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Bancarotta fraudolenta patrimoniale: sussiste anche in caso di esercizio di facoltà legittime

Bancarotta fraudolenta patrimoniale

Cassazione penale sez. V, 23/06/2022, n.37109

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, anche l'esercizio di facoltà legittime che determini la stabile fuoriuscita di un bene dal patrimonio del fallito, impedendone l'apprensione da parte degli organi del fallimento, può costituire strumento di frode in danno dei creditori, ove siano rinvenibili "indici di fraudolenza" della distrazione. (Nella fattispecie, tali indici sono stati rinvenuti nel fatto che l'imputato aveva ceduto in comodato gratuito, a prescindere da qualsiasi causa riconducibile all'oggetto sociale, un'autovettura della società a un terzo estraneo, che l'aveva successivamente ceduta ad altri).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Roma ha parzialmente riformato la decisione del primo giudice - che aveva dichiarato G.A. colpevole dei contestati reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (anche post fallimentare), per i prelievi dai conti correnti eseguiti prima del fallimento (oltre 200.000 Euro) e per le movimentazioni di dare -avere (prelievi e bonifici per complessivi 18.940,00 Euro), operate dopo il fallimento, oltre che per la distrazione di una autovettura Mercedes, nonché di bancarotta fraudolenta documentale rideterminando la durata delle pene accessorie fallimentari. 2.Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, con il ministero del difensore di fiducia, Rosita Aurelio, che svolge sette motivi. 2.1 Con il primo, denuncia vizi della motivazione con riguardo alla affermazione di responsabilità, ritenendo insufficiente la prova della colpevolezza del ricorrente per la condotta distrattiva dell'autovettura, in quanto rimasta nella proprietà della società; e, quanto ai prelievi in danaro dai conti correnti della società, per l'importo di oltre 230.000 Euro, non essendo sufficiente la qualifica di amministratore formale della società. 2.2. Con il secondo e con il quarto motivo si invoca la derubricazione della bancarotta documentale in quella semplice di cui all'art. 217 L.Fall., sostenendosi che il G., una volta che la società era rimasta inattiva, aveva omesso, sulla base di un atteggiamento colposo, di tenere le scritture contabili. Previa derubricazione, il reato va dichiarato prescritto. 2.3. Con il terzo e il sesto motivo ci si duole del mancato riconoscimento della ipotesi di cui all'u.c. dell'art. 219 L.Fall. per la speciale tenuità del danno, invocando una mitigazione del trattamento sanzionatorio. 2.4. Con il quinto motivo si denuncia violazione dell'art. 219, comma 1, n. 1 L.Fall. nella parte in cui è stata riconosciuta la circostanza aggravante della pluralità di fatti di bancarotta, sostenendosi che la disposizione non si applica nel caso in cui la pluralità di azioni già costituisca un tratto che caratterizza la fattispecie incriminatrice. 2.5. Con il settimo motivo, si denuncia la mancanza o manifesta illogicità ella motivazione nella determinazione della entità della pena base. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso non è fondato. 1.Infruttuoso il tentativo, veicolato con il primo motivo di ricorso, di scardinare il ragionamento probatorio in base al quale i Giudici di merito hanno riconosciuto la responsabilità del ricorrente per la bancarotta patrimoniale fraudolenta, correlata sia alla distrazione dell'autovettura Mercedes, che ai prelievi di consistenti somme di danaro dai conti correnti della società. 1.1. Quanto al primo profilo, va ricordato che la distrazione è nozione che la giurisprudenza di legittimità ricollega al distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell'atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l'esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, Quattrocchi, Rv. 241830; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, Di Febo, Rv. 260486), in una prospettiva che attribuisce alla nozione di distrazione una funzione anche "residuale", tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto diverso dall'occultamento, dalla dissimulazione, etc. determinante la fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito che ne impedisca l'apprensione da parte degli organi del fallimento(Sez. 5 n. 8431 del 01/02/2019, Rv. 276031). Nel caso di specie, l'autovettura Mercedes, pur formalmente di proprietà della società, era stata ceduta in comodato gratuito proprio dal ricorrente, che ne aveva sostanzialmente perso la disponibilità, neppure essendo in grado di indicare in capo a chi essa fosse, successivamente, pervenuta. In tale condotta non può non cogliersi - quale indice di fraudolenza della distrazione, ai fini dell'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico - la irriducibile estraneità di detto fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, capace di dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763). La costituzione di un diritto d'uso in capo a un terzo estraneo alla società, e a prescindere da qualsiasi causa riconducibile all'oggetto sociale, ha contribuito sia alla maggiore obsolescenza sia al più arduo recupero del bene, che risulta, per quanto detto, anche sostanzialmente oggetto di dissipazione, essendo innegabile che esso non fosse più, all'atto dell'intervento della curatela, nella disponibilità effettiva della società, avendo il ricorrente dato luogo a una cessione "stabile, ed anzi, irreversibile" come dimostrato dalla circostanza che "il P. si è sentito autorizzato, dopo un anno, a cedere l'autovettura a sua volta ad un altro soggetto senza neanche interpellare il G." (cfr. sentenza impugnata). Alla luce dei principi illustrati, la Corte territoriale ha correttamente qualificato come distrattiva l'operazione in questione, che ha privato il patrimonio sociale del veicolo, mentre manifestamente infondate, e a tratti generiche, si rivelano le obiezioni svolte sul punto con il ricorso. 