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Bancarotta fraudolenta patrimoniale: sussiste in caso di assunzione di obbligazioni prive di apprezzabile collegamento con l'attività imprenditoriale

Bancarotta fraudolenta patrimoniale

Cassazione penale sez. V, 03/11/2020, n.141

È configurabile il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione nella condotta di assunzione, in una situazione di grave e non fronteggiabile sofferenza debitoria, di ulteriori obbligazioni prive di apprezzabile collegamento con l'attività imprenditoriale. (Fattispecie relativa alla attribuzione ad un terzo estraneo, e nel suo esclusivo interesse, di una autovettura acquisita mediante finanziamento in condizioni di grave crisi di liquidità).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Per ciò che ancora rileva, con sentenza del 16/04/2019 la Corte d'appello di Firenze ha confermato la decisione di primo grado, quanto alla affermazione di responsabilità di C.M., quale soggetto extraneus, in relazione al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, commesso in concorso con D.R., legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita in data 09/06/2010. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, il C., presentato alla D. come persona che, in costanza della grave crisi di liquidità della società, avrebbe potuto trovare canali alternativi di finanziamento, aveva acquisito, in data 10/10/2008, la disponibilità di un veicolo Mercedes: quest'ultimo, in particolare, era stato comperato dalla società con un finanziamento di 55.000,00 Euro e poi era stato rivenduto all'imputato quattro mesi dopo (il 23/02/2009) per il corrispettivo di 25.000,00 Euro. L'imputato aveva poi formalmente ceduto il bene a tal S. per 20.000,00 Euro; infine, il veicolo in data 11/05/2009 era stato venduto a terzi per il prezzo di 32.000,00 Euro. Che l'operazione fosse stata concertata in vista dell'attribuzione dell'autovettura all'imputato è stato desunto dal fatto che era stato il C. a recarsi presso la concessionaria, operando per conto della società poi fallita, e che la stessa D., alla quale un dipendente aveva chiesto chiarimenti su un sollecito di pagamento relativo al veicolo - che il dipendente stesso aveva riferito di non avere mai visto -, aveva spiegato al suo interlocutore che si trattava di un acquisto fatto a favore dell'imputato. 2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, sottolineando l'assenza del "requisito essenziale della condotta efficiente al danno patrimoniale" della società fallita, rilevando: a) che la Corte territoriale non ha dato contezza di come la differenza tra il prezzo pagato a mezzo finanziamento (55.000,00 Euro), per un valore di mercato del veicolo di 43.500,00 Euro, e il prezzo della successiva rivendita, a distanza di cinque mesi (25.000,00 Euro) abbia danneggiato concretamente il ceto creditorio, proprio alla luce dello stato di grave sofferenza della società - riconosciuto dalla sentenza impugnata -, "protestata fin dal 2007, il cui stato passivo era pari a circa 1 milione di Euro"; b) che, in definitiva, mancava il collegamento tra l'evento contestato e la condotta efficiente a determinare l'evento, ossia la sottrazione di liquidità ai creditori, giacchè, con il passivo di un milione di Euro al 2007/2008, si erano ormai azzerate le possibilità e le aspettative di recupero dei terzi; c) che, in ogni caso, l'unico connotato depauperativo si era concentrato sulla finanziaria Mercedes che aveva erogato il prestito, ma certo non in capo alla società e ai suoi "creditori precostituiti", i quali, attraverso la rivendita del veicolo al prezzo di 25.000,00 Euro, avevano visto affluire nelle casse societaria la corrispondente liquidità; d) che neppure era emerso un collegamento tra l'obbligazione derivante dal finanziamento e la declaratoria di fallimento; e) che nessuna distrazione era stata realizzata, dal momento che l'autovettura era stata ceduta al C. non a titolo di liberalità, ma per il prezzo di 25.000,00 Euro e senza che la società poi fallita versasse alcunchè; f) che l'intervento del C. aveva consentito di favorire l'acquisto in favore di una società che non aveva alcun requisito di solvibilità per beneficiare del finanziamento; g) che l'assenza di un interesse del ricorrente era confermata dal fatto che il C. aveva poi ceduto il veicolo, a meno di un mese di distanza dal suo acquisto, rimettendoci 5.000,00 Euro; h) che, peraltro finendo anche illegittimamente per invertire l'onere probatorio, la Corte territoriale aveva trascurato di considerare che la prospettazione dei fatti da parte dell'imputato era chiara ed era stata esattamente percepita dal giudice: egli era stato contattato per trovare canali alternativi di finanziamento e l'autovettura era stata acquistata per soddisfare le necessità della società. 