Il reato di omesso versamento IVA: natura, struttura e strategie difensive (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000)
- Avvocato Del Giudice
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Il reato di omesso versamento dell'IVA, disciplinato dall'art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, costituisce uno dei cardini del diritto penale tributario, quale espressione della volontà del legislatore di reprimere le forme più gravi di evasione fiscale legate alla dichiarazione annuale dell'imposta sul valore aggiunto.
Il reato si configura quando il soggetto obbligato omette di versare l'IVA dovuta, risultante dalla dichiarazione, entro il termine previsto per l'acconto dell'anno successivo (27 dicembre), qualora l'importo superi la soglia di 250.000 euro per ciascun periodo d'imposta.
La norma incriminatrice
Ai sensi dell'art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000: «È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d'imposta».
La disposizione configura un reato di pericolo concreto per l’interesse erariale, qualificato dalla dottrina e dalla giurisprudenza come reato istantaneo: esso si consuma nel momento esatto in cui scade il termine ultimo per il versamento, ossia il 27 dicembre dell’anno successivo a quello di riferimento.
Non si tratta dunque di un illecito a consumazione prolungata o permanente, ma di una violazione che si perfeziona in un preciso momento temporale.
Tale qualificazione ha riflessi diretti sul regime della prescrizione: il termine ordinario, ai sensi dell’art. 157 c.p., è di sei anni, elevabile a sette anni e sei mesi in presenza di atti interruttivi.
Va inoltre considerata l’incidenza delle cause di sospensione introdotte dalla riforma Orlando (L. n. 103/2017), che possono dilatare ulteriormente il decorso del termine prescrizionale.
Per questo motivo, la determinazione del dies a quo è di fondamentale importanza nella pianificazione della strategia difensiva.
Elemento oggettivo: struttura della condotta
Il reato è a condotta mista, in quanto implica due fasi tra loro consequenziali:
una fase commissiva, consistente nella presentazione della dichiarazione annuale IVA da cui emerga un saldo debitorio superiore alla soglia di punibilità penale;
una fase omissiva, rappresentata dalla mancata effettuazione del versamento dell'imposta entro il termine previsto del 27 dicembre dell'anno successivo.
La giurisprudenza ha ritenuto che il reato si perfezioni solo con il concorso di entrambi gli elementi: la dichiarazione è condizione necessaria per l'individuazione dell'imposta dovuta e l'omissione del pagamento ne rappresenta la violazione rilevante penalmente.
Soggetto attivo del reato, sebbene la norma utilizzi il termine generico "chiunque", è esclusivamente il soggetto passivo IVA, così come definito dal Titolo I del D.P.R. n. 633/1972, ossia il soggetto obbligato alla dichiarazione e al versamento dell'imposta, che agisce in qualità di contribuente diretto o, nel caso di società, di legale rappresentante.
Occorre precisare che, in assenza di presentazione della dichiarazione IVA, non può configurarsi il reato di cui all'art. 10-ter, bensì l'ipotesi distinta di omessa dichiarazione (art. 5 del medesimo decreto).
Tuttavia, la presentazione tardiva della dichiarazione entro 90 giorni dalla scadenza non integra l'omissione, ma consente comunque la configurabilità del reato di omesso versamento, qualora permanga l'inadempimento. Tale interpretazione è stata avallata dalla giurisprudenza di legittimità, che ha sottolineato come la presentazione tardiva ma tempestiva della dichiarazione renda comunque esigibile il pagamento e dunque attivabile la tutela penale.
Elemento soggettivo: il dolo generico
Il dolo richiesto è generico, ossia la volontà consapevole di non adempiere al versamento dell'IVA dovuta, senza che sia necessario un fine specifico di evasione o di arricchimento personale.
Il dolo si presume in via logica e giurisprudenziale nella presentazione della dichiarazione da cui emerga il debito e nella successiva omissione del relativo pagamento, trattandosi di un comportamento che implica una precisa scelta gestionale.
Tuttavia, la prova dell'elemento soggettivo resta centrale nell'architettura del processo penale tributario.