1.2. Quanto ai prelievi ingiustificati dalle casse societarie, il ricorrente non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha sottolineato, correttamente, come nessun ragionevole dubbio possa nutrirsi in ordine alla responsabilità del G. che, proprio in quanto amministratore formale della società, era l'unico titolato - non essendo state neppure dedotte eventuali deleghe a terzi - a effettuare prelievi allo sportello da un conto corrente della società. 2. Inammissibilmente reiterative di doglianze adeguatamente vagliate dalla Corte di appello quelle con le quali si predica l'insussistenza della bancarotta fraudolenta documentale e se ne invoca la derubricazione nella più lieve fattispecie di cui all'art. 217 L.F.. La Corte di appello ha, infatti, osservato come il G. non abbia mai depositato i bilanci né consegnato le scritture contabili non rinvenute dal curatore; come, dalle dichiarazioni rese al curatore, emergesse la tenuta delle scritture, e come egli avesse un diretto interesse alla loro sottrazione od occultamento per evitare l'emersione delle condotte distrattive di cui si è reso responsabile sia prima che dopo la dichiarazione di fallimento, da qui ragionevolmente traendo il necessario dolo specifico della fattispecie contestata. Alla luce delle emergenze istruttorie, correttamente, dunque, la sentenza impugnata ha radicalmente escluso, per evidente incompatibilità logico-giuridica, la prospettata derubricazione, anche in considerazione degli importanti prelievi effettuati proprio durante la protratta inattività della società, a smentire la tesi difensiva sul punto, incentrata sulla mancata tenuta delle scritture per cessazione dell'attività aziendale. 3. Afflitta da irrimediabile genericità, sia intrinseca, per indeterminatezza del motivo, che estrinseca, per omesso confronto con la motivazione della sentenza impugnata sul punto, la deduzione con la quale ci si duole dell'esclusione dell'attenuante della speciale tenuità del danno, mancando qualsivoglia specifica enunciazione degli elementi di fatto che - al di là dell'astratta prospettazione - avrebbero consentito il riconoscimento dell'invocata attenuazione, in presenza di una " distrazione di 231.000,00 circa, oltre che di un'autovettura" che, come sottolineato dalla Corte di appello " non può essere considerata di speciale tenuità". 4. Il quinto motivo è inedito, non essendo stata contestato con il gravame di merito il riconoscimento della circostanza aggravane della pluralità dei fatti di bancarotta. In ogni caso, la decisione della Corte di appello è coerente con il consolidato canone ermeneutico, accreditato dalle Sezioni Unite, a tenore del quale, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall'art. 219, comma 2, n. 1, L. Fall., disposizione che, pertanto, non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui a(l'art. 81 c.p. (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011 Cc. (dep. 26/05/2011), P.M. in proc. Loy, Rv. 249665). 5. Parimenti generica l'ultima doglianza, riguardante la eccessiva severità del trattamento sanzionatorio, che, oltre ad attingere il merito della valutazione, non considera che la Corte di appello ha congruamente replicato, sottolineando, nel condividere l'operazione di calcolo del Tribunale, come la pena base sia stata individuata in misura di poco superiore al minimo edittale, pur in presenza di pregiudizi, e alla luce delle considerazioni in precedenza già svolte in ordine alla gravità della condotta. E' noto che, nella commisurazione della pena, laddove i giudici di merito hanno determinato la sanzione in concreto applicata assestandola in misura nettamente inferiore alla media edittale, e molto più vicino al minimo edittale, la irrogazione della pena non deve essere motivata in modo specifico e particolarmente ampio, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza sella pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., in quanto la sua applicazione rappresenta il frutto di una valutazione intuitiva e globale operata dal giudice di merito in rapporto alla complessiva considerazione del fatto e alla personalità dell'imputato (Sez. 3, n. 1571 del 10/01/1986,Ronzan, Rv. 171948; conf. Sez. 3 n. 38251 del 16/06/2016; Sez. 4 n. 46412 del 05/11/2015; nel senso della necessaria motivazione specifica in ordine ai criteri soggettivi e oggettivi elencati nell'art. 133 c.p., nel caso di irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale, Sez. 3 n. 10095 del 10/01/2013, rv. 255153). 6. Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna del ricorrente, al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 23 giugno 2022. Depositato in Cancelleria, il 30 settembre 2022
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