2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del delitto, sottolineando: a) che il C. non disponeva di alcuna competenza professionale che gli consentisse di comprendere l'effettiva condizione economica, patrimoniale e finanziaria della società; b) che neppure emergeva la consapevolezza di depauperare il patrimonio ai danni del ceto creditorio, giacchè l'acquisto del veicolo era avvenuto a mezzo di un finanziamento ed era stato seguito da una rivendita, che aveva fatto affluire denaro nelle casse societarie; c) che la finalità di agevolare la condotta distrattiva dell'amministratrice non era stata dimostrata, anche perchè la D. non era stata introdotta come testimone, ai sensi dell'art. 197-bis c.p.p. per fare chiarezza sulla qualifica e il ruolo del C., sulla scelta societaria di acquistare un veicolo, sulle vicende circolatorie successive; d) che, pertanto, doveva ritenersi sussistente una mancata assunzione di prova decisiva; d) che nelle sentenze di merito erano state menzionate alcune dichiarazioni rese "in sede di verbale di S.I.T. dalla D. al curatore fallimentare", ma non acquisite attraverso una rituale escussione dibattimentale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Occorre premettere, che, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessaria l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento dell'impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 26680401). In realtà, come reiteratamente ribadito da questa Corte, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di "indici di fraudolenza", rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 27076301). Siffatta puntualizzazione rileva, alla luce dei motivi di ricorso, perchè delinea la struttura del reato rispetto alla quale occorre valutare il concorso dell'extraneus e perchè ribadisce che la fattispecie incriminatrice non richiede la dimostrazione di un evento di danno nel senso auspicato dal ricorrente, nel senso che, una volta dimostrato il depauperamento del patrimonio inteso come garanzia delle ragioni dei creditori, non occorre, altresì, accertare che l'insolvenza sia legata da un nesso di causalità con la condotta dell'agente. In senso contrario, non ha pregio la menzione, da parte del ricorrente, di Sez. 5, n. 27367 del 26/04/2011, Rosace, Rv. 25040901, dal momento che la lettura della motivazione rende palese: a) che la sentenza ha ribadito, in coerenza con il consolidato indirizzo di questa Corte, che, una volta provate le distrazioni, ai fini della sussistenza del reato contestato, non ha, poi, alcun rilievo la mancanza del nesso causale con il pregiudizio ai creditori; b) che l'"evento" alla cui produzione deve avere concorso l'attività del terzo altro non è se non l'attività distrattiva, con la conseguenza che nessuna confusione è possibile rispetto all'insolvenza. In altri termini, neppure siffatta decisione si discosta dall'indirizzo che configura, come detto, la bancarotta distrattiva in termini di reato di pericolo concreto. Ciò posto, la tesi secondo la quale non sarebbe configurabile la bancarotta fraudolenta patrimoniale nell'assunzione di un'ulteriore obbligazione da parte di società in stato di grave sofferenza, ove non si accompagni ad una fuoriuscita di liquidità, è del tutto erronea. Ed, invero, il pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie si apprezza anche con riguardo alla concreta percentuale di realizzazione del credito, con la conseguenza che, anche in presenza di una situazione debitoria imponente, cui le attività esistenti (peraltro, nel caso di specie, ignote) non potrebbero far fronte integralmente, la creazione di obbligazioni slegate da un apprezzabile collegamento con l'attività imprenditoriale (e, anzi, nella vicenda in esame correlate alla attribuzione del bene acquisito col finanziamento ad un terzo estraneo) deve essere apprezzata in termini distrattivi. E ciò senza dire che l'alterazione della garanzia patrimoniale deve essere valutata considerando la globalità dell'operazione in esame nel momento dell'attività imprenditoriale in cui si realizza, talchè l'assunzione di