Quali sono, chi ne risponde, perché sono "centrali" e quali sono le principali riforme dei reati contro la Pubblica Amministrazione.
Indice
1. Quali sono?
2. Reati commessi dal pubblico ufficiale.
3. Reati commessi dal privato.
4. La nozione di pubblico ufficiale.
5. La nozione di incaricato di pubblico servizio.
6. La centralità dei reati contro la P.A. nel codice penale.
7. Qual è il bene giuridico tutelato?
8. Le principali riforme dei reati contro la Pubblica Amministrazione.
Lo Studio dell'avvocato Salvatore del Giudice è specializzato nei reati contro la pubblica amministrazione ed assiste politici, amministratori nazionali e locali e dirigenti.
In particolare, l'esperienza professionale, maturata in numerosi e delicati processi, ha riguardato i reati di concussione, corruzione, abuso d’ufficio, induzione indebita, peculato e turbata libertà degli incanti.
Al fine di garantire la migliore assistenza legale, lo Studio monitora costantemente le novità legislative e giurisprudenziali in tema di reati contro la pubblica amministrazione e pubblica mensilmente una raccolta aggiornata di sentenze di merito e legittimità.
Inoltre, l'Avv. Del Giudice ha partecipato in qualità di relatore a numerosi convegni sul tema ed ha pubblicato diversi articoli, podcast e note a sentenza.
I reati contro la Pubblica Amministrazione rappresentano una categoria di delitti particolarmente gravi, disciplinati dal Libro II, Titolo II del codice penale, che puniscono comportamenti lesivi dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento che ispirano e caratterizzano l’agire amministrativo.
La prima distinzione che possiamo operare tra i reati contro la Pubblica Amministrazione, riguarda la tipologia di soggetto attivo del reato, ed invero, il Titolo II del codice penale prevede due distinti Capi, all’interno dei quali sono raggruppati:
delitti commessi dai pubblici ufficiali e dagli incaricati di pubblico servizio;
delitti commessi privati cittadini.
In primo luogo, il Legislatore punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando dei poteri che gli vengono riconosciuti dalla legge e dalla funzione, commette un sopruso nei confronti del cittadino e della collettività.
Pensiamo ad un carabiniere che, all’esito di un sopralluogo in una vineria, costringa il proprietario a consegnargli una cassa di vini pregiati, per evitare una grossa multa.
In secondo luogo, il codice penale punisce il privato cittadino che, con il proprio comportamento, intralci il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio nell’assolvimento dei propri compiti.
Pensiamo ad una persona che, invitata a rendere le proprie generalità da un poliziotto, lo aggredisca fisicamente.
I Reati contro la Pubblica Amministrazione commessi dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio sono disciplinati dal Libro II, Titolo II, Capo I del codice penale, e sono i seguenti:
Peculato, punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi. (art. 314 c.p.);
Peculato mediante profitto dell'errore altrui, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (art. 316 c.p.);
Concussione, punito con la reclusione da sei a dodici anni (art. 317 c.p.);
Corruzione per l'esercizio della funzione, punito con la reclusione da tre a otto anni (art. 318 c.p.);
Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, punito con la reclusione da sei a dieci anni (art. 319 c.p.);
Corruzione in atti giudiziari ,punito con la reclusione sei a dodici anni (art. 319 ter c.p.);
Induzione indebita a dare o promettere utilità, punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi (art. 319 quater c.p.);
Abuso di ufficio, punito con la reclusione da uno a quattro anni (art. 323 c.p.);
Utilizzazione d'invenzioni o scoperte conosciute per ragione d'ufficio, punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a euro 516 (art. 325 c.p.);
Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (art. 326 c.p.);
Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione, punito con la reclusione da sei mesi a due anni (art. 328 c.p.);
Rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica, punito con la reclusione fino a due anni (art. 329 c.p.);
Interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità, punito con la reclusione da tre a sette anni e con la multa non inferiore a euro 3.098 (art. 331 c.p.);
Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall'autorità amministrativa, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 516 (art. 334 c.p.).
Come è evidente, i reati contro la Pubblica Amministrazione commessi dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio prevedono pene molto severe, a cui si aggiunge un rigido regime di pene accessorie, ampliato dai recenti interventi normativi in materia di contrasto ai fenomeni corruttivi, ed in particolare la Legge n.3/19.