La giurisprudenza maggioritaria ha chiarito che lo stato di difficoltà economica o di crisi di liquidità non esclude automaticamente il dolo (Cass. Pen., Sez. III, n. 7429/2015), ma può essere valutato caso per caso solo se accompagnato da elementi oggettivi che dimostrino l'assoluta impossibilità di adempiere. In particolare, l'onere della prova grava sull'imputato, che dovrà dimostrare non solo la crisi, ma anche la sua origine non imputabile, la sua imprevedibilità e l'impossibilità di fronteggiarla con misure idonee (ad esempio dismissioni patrimoniali, accesso al credito, rinunce personali).
Un’importante apertura in tal senso si rinviene nella sentenza Cass. Pen., Sez. III, n. 6737/2018, in cui la Corte ha censurato una pronuncia di condanna per omesso versamento delle ritenute certificate in cui il giudice di merito non aveva valutato compiutamente la crisi economica dell’impresa.
La Suprema Corte ha richiamato i principi già espressi nella sentenza "Schirosi" (Cass. Pen., Sez. III, n. 8352/2015), secondo cui il dolo non si desume automaticamente dall’omesso pagamento, ma deve risultare da una condotta consapevolmente illecita, da valutarsi anche alla luce del contesto economico-finanziario dell’impresa. In tale prospettiva, l’elemento psicologico può dirsi escluso se l'imputato dimostra di aver preferito il pagamento di stipendi o fornitori per evitare danni più gravi e se tale scelta si colloca all’interno di uno scenario di effettiva, documentata e insuperabile crisi.
Ne deriva che la valutazione della sussistenza del dolo non può prescindere da un accertamento concreto e analitico delle scelte gestionali dell’imputato, dei tentativi di far fronte agli obblighi fiscali e dell'effettiva disponibilità finanziaria dell'impresa nel periodo considerato.
Il margine di apprezzamento riconosciuto al giudice, pertanto, va esercitato secondo un criterio di ragionevolezza e proporzionalità, onde evitare che il diritto penale si trasformi in una sanzione automatica per tutte le difficoltà aziendali.
La causa di non punibilità ex art. 13 D.Lgs. 74/2000
Il D.Lgs. 158/2015 ha profondamente modificato l'art. 13 del D.Lgs. 74/2000, trasformando la causa di non punibilità da mera attenuante a causa estintiva del reato.
In particolare, si prevede che i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il contribuente ha estinto integralmente il debito tributario, comprensivo di imposta, interessi e sanzioni amministrative. L'estinzione può avvenire anche tramite strumenti deflattivi come l'adesione all'accertamento, la conciliazione giudiziale o il ravvedimento operoso.
Questo meccanismo opera come una preclusione processuale che impedisce l'ulteriore prosecuzione del giudizio, purché l'integrale pagamento sia effettuato nei termini indicati.
La ratio della norma risiede nel favorire la compliance fiscale, incentivando il contribuente a sanare la propria posizione debitoria in cambio della non punibilità penale.
La giurisprudenza di legittimità ha confermato la portata retroattiva della disposizione: la Cassazione penale, Sez. III, con le sentenze n. 40314/2016, n. 30139/2017 e n. 15237/2017, ha chiarito che l'art. 13 così riformato si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 158/2015 (22 ottobre 2015), persino quando il dibattimento era già stato aperto, purché non sia intervenuta sentenza irrevocabile di condanna.
In tali casi, il giudice ha il dovere di accogliere l'istanza di rinvio per consentire al contribuente il completamento della rateizzazione già avviata, prorogabile una sola volta per un massimo di tre mesi.
L'importanza strategica dell'art. 13 risiede nella sua funzione di sbocco deflattivo: esso consente al difensore di costruire una strategia finalizzata a evitare la condanna penale mediante l'estinzione concordata del debito, contribuendo così a una gestione più razionale ed equa del contenzioso penale-tributario.
Misure cautelari e confisca
Il reato di omesso versamento IVA può comportare l'applicazione di misure cautelari personali qualora sussistano gravi indizi di colpevolezza e specifiche esigenze cautelari, come il rischio di reiterazione del reato, di inquinamento probatorio o di fuga, secondo quanto previsto dagli artt. 273 e 274 c.p.p.