debiti per l'acquisto di beni in favore di terzi determina un aumento del passivo e una fuoriuscita del bene dalla concreta disponibilità della società acquirente che esprime un sicuro pregiudizio e un certo sviamento rispetto alle finalità imprenditoriali. L'assunzione di un debito di 55.000,00 Euro per l'acquisto di un veicolo del valore di 43.500,00 Euro, da subito destinato ad un terzo per ragioni non riconducibili ad esigenze imprenditoriali, integra di per sè, dunque una distrazione, rispetto alla quale è indiscutibile il contributo - non solo materiale del terzo stesso, che si sia recato, come nella specie, a individuare il veicolo e l'abbia utilizzato nella consapevolezza che tanto era possibile per effetto del finanziamento gravante sulla società. Ma, anche a voler considerare le successive vicende circolatorie del bene, le conclusioni non cambiano, giacchè il versamento di un corrispettivo ridotto rispetto al valore, da parte del C., appena quattro mesi dopo l'acquisto da parte della società e senza che sia emerso alcun interesse societario nella utilizzazione in tali mesi da parte del ricorrente, conferma l'attività di spoliazione proprio per la non giustificata divergenza dei valori. In tale contesto la scelta del C. di rivendere a terzi il veicolo per un prezzo ancora inferiore, senza bisogno di indugiare sul ritenuto carattere "formale" di siffatta vendita e sulla rivendita a terzi per un prezzo superiore (secondo quanto emerge dalla ricostruzione operata dalla sentenza impugnata), è del tutto irrilevante ai fini del decidere, essendo il terzo libero di fare ciò che vuole del suo patrimonio. 2. Infondato è anche il secondo motivo del ricorso, dal momento che, in tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell'amministratore - modellato in relazione ai caratteri della fattispecie incriminatrice come sopra descritta consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società (sul punto, v., anche Sez. 5, n. 54291 del 17/05/2017, Bratomi, Rv. 27183701; Sez. 5, n. 1706 del 12/11/2013 - dep. 16/01/2014, Barbaro, Rv. 25895001), che può rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (Sez. 5,, n. 4710 del 14/10/2019 - dep. 04/02/2020, Falcioni, Rv. 27815602), e ancor meno la rappresentazione della sussistenza dei requisiti soggettivi di fallibilità, quali la tipologia e le dimensioni dell'impresa (v., di recente, Sez. 5, n. 37194 del 11/07/2019, Fede, Rv. 27734001). Ora, alla luce di siffatte indicazioni giurisprudenziali è del tutto inconferente la doglianza che investe la conoscenza dello stato di dissesto della società. In ogni caso e per completezza argomentativa, siffatta consapevolezza è stata razionalmente argomentata dalla sentenza impugnata proprio dal fatto che il C. era stato contattato dall'amministratrice per reperire canali alternativi di finanziamento rispetto a quelli usuali. Le censure che investono la mancata audizione della legale rappresentante della società poi fallita sono inammissibili, per l'assorbente ragione che neppure indicano che essa sarebbe inutilmente stata richiesta. Il motivo di cui all'art. 606, comma 1, lett. d) riguarda, infatti, la mancata assunzione di prova decisiva "quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell'istruzione dibattimentale". Quanto all'ultima articolazione della censura, si osserva innanzi tutto che il ricorrente non indica il tenore delle dichiarazioni della D. alle quali il curatore avrebbe fatto riferimento, con la conseguenza che non è neppure dato intenderne la rilevanza nel processo, rispetto ai restanti elementi (dichiarazioni del F., del Fo., del B., del N.) valorizzati dal Tribunale, prima, e dalla Corte d'appello, poi, per dimostrare che l'acquisto del bene avvenne ad esclusivo vantaggio del C., intervenuto per fronteggiare la situazione di difficoltà della società. D'altra parte, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all'art. 63 c.p.p., comma 2, che prevede l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, in quanto il curatore non rientra tra dette categorie di soggetti e la sua attività non è riconducibile alla previsione di cui all'art. 220 disp. att. c.p.p. che concerne le attività ispettive e di vigilanza (Sez. 5, n. 12338 del 30/11/2017 - dep. 16/03/2018, Castelletto, Rv. 27266401). 3. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 3 novembre 2020. Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2021
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