per determinare l’avvenuto rilascio.

Tale orientamento si fonda su un’interpretazione rigorosa del principio di legalità e di tipicità, ed è stato ribadito anche dopo l’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 175/2022, che ha dichiarato l’illegittimità della disposizione introdotta nel 2015, la quale estendeva la punibilità alle ritenute “dovute sulla base della dichiarazione”, ripristinando così l’originaria formulazione normativa basata esclusivamente sulle ritenute “certificate”.

Ne deriva che, in mancanza della prova dell’effettivo rilascio della certificazione al singolo sostituito, il fatto non è penalmente rilevante, ma può semmai rilevare sul piano dell’illecito amministrativo tributario.


  1. L’elemento soggettivo: dolo generico

Il reato si configura a titolo di dolo generico, ovvero mediante la semplice consapevolezza dell’obbligo giuridico violato e la volontà di omettere il versamento dovuto.

“Il dolo richiesto per la configurazione del reato di omesso versamento è generico e comprende la consapevolezza dell’illiceità della condotta” (Cass. pen., sez. III, 23 novembre 2017, n. 6737)

Non è richiesta, pertanto, alcuna finalità specifica di evasione fiscale, né una particolare astuzia fraudolenta: basta la volontà di non adempiere, pur in presenza di un obbligo chiaro, determinato e conoscibile.

Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale (tra le altre, Cass. pen., sez. III, 8 gennaio 2014, n. 3663), il dolo si desume dalla conoscenza dell’obbligo tributario, dalla sua precisa quantificazione, e dal mancato versamento oltre la soglia prevista. Il fatto che le somme siano già state trattenute ai lavoratori rende irrilevanti eventuali giustificazioni legate alla crisi aziendale o alla temporanea illiquidità: il sostituto d’imposta, in quanto gestore di risorse destinate ex lege all’Erario, non può legittimamente disporne per finalità diverse.

Il dolo generico comprende anche la coscienza del superamento della soglia penalmente rilevante: la consapevolezza di tale dato, agevolmente verificabile dal contenuto delle certificazioni rilasciate e del modello 770, costituisce elemento sintomatico della volontarietà dell’omissione. La Corte di Cassazione ha ribadito che l’affermazione della responsabilità penale non richiede l’accertamento dell’effettivo utilizzo delle somme, essendo sufficiente che queste siano state trattenute e non versate nei termini di legge.


  1. L’evoluzione normativa e la soglia di punibilità

La disciplina dell’art. 10-bis è stata introdotta nel 2004 con l’art. 1, comma 414, della L. 311/2004, colmando il vuoto lasciato dalla riforma del diritto penale tributario attuata nel 2000, che aveva abrogato le precedenti disposizioni sanzionatorie in tema di omesso versamento delle ritenute d’acconto.

In origine, la soglia di punibilità era fissata a 50.000 euro per ciascun periodo d’imposta, e la fattispecie si riferiva esclusivamente alle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti. L’intento del legislatore era quello di reprimere condotte particolarmente gravi, fondate sull’appropriazione indebita di somme pubbliche già nella disponibilità del soggetto obbligato.

Con l’intervento riformatore operato dal D.lgs. 158/2015, nell’ottica di un riordino generale del sistema sanzionatorio, il legislatore ha elevato la soglia di punibilità da 50.000 a 150.000 euro e, soprattutto, ha ampliato la portata applicativa della norma, includendo anche le ritenute “dovute sulla base della dichiarazione” del sostituto d’imposta, anche in assenza di certificazione rilasciata.

Tale estensione ha però sollevato non poche perplessità, soprattutto sotto il profilo della determinatezza del precetto e della tutela del principio di legalità. A ciò ha posto rimedio la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 175/2022, dichiarando l’illegittimità costituzionale della modifica laddove puniva anche l’omesso versamento di ritenute “dovute sulla base della dichiarazione”, in assenza del rilascio delle certificazioni. La Consulta ha così riaffermato la necessità che la condotta penalmente rilevante sia circoscritta alle ipotesi di ritenute effettivamente operate e certificate, in ossequio ai canoni di tassatività e precisione del diritto penale.


  1. Cause di non punibilità e profili procedurali

Il legislatore ha previsto una causa di non punibilità, di natura premiale, per il soggetto che provvede all’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ai sensi dell’art. 13 del D.lgs. 74/2000. Tale pagamento deve comprendere non solo l’imposta dovuta, ma anche sanzioni amministrative e interessi, ed è possibile anche mediante le forme del ravvedimento operoso, dell’accertamento con adesione, della conciliazione giudiziale o dell’adesione al pvc.

Questa previsione si colloca nell’ambito di una politica legislativa ispirata alla deflazione del contenzioso penale-tributario, premiando il comportamento collaborativo del contribuente che si attivi tempestivamente per regolarizzare la propria posizione fiscale.

Quanto agli aspetti procedurali:

  • la competenza appartiene al Tribunale in composizione monocratica, trattandosi di reato punito con pena non superiore nel massimo a due anni di reclusione;

  • il reato è procedibile d’ufficio, senza necessità di querela o impulso di parte;

  • non si applica la responsabilità amministrativa degli enti ex D.lgs. 231/2001, in quanto la fattispecie non è inclusa nel catalogo dei reati presupposto;

  • non sono previste misure cautelari personali, stante la non gravità della pena edittale;

  • la prescrizione è fissata in sei anni, prorogabile fino a sette anni e sei mesi in presenza di atti interruttivi.

Va inoltre ricordato che, a seguito della riforma introdotta dalla L. 103/2017 (c.d. "riforma Orlando"), il corso della prescrizione subisce una sospensione automatica fino a un massimo di un anno e sei mesi dopo la sentenza di primo grado e, in caso di impugnazione, fino alla pronuncia definitiva, incidendo in modo significativo sulla durata complessiva del procedimento penale tributario.

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