I reati contro la Pubblica Amministrazione commessi dal privato cittadino sono disciplinati dal Libro II, Titolo II, Capo I del codice penale, e sono i seguenti:
Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni (art. 336 c.p.);
Resistenza a un pubblico ufficiale, punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni (art. 337 c.p.);
Occultamento, custodia o alterazione di mezzi di trasporto, punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 2.582 a euro 10.329 (art. 337-bis c.p.);
Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti, punito con la reclusione da uno a sette anni, (art. 338 c.p.);
Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, punito con la reclusione fino a un anno (art. 340 c.p.);
Oltraggio a pubblico ufficiale, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni, (art. 341-bis c.p.);
Oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000 (art. 342 c.p.);
Oltraggio a un magistrato in udienza, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni, (art. 343 c.p.);
Traffico di influenze illecite, punito con la reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi (art. 346-bis c.p.);
Usurpazione di funzioni pubbliche, punito con la reclusione fino a due anni (art. 347 c.p.);
Abusivo esercizio di una professione, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000 (art. 348 c.p.);
Violazione di sigilli, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032 (art. 349 c.p.);
Violazione della pubblica custodia di cose, punito con la reclusione da uno a cinque anni (art. 351 c.p.);
Turbata libertà degli incanti, punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032 (art. 353 c.p.);
Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032 (art. 353 bis c.p.);
Astensione dagli incanti, punito con la reclusione sino a sei mesi o con la multa fino a euro 516 (art. 354 c.p.);
Inadempimento di contratti di pubbliche forniture, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 103, (art. 355 c.p.);
Frode nelle pubbliche forniture, punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a euro 1.032 (art. 356 c.p.).
Ciò posto, dobbiamo chiederci qual è la nozione di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio, rilevante ai fini della configurabilità dei reati contro la Pubblica Amministrazione.
Secondo l’articolo 357 comma 1 c.p., sono pubblici ufficiali, punibili per un reato contro la Pubblica Amministrazione, tutti coloro che esercitano una funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.
Pertanto, rientrano nella categoria in argomento parlamentari, consiglieri comunali, pubblici ministeri, giudici, giudici onorari, sindaci, assessori, sindaci, assessori, funzionari e dipendenti pubblici.
Il secondo comma del medesimo articolo prevede che “Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.
La disposizione in argomento, dunque, fornisce una nozione di pubblico ufficiale molto ampia, che finisce per ricomprendere tutti coloro che operano nella pubblica amministrazione e posseggono poteri autoritativi o certificativi.
A ben vedere, la nozione di pubblico ufficiale, rilevante ai fini della configurabilità dei reati contro la pubblica amministrazione, è particolarmente “sfumata” e di difficile inquadramento, soprattutto a causa della molteplicità delle forme attraverso cui la P.A. attua i propri fini istituzionali.
In questa direzione, si richiama la sentenza Cass. Pen. n. 17972/2019, con la quale la Suprema Corte ha affermato che può assumere la qualità di pubblico ufficiale anche chi sia titolare di un contratto di natura privatistica, allorquando abbia partecipato, con la propria attività, alla formazione della volontà dell'ente ed all'attuazione dei suoi fini istituzionali.
L’art. 358 c.p. riconosce la qualità di incaricato di pubblico servizio, agli effetti della legge penale, a chiunque, a qualsiasi titolo, presti un pubblico servizio.
Il secondo comma prevede che: “Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale”.
Come è evidente, la disposizione sopra riportata è estremamente vaga e generica e non consente all’interprete di individuare una nozione chiara e precisa di incaricato di pubblico servizio.
La generica formulazione ha dato spazio a numerosi contrasti interpretativi e soluzioni giurisprudenziali che destano non poche perplessità.
Ad esempio, la Suprema Corte di Cassazione ha riconosciuto la qualità di incaricato di pubblico servizio al custode di un cimitero, all’amministratore di una società partecipata comunale, al bidello di una scuola elementare ed all’addetto bancoposta.
Provando una sintesi, potremmo sostenere che secondo l’orientamento interpretativo seguito dalla Corte, rientrano nella categoria dell’incaricato di pubblico servizio sostanzialmente tutti coloro che operano, a qualsiasi titolo, a contatto con un ufficio pubblico.
Il Legislatore ha riconosciuto ai reati contro la Pubblica Amministrazione un ruolo centrale all'interno della architettura del codice penale, collocandoli nel Libro II, Titolo II c.p., ovvero immediatamente dopo i delitti contro la personalità dello Stato.
Ed invero, seguendo la progressione codicistica, sebbene possa apparire paradossale, i reati contro la Pubblica Amministrazione trovano spazio addirittura prima di quelli contro la persona (omicidio, istigazione al suicidio) e di quelli contro il patrimonio (estorsione, rapina).
L'eccentrica collocazione sistematica dei reati contro la P.A. deriva da motivazioni di carattere storico, atteso che il codice penale, come è noto, è entrato in vigore nel 1930, ovvero in pieno regime fascista.