Tuttavia, nella prassi, l’attenzione si concentra prevalentemente sulle misure cautelari reali, con particolare riferimento al sequestro preventivo finalizzato alla confisca, ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p.
La confisca può assumere due forme principali:
confisca diretta, qualora sia possibile aggredire direttamente il bene che costituisce il prezzo o il profitto del reato, ad esempio le somme non versate e ancora disponibili sul conto dell’imputato;
confisca per equivalente, che consente di colpire beni diversi ma di valore corrispondente al profitto del reato, quando non è possibile individuare o sequestrare direttamente il provento illecito.
Un'importante precisazione riguarda la confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica: essa non è consentita salvo che l’ente societario risulti essere un mero schermo fittizio, creato al solo fine di eludere le responsabilità individuali (Cass., SS.UU., n. 10561/2014, caso "Gubert").
In tal caso, la giurisprudenza ha riconosciuto la legittimità del sequestro per equivalente anche sui beni formalmente intestati alla società, qualora essa sia priva di effettiva autonomia patrimoniale.
Inoltre, la Cassazione ha stabilito che la confisca deve essere sempre disposta in caso di condanna, anche in assenza di disponibilità attuale dei beni da parte dell’imputato, estendendosi quindi anche a beni futuri, in ragione del principio della funzione obbligatoria della confisca nei reati tributari (Cass. Pen., Sez. III, n. 4750/2017).
Rilevanza della giurisprudenza europea
Con sentenza CGUE, Grande Sezione, 20 marzo 2018, n. 524 (causa C-524/15, Menci), la Corte di giustizia dell'Unione europea ha affrontato la delicata questione del rapporto tra sanzioni amministrative e sanzioni penali nei reati fiscali, specificamente in relazione al principio del ne bis in idem sancito dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE.
La Corte ha stabilito che il cumulo tra procedimento penale e sanzione amministrativa è ammissibile solo a condizione che:
entrambi i procedimenti perseguano fini complementari legati alla tutela di un medesimo interesse pubblico rilevante (nel caso specifico, la lotta all'evasione fiscale);
il sistema nazionale assicuri un coordinamento sufficiente tra le due procedure per limitare al minimo gli oneri imposti all'interessato;
la severità complessiva delle sanzioni applicate non ecceda quanto necessario rispetto alla gravità dell'infrazione.
Ne consegue che, in ambito interno, l'avvio di un procedimento penale per omesso versamento IVA non viola il divieto di bis in idem, anche qualora il contribuente sia stato già destinatario di una sanzione amministrativa tributaria definitiva, purché sussistano le garanzie sopra indicate.
Questo principio ha trovato riscontro anche nella giurisprudenza italiana successiva, la quale ha chiarito che la legittimità del doppio binario sanzionatorio dipende dal rispetto di criteri di proporzionalità, coordinamento e ragionevole necessità, escludendo automatismi punitivi e richiedendo un attento bilanciamento tra le esigenze di repressione penale e le tutele individuali dell’imputato.
Conclusioni
Il reato di omesso versamento IVA si caratterizza per la sua oggettiva gravità, ma anche per la notevole difficoltà difensiva nel confutare la sussistenza del dolo.
Tuttavia, alla luce dei più recenti orientamenti, si aprono spazi per strategie difensive fondate su una rigorosa dimostrazione dell'incolpevole impossibilità di adempiere.
Fondamentale, in chiave processuale, è l'utilizzo delle cause di non punibilità ex art. 13 D.Lgs. 74/2000 e delle istanze di rateizzazione con pagamento rateale del debito, che, se attivate tempestivamente, possono precludere la configurazione stessa del reato o condurre all'estinzione del procedimento penale.
La difesa del contribuente non può più limitarsi alla contestazione della materialità del fatto, ma deve innestarsi su una ricostruzione dettagliata delle dinamiche imprenditoriali e finanziarie che hanno condotto all'inadempimento, al fine di poter dimostrare in giudizio, con argomentazioni concrete e documentali, l'assenza di dolo o la sussistenza di un valido esimente penalmente rilevante.