La Corte di Cassazione, con la sentenza n.32672/2024, ha riaffermato il principio secondo cui la gestione di scommesse sportive, anche quando affiliata a bookmaker esteri, richiede il rispetto delle stringenti normative italiane in materia di concessioni e autorizzazioni.
La decisione chiarisce che non vi è alcun margine per aggirare le regole nazionali, nemmeno attraverso l'affiliazione a società estere che operano in altri Stati membri dell'Unione Europea.
La pronuncia si inserisce nel contesto delle giurisprudenze volte a contrastare le attività di gioco e scommesse non autorizzate, anche in un'ottica di lotta alla criminalità e di tutela dell'ordine pubblico.
I fatti
L'imputata Ru.An., titolare di un centro scommesse affiliato al bookmaker estero C. LTD, era stata condannata, in primo grado, per aver gestito un’attività di raccolta scommesse senza le necessarie concessioni e autorizzazioni previste dall'art. 88 del T.U.L.P.S.
La Corte d'Appello di Napoli aveva ridotto la pena a quattro mesi di reclusione, confermando tuttavia la responsabilità penale della ricorrente.
Nel ricorso per Cassazione, la difesa di Ru.An. ha sollevato due motivi di ricorso.
In primo luogo, ha lamentato la mancanza di una motivazione adeguata circa l'accusa di aver utilizzato conti "propri" o intestati a soggetti di comodo per raccogliere le giocate.
In secondo luogo, ha denunciato una presunta discriminazione nei confronti del bookmaker estero C. LTD, escluso dalla partecipazione alle gare per l'assegnazione delle concessioni necessarie a operare in Italia.
Il giudizio della Corte
La Corte di Cassazione ha ritenuto entrambi i motivi di ricorso inammissibili.
Sul primo punto, ha osservato che i giudici di merito avevano accertato, sulla base delle risultanze probatorie, che l’imputata aveva svolto una vera e propria attività di intermediazione illecita, raccogliendo puntate e gestendo vincite attraverso conti gioco intestati a soggetti fittizi.
Pertanto, secondo i giudici, l’attività della ricorrente non si limitava alla semplice trasmissione delle giocate a un bookmaker straniero, ma costituiva un’attività autonoma di raccolta abusiva di scommesse.
In relazione al secondo motivo, la Corte ha richiamato la giurisprudenza europea e nazionale, sottolineando come la normativa italiana, pur imponendo restrizioni all’esercizio di attività legate ai giochi d'azzardo, sia stata ritenuta compatibile con il diritto dell’Unione Europea (sentenza Biasci del 12 settembre 2013).
Tali restrizioni, finalizzate a contrastare la criminalità legata ai giochi, sono considerate proporzionate e giustificate, purché i mezzi impiegati siano coerenti e sistematici.
La Cassazione ha quindi escluso che le presunte discriminazioni subite dal bookmaker C. LTD potessero avere rilevanza nel caso in esame, evidenziando che la responsabilità per la raccolta abusiva di scommesse gravava direttamente sull’operatore italiano, indipendentemente dall’eventuale esclusione del bookmaker straniero dalle gare per l’ottenimento delle concessioni.
Considerazioni conclusive
La sentenza conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui l'attività di raccolta scommesse in Italia richiede sia una concessione statale sia un’autorizzazione di polizia.
La raccolta abusiva di scommesse, anche se svolta per conto di bookmaker esteri, integra il reato previsto dall’art. 4 della Legge n. 401 del 1989.
Questo principio è stato ribadito più volte dalla Corte di Cassazione, che ha chiarito come l’intermediazione nella raccolta di scommesse sportive, senza le necessarie autorizzazioni, configuri un’attività illecita.
In conclusione, la Cassazione ha confermato la responsabilità penale di Ru.An., rigettando il ricorso e condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle Ammende.
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