Pertanto, la struttura del codice risente fortemente dell’ideologia dominante dall'epoca, che situava l'Autorità in posizione di assoluta supremazia rispetto a quella del privato cittadino.
Ciò posto, va però osservato che i reati contro la Pubblica Amministrazione hanno mantenuto, anche a distanza di molti anni dalla caduta del regime fascista, una indiscutibile centralità nel dibattito politico italiano.
Basti pensare, solo per fare un esempio, alla recente approvazione della cd. “Legge Spazzacorrotti”, che ha dominato la discussione pubblica per mesi, riscontrando un significativo apprezzamento in gran parte dell'opinione pubblica.
Pertanto, possiamo ritenere che, ancora oggi, i reati contro la pubblica amministrazione possiedono una notevole "attenzione" all'interno del nostro Paese, che giustifica, per certi versi, la sua collocazione apicale all'interno del codice penale.
La “centralità” dei reati contro la Pubblica Amministrazione nel nostro ordinamento penale non deriva solo da ragioni di natura "ideologica", ma anche economica.
E ciò in quanto, i cd. fenomeni corruttivi costituiscono uno dei principali freni alla crescita ed allo sviluppo economico e sociale del nostro paese, sottraendo silenziosamente risorse alla collettività e disincentivando investimenti e competitività.
Sul punto, basti pensare che, secondo una Decisione della Commissione Europea del 2011, il costo della corruzione nei paesi UE veniva stimato in circa 120 miliardi di euro all'anno (circa l'1% del PIL dell'Unione Europea).
Il bene giuridico tutelato dai reati contro la Pubblica Amministrazione è rappresentato dall'interesse della collettività ad una gestione della "cosa pubblica" sana, trasparente ed improntata ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento.
Il bene giuridico trova il suo fondamento in distinte disposizioni di rango costituzionale ed in particolare nell’articolo 54 Cost., secondo il quale ogni cittadino cui sono affidate funzioni pubbliche ha il dovere morale di agire ed adempiere a tali funzioni con "disciplina" ed "onore", nel rispetto assoluto della legge e nell'interesse pubblico.
Pertanto, i reati contro la Pubblica Amministrazione sono posti a presidio di tale dovere morale, che ogni pubblico ufficiale ed incaricato di un pubblico servizio, nell’esercizio delle proprie funzioni, è tenuto a rispettare.
Per ciò che concerne i reati contro la Pubblica Amministrazione commessi dai privati, il bene giuridico tutelato è rappresentato dall’interesse a che l’amministrazione della cosa pubblica non subisca intralci o sviamenti dai principi costituzionali che ne disciplinano il funzionamento (imparzialità, trasparenza e buon andamento).
La prima riforma che ha riguardato i reati contro la Pubblica Amministrazione, a seguito della entrata in vigore del codice penale del 1930, è stata introdotta con la Legge 26 aprile 1990 n. 86.
La riforma incise profondamente sul Libro II, Titolo II del codice penale, abrogando i reati di peculato per distrazione e di interesse privato in atti di ufficio ed introducendo il reato di abuso di ufficio ex art. 323 c.p.
L’obiettivo del Legislatore era quello di semplificare e rendere più precise le fattispecie penali che riguardavano l’agire della Pubblica Amministrazione, consentendo in tal modo un margine di immunità penale per i pubblici amministratori, troppo spesso “paralizzati” dalle continue “invasioni di campo” del giudice penale.
Purtroppo, la nuova medicina risultò addirittura peggiore del malanno.
Ed invero, la nuova fattispecie di abuso d’ufficio, a causa della sua eccessiva genericità, dimostrava una spiccata capacità di “adattamento” a qualsiasi comportamento assunto dal pubblico ufficiale, che di fatto rendeva impossibile distinguere, a propri, comportamenti illeciti da quelli virtuosi.
Sempre nella medesima ottica di restringere il campo di intervento del giudice penale nell’agire amministrativo e l’area di punibilità del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio, veniva riformato, con la Legge n. 86/90 il reato di omissione d’atti di ufficio.
La norma introdotta superava l’eccessiva “indeterminatezza” della precedente formulazione che riconduceva l’omissione ad ogni atto dell’ufficio o del servizio, limitandola a determinate materie ed entro stretti limiti temporali.
Va però precisato che lo sforzo del legislatore, anche con riferimento a questo caso, ha lasciato irrisolte numerosi questioni, che per ragioni di tempo, però, non è possibile in questa sede approfondire.
Il successivo intervento legislativo in tema di reati contro la Pubblica Amministrazione è rappresentato dalla Legge 16 luglio 1997 n.234, approvata a seguito delle inchieste giudiziarie cd. “Mani Pulite”, che determinarono un vero e proprio terremoto politico sociale e la dissoluzione della Prima Repubblica.
La riforma in argomento modificò il reato di abuso di ufficio, ridefinendone, attraverso l’introduzione di nuovi “paletti”, i confini applicativi e riducendo l’eccessiva indeterminatezza che caratterizzava la fattispecie criminosa.
In altri termini, anche in questo caso, l’obiettivo del Legislatore era quello di restringere ulteriormente l’area del penalmente rilevante per le condotte dei pubblici ufficiali, al fine di limitare la cd. “burocrazia difensiva”, che soprattutto in quel preciso momento storico, rischiava di paralizzare completamente l’attività amministrativa.
Ulteriore intervento, in materia, è rappresentato dalla Legge 29 settembre 200 n. 300, che ha introdotto l’art. 323 bis c.p.p., norma che ha esteso l’applicabilità dei delitti contro la Pubblica Amministrazione anche nei confronti dei membri delle istituzioni comunitarie ed in generale degli altri stati stranieri.
Dopo la riforma del 1990 in materia di abuso di ufficio, la Legge 6 novembre 2012 n. 190 costituisce il secondo intervento che potremmo definire organico in materia di reati contro la pubblica amministrazione.
In particolare, la riforma del 2012 muoveva dall’obiettivo di ridefinire un netto confine applicativi tra il reato di concussione e quello di corruzione, la cui evanescenza aveva creato non pochi dubbi interpretativi.
L’approccio questa volta muove da una consapevolezza: la lotta alla corruzione non è solo un problema che va affrontato solo in chiave repressiva, ma deve essere accompagnato da strumenti preventivi che anticipino la commissione dei reati e quindi il ricorso allo strumento sanzionatorio penale.
Ed invero, tra le novità introdotte dalla riforma, vi era l’istituzione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), a cui veniva attribuito un compito di vigilanza sui contratti pubblici e sugli incarichi affidati nell’ambito pubblica amministrazione.
Il tutto chiaramente al fine di anticipare la tutela del corretto funzionamento della pubblica amministrazione ed impedire il diffondersi di fenomeni corruttivi
Come abbiamo detto nei paragrafi precedenti, tutelare la pubblica amministrazione non significa solo introdurre fattispecie di reato volte a punire il pubblico ufficiale infedele o il cittadino che ne intralci il funzionamento, ma anche garantire la trasparenza e l’accessibilità agli atti della Pubblica Amministrazione.
In questa direzione deve leggersi l’intervento normativo introdotto con il Decreto Legislativo n. 97 del 2016, riguardante il “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”.
Ed invero, il Decreto ha introdotto una dettagliata disciplina che garantisce l’accesso civico generalizzato garantisce di ogni cittadino a documenti ed informazioni delle pubbliche amministrazioni.
In ultimo, va menzionata la Legge 9 gennaio 2019 n.3 cd. “Legge Spazzacorrotti”, che ha inciso notevolmente sui reati contro la pubblica amministrazione, apportando modifiche sia al codice penale che al codice di procedura penale.
In particolare, il Legislatore, in controtendenza rispetto all’intervento normativo del 2012, ha posto principalmente l’accento sul momento repressivo del fenomeno corrutivo e non su quello preventivo, predisponendo un irrigidimento del regime sanzionatorio dei reati contro la pubblica amministrazione e l’ampliamento dei casi di interdizione dai pubblici uffici (c.d. Daspo per i corrotti).
La riforma ha poi introdotto la figura dell’agente sotto copertura ed aumentato i casi in cui il pubblico ministero può ricorrere, nel corso delle indagini preliminari, per l’accertamento dei reati contro la pubblica amministrazione, all’utilizzo di intercettazioni telefoniche (anche attraverso l’utilizzo di trojan).
Ed ancora, la cd. “Legge Spazzacorrotti” ha inciso anche sulle norme di ordinamento penitenziario, precludendo ai condannati per reati contro la pubblica amministrazione l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione.
Ci sono molti aspetti di questa riforma che lasciano perplessi gli operatori del diritto, e ciò in quanto molte delle innovazioni introdotte dalla Legge 9 gennaio 2019 n.3 si pongono in aperto contrasto con le norme ed i principi della Costituzione.
Basti pensare alle modifiche sull’ordinamento penitenziario che vietando ad un gruppo di condannati (quelli per reati contro la pubblica amministrazione) l’accesso alle misure alternative alla detenzione, violano il principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 Cost. e quello di rieducazione della pena ex art. 27 Cost.
Chiaramente, questi sono aspetti che non possono trovare approfondimento in questa sede.